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Da Mondrian alla Gestalt. Tutto Giovanni Pizzo in mostra a Milano

"Giovanni Pizzo. Works from the 60s to 2022", Galleria 10 A.M. ART, Milano, photo by Mattia Mognetti. "Giovanni Pizzo. Works from the 60s to 2022", Galleria 10 A.M. ART, Milano, photo by Mattia Mognetti
"Giovanni Pizzo. Works from the 60s to 2022", Galleria 10 A.M. ART, Milano, photo by Mattia Mognetti.
“Giovanni Pizzo. Works from the 60s to 2022”, Galleria 10 A.M. ART, Milano, photo by Mattia Mognetti

La galleria 10 A.M. ART dedica un’importante monografica a Giovanni Pizzo, artista simbolo dell’Arte Programmata e nella cui opera ricadono con precisione influenze disparate. Giovanni Pizzo. Works from the 60s to 2022 è in mostra a Milano dal 26 settembre al 29 novembre 2024.

Mondrian, la geometria, la psicologia. Quante suggestioni possono rientrare nella produzione di un singolo artista? Probabilmente un numero inquantificabile, almeno quando l’artista in questione è Giovanni Pizzo. Ma nel suo caso, a differenza di altri dove le materie si mescolano fino a confondersi, i riferimenti sono esplicitati, quando addirittura non del tutto autoevidenti.

Chiari debiti d’ispirazione che non minano l’originalità della sua opera, ma anzi la rendono ancora più profonda e densa di implicazioni. Così come racconta la mostra che 10 A.M. ART inaugura oggi a Milano. Una breve panoramica dei suoi capolavori storici a cui, per la prima volta, si affiancano una serie di opere recenti, tutte realizzate nel suo studio di Formello, nella campagna romana.

Lo spazio che fino al momento della sua scomparsa, avvenuta nell’agosto del 2022, aveva condiviso con la moglie Lucia Di Luciano, a cui 10 A.M. ART la scorsa primavera aveva dedicato una monografica, di cui dunque la mostra autunnale dedicata a Pizzo risulta gemella, o comunque intimamente connessa.

Influenzato dalle teorie di Bertrand Russell e Albert Henry Munsell, l’artista avvia negli anni ’60 una ricerca basata sull’uso e la combinazione di moduli geometrici, linee, quadrati e rettangoli. Inizialmente attraverso una tavolozza minimale di bianchi e neri, per poi includere colori saturi come il blu e il rosso. Un lavoro che valorizza l’importanza del processo operativo che conduce alla forma, considerato primario rispetto alla forma stessa.

É l’artista stesso a raccontarlo in una conversazione con il curatore Fabio Cherstich, che ci introduce perfettamente all’appuntamento espositivo:

La mia ricerca, se avrò il tempo e le forze, è quella di moltiplicare il coefficiente combinatorio delle immagini, creando una dinamica sempre più ricca di rimandi luminosi e cromatici tra un gruppo di immagini e l’altro. Voglio moltiplicare questa dinamica, sempre di più. Un po’ come ha fatto Pollock in un altro campo, quello prettamente segnico, con il dripping. Pollock ha moltiplicato gli spezzettamenti dei segni in maniera informale. Io vorrei farlo in modo ordinato. Mi piacerebbe trasformare la bellezza in un canone operativo, dove non c’è intervento umano, ma solo una miriade di elementi che proliferano seguendo una logica matematica, naturalmente umanizzata attraverso la loro trasposizione su tela o pannello.

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