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Arte e (anti)Fascismo. Due mostre si passano il testimone, da Rovereto a Roma

Emilio Vedova Il caffeuccio veneziano, 1942 olio su tela, 43,2x55 cm Photo: Studio Vandrasch Courtesy Collezione Giuseppe Iannaccone, Milano
Emilio Vedova Il caffeuccio veneziano, 1942 olio su tela, 43,2×55 cm Photo: Studio Vandrasch Courtesy Collezione Giuseppe Iannaccone, Milano

Un’occasione mancata. Involontariamente. Da un lato le Istituzioni Pubbliche fra di loro non comunicano, mentre i curatori di eventi espositivi di alto livello culturale – sempre e volentieri – celano come congiurati i loro progetti. Peccato, perché sarebbe stato interessante un gioco tra gli opposti; vale a dire mettere nel medesimo spazio istituzionale questi due eventi: il primo ideato da Vittorio Sgarbi per il MART di Rovereto, che si chiuderà il 29 settembre 2024 e il secondo previsto dal 6 luglio 2024 al 2 febbraio 2025, presso la GAM di Roma.

A Rovereto Arte e Fascismo portava come sottotitolo – criptico, forse polemico e comunque tipico di Sgarbi – Nell’arte non c’è Fascismo. E nel Fascismo non c’è arte. A Roma il titolo Estetica della deformazione. Protagonisti dell’Espressionismo italiano avrebbe potuto avere, come controcanto, il sottotitolo: Nell’arte non c’è antifascismo, nell’antifascismo non c’è arte. La coincidenza culturale tra i due eventi – e quindi, a mio parere, collocabili sulla stessa piattaforma espositiva – è seducente.

A Rovereto era in scena l’universo culturale di Margherita Sarfatti, militante fascista, ascoltata e intima del Duce. Era lei a mettere in linea le scelte della Biennale di Venezia, a tenere d’occhio Efisio Oppo, fascista dolce e puro, bravo pittore, direttore della Quadriennale di Roma; persino eretico quando aveva aperto le iscrizioni ai Futuristi, per altro artisti in camicia nera, molti dei quali avevano partecipato alla Marcia su Roma.

A Roma, dal caveau della Galleria d’Arte Moderna escono circa 120 dipinti, datati tra gli Anni Trenta e Cinquanta del secolo scorso, dei quali ha già dato dettagliata nota Ludovico Pratesi nell’articolo su ArtsLife. La maggior parte delle composizioni presenti in mostra rappresenta l’acquisizione mirata della raccolta di Giuseppe Jannaccone, collezionista di Milano, specializzato in opere figurative di giovani promesse che negli anni nei quali imperava l’Italico Classicismo di Sarfatti avevano iniziato a interessarsi a ciò che avveniva oltre confine.

Alcuni erano approdati a Parigi, turbati dalle sconosciute sperimentazioni Postcubiste e dalle ricerche dell’Espressionismo tedesco della Brücke in esposizione nella capitale francese. Giovani della tavolozza, che si erano appena diplomati all’Accademia delle Belle Arti di Torino, di Milano, di Roma. Coincidenza curiosa e senza passa parola, avevano iniziato a frequentarsi, a confrontarsi, discutere sulle singole sperimentazioni. Eresie estetiche, che nulla avevano da spartire con le direttive di Margherita Sarfatti.

Intanto a Torino era nato il Gruppo dei Sei, a Milano la Scuola di Via della Spiga e a Roma la Scuola di via Cavour. Quanto all’antifascismo, bisogna attendere l’8 settembre del 1943 per comprendere da che parte stare. Alcuni militarono nelle file della Resistenza; altri, fascisti per comodità, si sarebbero iscritti nell’immediato dopoguerra al partito comunista, farcendo dimenticare che in certi contesti avevano indossato la camicia nera.

Una cosa è certa: mai avrebbero pensato che i loro dipinti, un secolo dopo, sarebbero stati esposti presso la Galleria d’Arte Moderna di Roma con l’indicazione ineccepibile del titolo, che li eleva al livello delle sperimentazioni europee. Insomma, una bella occasione, per festeggiare i 150 anni della nascita della GAM.

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