Arcangelo Sassolino è protagonista di una mostra dal titolo No flowers without contradiction, a cura di Luca Massimo Barbero, dal 20 settembre 2024 al 18 gennaio 2025. A Lugano, nella sede svizzera della Repetto Gallery.
L’estrema precarietà della vita, nel vortice ininterrotto della creazione e distruzione. L’universale dinamismo delle cose che nascono e muoiono. Che appaiono e scompaiono. Perché ogni cosa si trasforma e cambia, in una metamorfosi che è essa stessa l’essenza della Vita.
Ed è in quella continuità tra una “natura che trasforma (e distrugge)” e una “tecnica che altera e muta” che la nuova mostra di Arcangelo Sassolino si radica. Una mostra in cui l’artista non vuole creare immagini ma uno stato di cose in tensione, delineando – attraverso la pressione, il peso e il suono generati dalla frizione delle masse – opere che parlino all’uomo dell’uomo, in una continuità tra passato, presente e futuro.
Una continuità che appare sin dall’allestimento in cui, ad accogliere il fruitore, c’è una catasta di travi di legno tagliate alla Carl Andre; un’installazione – dal titolo Violenza casuale presente anche nell’esposizione presentata a Londra nel 2007 – in cui il legno si fa materia inerme ma viva, statica ma intrinsecamente dinamica, perché grazie alla presenza di un pistone posto sul pavimento antistante l’opera, le travi – provenienti dagli abeti divelti dalla furia di Vaia in Trentino – si trasformeranno in un mucchio di “scarti”.
Degli scarti vivi e lacerati che – appena dopo aver subito la violenza della pressione – non verranno nascosti come accadeva in passato per concentrare l’attenzione sul reiterare dell’azione, ma diventeranno un mucchio di corpi viventi informi che si accumulerà nella galleria stessa nel corso della mostra.
Un concetto, quello di mutevolezza della materia, che è ancor più esplicito in No Memory without loss, opera costituita da un supporto circolare fisso al muro in costante rotazione che ospita su di sé dell’olio industriale; la sostanza, fluida e “pesante”, a poco a poco cede alla forza di gravità, permettendo a delle lacrime d’olio di cadere a terra in un’incessante ed eterna metamorfosi dell’opera.
Un’opera che tenta di sganciare la scultura dalla sua fissità, da quel suo essere rigida e immutabile “da secoli”. Perché sei vero che tutto ha una nascita, una maturazione e un declino, ciò vale anche per la storia dell’arte in cui le gloriose e memorabili tecniche come l’affresco e il mosaico si sono “naturalmente estinte”.
E dunque, come nuovo tecnologico demiurgo, Sassolino desidera trasformare una parte della realtà avviando una metamorfosi nella metamorfosi, modificando i materiali, gli oggetti e le forme – che sembrano giacere in un’incomprensibile e noiosa insignificanza – in motori dinamici. In nuclei propulsivi di quelle forze invisibili che l’artista fa proprie.
Il frequente uso di macchine e macchinari è infatti per Sassolino un modo concreto per testimoniare quel passo oltre fatto rispetto alle indagini delle forze analizzate da Anselmo, suo maestro ideale.
Un’indagine, quella dell’artista veneto, che si radica nella nuova coscienza della forza e della bellezza delle macchine che ha pervaso il futurismo, e dal cui moto artistico parte proprio il percorso di Arcangelo Sassolino, un artista che porta nelle sue opere il conflitto non come scontro muscolare tra masse, ma come equilibrio silenzioso in cui l’attrito tra le diverse componenti diviene esplicito.
Un artista, dunque, che nelle sue opere esprime la realtà contingente non – come potrebbe sembrare – commissione la forza muscolare, ma il suo punto di caduta, il suo limite tra essere e non essere, in una metamorfosi che è l’essenza stessa della vita.