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Sangue e poesia: a Milano una mostra fatta solo di teste tagliate

Juan Bautista Maino, Salomè con la testa del Battista

Dal 25 ottobre al 20 dicembre, la Galleria BKV Fine Art di Milano presenta Perdere la testa, una mostra che attraverso 63 opere – antiche, moderne e contemporanee – raccontano uno dei motivi più inquietanti e attraenti della storiografia artistica: la testa mozza.

Ve lo ricordate la base meme in cui un ragazzo, tenendo la mano alla compagna, si gira attirato da un’altra ragazza che l’ha incuriosito? C’è solo da sostituire un elemento (il ragazzo) che si lascia rapire da una bella novità (la ragazza) tradendo la scelta più lineare (la compagna). Ecco: il ragazzo è un visitatore di mostre, che solitamente visita mostre mediamente appassionanti, mentre BKW è la galleria che ci fa girare la testa. Anzi, addirittura perderla. Mozzata, adagiata, servita. L’estremità più alta del corpo umano è ovunque nella galleria milanese, dispersa nei mille esemplari che compongono l’esposizione Perdere la testa.

Un tema forte, brutale, forse macabro ma altrettanto poetico, fine come il riflesso dei vassoi su cui è posato il capo del Battista. Di certo vibra spostandosi dalla monolitica importanza di monografiche belle ma ingombranti, si scuote dal torpore del conosciuto per risvegliare frequenze ferine in chi la visita. Non possono lasciare indifferenti le due pareti d’ingresso, piene del già citato Battista, ritratto nell’espressione con cui la storia dell’arte, evidentemente, lo trova uscire meglio: con la testa staccata dal corpo. Insieme, curiosamente, al lui bambino, sono infatti le due iconografie più diffuse; non a caso, Giovanni Battista è l’unico santo di cui si commemora anche la morte.

Negli occhi chiusi la serenità di chi pensa che incontrerà Dio, nelle gote grigie il segno di chi ha subito una decapitazione. Mortificazione massima del corpo, portato al decesso dal martire, che già abbandonato a un’alterità agognata muore per la meschina soddisfazione di Salomè, così annoiata e sadica da chiedere la vita del Santo come dono al nuovo marito di sua madre. L’ossessività con cui la pittura del cinque-seicento è tornata sull’episodio lo ha raffinato fino all’essenza, riducendolo alla cruda presenza della Testa Mozza.

Un’iconografia consolidata (una superficie d’appoggio, un vassoio o un supporto, lo sfondo nero, a volte il sangue) che racchiude l’eleganza più algida dell’arte, quella con cui parla di morte con esatta bellezza. Chissà se l’inventore del meme con cui si è aperto l’articolo, sempre che esista, ne abbia mai rivendicato privatamente o pubblicamente la creazione. Se ci tiene, insomma, a ribadire la proprietà intellettuale sull’immagine. Come ha fatto Koelliker con quella della Testa Mozza, che ha collezionato fino ad esaurirne la comprensione, e che ora suo figlio Edoardo (la K, Koelliker, di BKV, insieme a Paolo Bonacina e Massimo Vecchia) pone al centro dell’esposizione. Una fame di conoscenza compulsiva che racconta ancora volta dell’umano bisogno di vedere, vedere sempre di più per sentirsi appagati.

A tal proposito, fa impressione leggere nel catalogo di mostra una citazione del 1841 del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach: “E senza dubbio il nostro tempo…preferisce l’immagine alla cosa, la copia all’originale, la rappresentazione ala realtà, l’apparenza all’essere…”. Non è forse ciò di cui ci lamentiamo tutt’oggi, con parole simili? Le immagini sedano il desiderio di riguardare, e per estensione quello di ripetere, ritornare, ripensare, rivivere. Come se l’essenza di ciò che cerchiamo sia costantemente altrove, su un livello diverso da quello dell’esperienza diretta. Per questo le immagini ci seducono, da sempre, dai dipinti religiosi del tardo medioevo fino al linguaggio memistico.

Seguace di Andrea Solario, Testa del Battista. Ph. credits Matteo Zarbo

In questo scenario il muro di BKV si costringe a fermare lo scrolling infinito a cui ci condanniamo, in una terapia d’urto che disperde la visione verticale del social per abbattersi orizzontalmente sull’osservatore. Un formato che rallenta lo sguardo. Impossibilitato a liberarsi dell’immagine vecchia e concentrarsi sulla nuova, è costretto a guardare di più, a rivedere, a confrontare, a investirci più tempo. E come ripete spesso Paolo Sorrentino in questi giorni di promozione di Parthenope:Del reel su Instagram ci dimentichiamo appena abbiamo finito di vederlo, di un film come C’era una volta in America tratteniamo molto di più. Ci ricordiamo delle cose lente, non di quelle a veloci“. Figuriamoci dunque se la cosa molto lenta è un muro di teste mozze dipinte magistralmente.

D’altra parte, non si esaurisce qui la sanguinante proposta della galleria, con il soggetto che ritorna in forme differenti: sempre macabre, spesso ironiche. Come nel caso del  GorilBattista (2011) di Bertozzi&Casoni, scultura in marmo che alleggerisce la gravità plastica si altri esempi seicenteschi, vedi Poggini e vari scultori anonimi. O, ancora, declinato in opere che affascino anche per genesi e storia collezionistica. Ne sono un esempio due acquerelli del 1968 di Giovanni Testori, anch’egli ossessionato da questa tipologia di opere, tanto da essere stato proprietario di alcuni pezzi poi acquistati da Koelliker, e realizzati proprio mentre scriveva il monologo teatrale “Erodiade”.

Oppure Julian Schnabel, che nel suo Number 3 (Self-Portrait of Caravaggio as Goliath, Michelangelo Merisi) del 2020, riprende il modello proposto da Caravaggio, che arrivò a identificarsi con il cattivo sconfitto, raffigurandosi nella testa mozzata di Golia in un autoritratto. Simile all’operazione compiuta dal brasiliano Vik Muniz nella sua Medusa, after Caravaggio (Picture of Junk) del 2009. Un’opera parte di una serie realizzata in una discarica, dove alcuni capolavori della storia dell’arte vengono ricreati con l’utilizzo di vari materiali di scarto. Nutrito poi, il contingente barocco, guidato da un’imponente tela di Giovanni Battista Maino raffigurante Salomè con la testa del Battista. Di nuovo lei, fonte della perfidia da cui tutta la vicenda nasce. Malvagia, erotica, irresistibile. Come questa mostra.

Bertozzi&Casoni, GorilBattista. Ph. credits Bernardo Ricci
Giovanni Testori, Testa del Battista, 1968

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