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Ci. Corrispondenze Immaginarie: intervista a Mariangela Capossela

Mariangela Capossela
Mariangela Capossela

Ci. Corrispondenze immaginarie ha concluso il proprio viaggio attraverso le città di Trieste e Gorizia con una inedita azione performativa intitolata Lettura ad personam, che si è tenuta mercoledì 30 ottobre 2024 a Trieste, nella sede del Palazzo delle Poste.

Ci. Corrispondenze Immaginarie è un progetto d’arte pubblica partecipata che vede protagoniste le lettere mai inviate degli ex ospedali psichiatrici di Volterra, prima, e Trieste e Gorizia, poi. Ci racconta la genesi dell’opera d’arte e i motivi che l’hanno spinta ad indagare questa tematica particolare?

Il progetto è nato all’uscita dal Covid, quando, per effetto di una legge sanitaria, l’esperienza anomala dell’isolamento coatto è stata vissuta a livello planetario. In quel periodo abbiamo sperimentato tutti una forma di separazione dal mondo sociale. All’inizio del 2022 mi è stato commissionato un progetto sulla memoria dell’ex Ospedale psichiatrico di Volterra. In quel contesto l’idea e l’esperienza della “chiusura sanitaria” ha fatto da ponte tra passato e presente e l’incontro con un testo, “Corrispondenza Negata”, che pubblicava lettere mai spedite di pazienti di quell’ospedale, ha innescato l’idea di un progetto per uscire collettivamente dall’isolamento individuale e individualista che caratterizza la nostra epoca. Leggendo quelle lettere così forti nella loro richiesta di aiuto per preservare l’umano, ho immaginato una corrispondenza collettiva pensata per oltrepassare le rovine del passato, e per vivificare il presente con un coinvolgimento individuale su scala collettiva.

Ci. Corrispondenze Immaginarie ha una forte dimensione partecipativa che coinvolge il pubblico non solo come spettatore ma come parte attiva nell’opera. Come definirebbe il ruolo del pubblico nel suo lavoro e che tipo di relazione vuole stabilire con loro attraverso la performance?

Il concetto di pubblico in tutti i miei progetti non è tanto lo spettatore quanto il pubblico come “comune alle persone che si trovano a far parte della collettività”, collettività che viene a crearsi con l’opera artistica. In questo senso anche il performativo, che cerca sempre interazioni con lo spazio pubblico, è pensato come un fare “con” e non “di fronte a”. Non propongo performance spettacolari ma piuttosto performance nell’accezione di fare qui ora insieme: per formare, dare forma insieme con una finalità e una forma orientata, ma anche per formare collettività.

Le chiamate a partecipazione fanno sì che ogni partecipante non possa essere spettatore ma chiamato a fare altro, attraverso un gesto volontario, una scelta individuale di partecipare che dichiara la propria presenza, un esserci. Il tutto pensato al di fuori di schemi commerciali, in cui non si compra un biglietto ma si fa avvenire l’opera attraverso un processo di dono e controdono, in cui l’opera materiale si frammenta (le lettere) e quella immateriale crea unità.

Mi sembra fondamentale che ci siano parti dell’opera finale che avvengono grazie alla creatività di ogni partecipante. Nel caso di Corrispondenze Immaginarie, la parte più visibile sono le risposte scritte da chi ha compiuto un gesto volontario per aggiungere un tassello individuale all’opera collettiva. Quelle più invisibili, sono le composizioni grafiche che ogni copista pubblico ha composto, lasciando un segno indelebile della propria individualità attraverso la personale calligrafia. Ed infine, per i lettori che partecipano alle letture pensate come esperienze individuali, la parte immateriale è preponderante e chiude un cerchio che non può essere chiuso.

La relazione alla quale il progetto punta mettendo in contatto centinaia di persone che non si sono mai incontrate crea per me una reale (e non simbolica) fiducia emozionale nel sociale, ovvero una cognizione della realtà che non ha niente in comune con le esperienze del quotidiano. Uno di quei “significati” che non puoi spiegare razionalmente, solo sentire come un ragno, o come quando ascolti il merlo che viene a cantare davanti alla finestra.

Ci. Corrispondenze immaginarie © Guillaume Souweine

La scelta di allestire la performance in un luogo carico di storia come il Palazzo delle Poste ha una forte connotazione simbolica. In che modo il contesto architettonico e storico influisce sulla fruizione dell’opera e sulla narrazione che intende creare?

Sarà una sorpresa per tutti e non solo per me (ex postina per pagarmi gli studi) sapere come questo luogo influenzerà la fruizione dell’opera. Forse inizialmente, proprio questa mia esperienza giovanile ha giocato un ruolo irrazionale nella fascinazione totale che ho sentito per il Palazzo delle Poste di Trieste. Indipendentemente dal mio percorso però, questo luogo è speciale per la traiettoria delle lettere che animano il progetto, lettere che non sono mai state spedite e che avrebbero dovuto passare proprio da lì. Le Poste sono uno spazio pubblico, di circolazione, di smistamento, in cui nulla si ferma. Allestire uno spazio artistico agli sportelli postali potrà creare una pausa e sospensione del tempo, ma anche un modo per entrare in sintonia con tutto il passato che si respira nell’architettura di quel Palazzo e farlo risuonare con gli sbalzi temporali contenuti nella corrispondenza immaginaria che il progetto ha creato. C’è forse anche un voler giocare con la grandeur imperiale del luogo, una grandezza da misurare, da interrogare. Una persona alla volta, per ore ed ore forse si chiederanno cosa è importante e cosa non lo è, attraverso parole di chi agli occhi della società non è stato abbastanza importante.

Dopo la tappa di Trieste e Gorizia, quali sono gli sviluppi futuri di Ci. Corrispondenze Immaginarie?

Il progetto inaugura con “Lettura ad Personam” il 30 ottobre 2024 la collaborazione con GO!2025, la Capitale Europea della Cultura che nel 2025 ha sede a Nova Gorica-Gorizia, una speciale città che “appartiene” a due nazioni. Stiamo allestendo una tappa in lingua slovena prodotta da GO!2025, con lettere provenienti dagli archivi conservati presso il castello di Cmurek, ex ospedale psichiatrico al confine con l’Austria dove è stato allestito il Museo della follia (Muzej norosti). Per la prima volta le corrispondenze saranno in una lingua diversa dall’italiano, con una storia di dominazione linguistica alla quale sono fortemente sensibile e che mi dà coraggio per accingermi a questa nuova sfida!

Ci. Corrispondenze Immaginarie © Barbara Pasquariello

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