Qualità. Con questa sola parola possiamo definire l’Art Week torinese, che ha invaso la città sabauda di mostre e fiere dal 28 ottobre al 3 novembre, in occasione di Artissima, arrivata alla trentunesima edizione sotto l’illuminata e consapevole direzione di Luigi Fassi.
Intitolata The Era of Daydreaming, quest’anno ha riunito 189 gallerie nella sede dell’Oval. Stand molto curati, ottima selezione di opere, tre sezioni curate in maniera impeccabile rendono Artissima la migliore fiera italiana per l’arte delle ultime generazioni, testimoniata dalla presenza di gallerie internazionali di rilievo come Thomas Dane, Chertludde, A Gentil Carioca e Mor Charpentier, oltre al gotha delle italiane, dalle storiche Raffaella Cortese a Continua, da Alfonso Artiaco a Magazzino fino a quelle più aperte alle nuove generazioni come Monitor, Spazio A, Ex Elettrofonica o Matèria. Un segnale molto positivo è stata la presenza di molti artisti giovani con opere di rilievo, guardate con interesse sia dai collezionisti che dai curatori internazionali, presenti in grande numero a Torino. Le tendenze? Molta pittura ma anche ricerche originali nell’ambito della scultura, dove troviamo combinazioni di oggetti trovati con elementi scolpiti (Dominique White da Veda) o l’utilizzo di materiali come la cera (Bekhbaatar Enktur da Matèria) o addirittura la presenza di pesci tropicali vivi (Clara Hastrup da Matta). La stessa combinazione di qualità e sperimentazione si ritrova nelle mostre proposte dalle istituzioni pubbliche e private cittadine, che quest’anno si sono attivate per offrire al pubblico una panoramica di mostre collettive e personali di notevole livello.
A cominciare dalla Fondazione Merz, che presenta opere poco note o inedite di Mario Merz nella mostra antologica a lui dedicata “Qualcosa che toglie il peso che mantiene l’assurdità e la leggerezza della favola“, dove gli igloo e i tavoli dialogano con i dipinti dell’artista, caratterizzati da figure umane e animali dai tratti grotteschi e primitivi. La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo punta su tre mostre personali, dedicate ad artisti internazionali di generazioni diverse: Mark Manders (1968), Stefanie Heinze (1987) e Bekhbaatar Enkhtur (1994). Davvero di grande impatto “Silent Studio”, a cura di Bernardo Follini, dove Manders ricostruisce l’atmosfera del suo atelier con una ventina di opere, anche di grandi dimensioni, tra sculture, disegni, installazioni e dipinti. “I lavori di Manders – spiega il curatore – trasmettono un’idea di transitorietà e vulnerabilità, resa attraverso una conformazione apparentemente non finita e l’impiego di materiali solidi, come il bronzo, che simulano la fragilità dell’argilla”. Di minore impatto “Your Mouth Comes Second”, la personale della pittrice Stefanie Heinze, che riunisce una serie di tele improntate ad una ricerca in bilico tra astrazione e figurazione, sempre più frequente sulla scena internazionale e in questo caso non particolarmente innovativa. Decisamente più interessante “Hearsay”, la mostra del giovane mongolo Enkhtur, vincitore del premio Illy Present Future 2023, dove le sculture, in cera e metallo, dialogano tra loro in maniera misteriosa, legata a tradizioni orientali, tra sciamanesimo e superstizione.
Alle OGR Torino l’artista francese Cyprien Gaillard presenta Retinal Rivalry, una video installazione in 3D, curata da Samuele Piazza e concepita come un viaggio nella Germania contemporanea filmato ad altissima tecnologia (3D e riprese all’avanguardia girate a 120 FPS e proiettate in 4K). Paesaggi urbani ripresi in 12 città diverse, che mettono in discussione l’identità socioculturale tedesca, attraverso figure come Bach e Friedrich, manifestazioni come l’Oktober Fest o monumenti come il Muro di Berlino. Un utilizzo davvero sorprendente della tecnica della stereoscopia, applicata non al cinema commerciale ma ad un immaginario che trasforma la realtà in una fonte di profonde riflessioni sull’attualità.
Con la nuova direttrice Chiara Bertola, la GAM è protagonista di una vera rivoluzione, che parte dal riallestimento della collezione permanente, anche grazie all’apertura del secondo piano, che ospita la sezione Deposito Vivente, dove il pubblico può scoprire capolavori dei grandi maestri del Novecento – da Burri a Fontana, da Novelli a Fabri – in un allestimento dinamico, che presenta il museo come un organismo vivo e stimolante. Questa pluralità di punti di vista informa anche le mostre, dedicate a tre figure femminili: la prima è la pittrice impressionista Berthe Morisot, resa più moderna e fresca da un allestimento curato dall’artista contemporaneo Stefano Arienti, secondo una pratica molto diffusa all’estero ma assai poco praticata nel nostro paese, ancora inguaribilmente passatista. Il risultato è davvero efficace: le 50 opere di Morisot vengono rilette da Arienti in maniera raffinata e mai invasiva, offrendo ai dipinti un’ambientazione delicata e soffusa, ma non per questo poco significativa. Accanto all’esposizione di Morisot, la GAM propone l’antologica di Mary Heilmann (1940), curata da Chiara Bertola, che ha riunito sessanta opere per testimoniare la ricerca pittorica, astratta e dominata da colori vivaci e squillanti, di un’artista americana protagonista della controcultura degli anni Sessanta, la stagione della Beat Generation. Sorprendente per la sua complessità l’antologica di Maria Morganti, curata da Elena Volpato: una “pittrice concettuale”, capace di unire il gesto pittorico ad una processualità di notevole rigore formale, esplorando le potenzialità del monocromo come misura del mondo.
Al Museo d’Arte Orientale, passato e presente dialogano tra loro nella mostra “Rabbit Inhabits the Moon”, curata da Davide Quadrio e Joanne Kim, che analizza l’eredità di Nam June Paik e la sua influenza sulle generazioni contemporanee coreane, resa particolarmente seduttiva da un allestimento immersivo, giocato sui riflessi di luce provocati dal pavimento di specchio. L’attenzione del direttore verso l’arte contemporanea si misura anche dal progetto Declinazioni contemporanee: un programma di residenze d’artista che vede protagonisti quest’anno le installazioni di Qiu Zhijie, Charwei Tsai e Patrick Tuttofuoco. L’ennesima conferma dell’apertura verso il contemporaneo delle istituzioni che hanno reso Torino durante l’Art Week un hub dell’arte d’oggi, capace di attirare sulla città anche interessi ed energie internazionali.