Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea presenta Mutual Aid – Arte in collaborazione con la natura, a cura del direttore Francesco Manacorda e Marianna Vecellio. Un progetto espositivo dedicato alla visione multispecie, dove l’autorialità delle opere è da spartire tra artista e natura. Dal 31 ottobre 2024 al 23 marzo 2025.
Forse è il concetto d’arte stesso ad allontanarsi da quello di natura. Non che non vi abbia mai guardato come soggetto, come ispirazione, come tema d’analisi nei suoi manufatti, ma difatti ciò che rende tale manufatto un’opera è l’intervento umano. Uomo che, seguendo determinati passaggi ottiene determinati risultati. Uomo che, immettendo parte del suo spirito nella lavorazione, vi aggiunge una quota lirica che ne accende la materialità. Insomma, sia che si intenda l’arte più vicino all’artigianato o più vicina alla poesia, segue sempre il medesimo tragitto: dall’esterno all’uomo, dall’uomo all’esterno. Ma questi sono tempi duri, o più duri d’altri. Almeno se parliamo del nostro rapporto con la natura, sottoposta nell’ultimo secolo a stress come mai prima d’ora. E magari pure quando guardiamo all’arte, appiattita in una ripetizione dell’uguale, che in ogni epoca chiede di essere rivitalizzata da un’intuizione inedita.
Doppia esigenza che converge in Mutual Aid, esposizione che si distende lungo la Manica Lunga del Castello di Rivoli e prende piede dall’omonima saggio del filosofo russo Pëtr Kropotkin (1842–1921). Ne Il mutuo appoggio. Un fattore dell’evoluzione, in opposizione alle teorie del contemporaneo Charles Darwin, che vedeva nella competizione l’innesco fondamentale all’evoluzione, Kropotkin ipotizza che, in uno scenario instabile e con risorse limitate, la migliore opzione di sopravvivenza sia la collaborazione tra specie. Il “mutuo appoggio” tra i diversi elementi in gioco diviene quindi il fattore chiave dell’evoluzione e il cuore pulsante della mostra, dove ogni opera presentata è completata o co-realizzata grazie al contributo di elementi o agenti non umani.
A partire dalle imponenti tele di Vivian Suter, realizzate nel cuore della foresta pluviale guatemalteca ed esposte sospese al soffitto. Oltre all’intervento pittorico dell’artista, le opere portano con sé tracce visibili della natura, dalle piogge tropicali ai segni lasciati da animali. Più delicate e poetiche le ragnatele di Tomàs Saraceno, che si avvalso delle tele dei suoi ragni, poi avvolte da un manto di grafite che le rende visibili quanto basta per emergere dalla trasparenza dell’aria. Una cooperazione attiva, forse la più centrata dell’intera esposizione, è quella intessuta tra il francese Hubert Duprat e i tricotteri, insetti che costruiscono astucci protettivi utilizzando materiali preziosi forniti dall’artista quali perle, oro e pietre. Inconsapevoli, le creature hanno realizzato manufatti che abitano un territorio dai caratteri mutevoli, che spaziano dal rifugio all’opera d’arte, dal gioiello al residuo evolutivo.
Un affidamento guidato che utilizza anche l’egiziana Nour Mobarak nella sua serie di sculture Gods’ Facsimiles (Facsimili degli dei), 2023, in cui il micelio del fungo Trametes versicolor interviene direttamente sulla materia, trasformando le sculture in organismi viventi che mutano, decompongono e si ricompongono. Più didascalica, quasi da ready made, a tratti un po’ furba, la pratica di altri artisti in mostra, che selezionano dalla natura e ne elevano il comportamento ad opere d’arte attraverso processi concettuali. Tra questi Andrea Caretto & Raffaella Spagna, che in Être galet (Essere ciottolo), 2011, espongono i materiali sintetici raccolti nel fiume Rodano, trasformati e rimodellati dalla corrente. O Michel Blazy (Monaco, 1966), che in Le lâcher d’escargots (Il rilascio delle lumache), 2009, ha coinvolto delle lumache, le quali percorrono un tappeto lasciando scie che ricordano le intersezioni della pittura astratta.
Due approcci differenti al Mutual Aid invocato dalla curatela di Francesco Manacorda e Marianna Vecellio, che ad ogni modo riesce a trasmettere in modo efficace il pensiero in pratica, mostrando come in alcuni casi la natura possa sostituirsi o affiancare l’uomo nel suo ruolo di artista. Non come mezzo, non come tema, ma come autrice essa stessa. A tal punto che, alla fine della mostra, sorge spontanea una provocazione: a chi va affidata la paternità delle opere? è giusta che la conservi il solo artista? Probabilmente si, ma vederla spartita con l’agente naturale, sulle didascalie di mostra, sarebbe stato un colpo teatrale a chiosa di un’esposizione già audace.