Fausto Gilberti è un artista, pittore, disegnatore e autore. Vive a Brescia e lavora sia nella sua casa in città, dove, come lui stesso dice: “…lavoro sul tavolo della cucina perché quando si tratta di fare piccoli disegni o preparare un libro serve poco spazio, basta un tavolo…”, sia nello studio alle porte dell’operosa Valle Trompia, terra di industrie legate alla lavorazione dei metalli, dove Fausto si reca soltanto quando deve creare opere di grandi dimensioni.
Il suo lavoro si caratterizza per la creazione di opere, soprattutto disegni, che hanno per soggetto degli “omini”, come li chiama lui, stilizzati e “svestiti”, essenziali e sintetizzati con pochi tratti. Eppure di così forte efficacia e resa espressiva anche se privi di dettagli e caratterizzazioni. Una sorta di archetipo, di rappresentazione dell’uomo in chiave universale ridotto ai minimi termini.
Il tuo lavoro è prevalentemente in bianco nero e lambisce i confini tra disegno, pittura e illustrazione. Come si inserisce nel mondo dell’arte contemporanea?
Diciamo che volte il mio lavoro, da alcuni addetti ai lavori, viene frettolosamente incasellato in un genere. In realtà io fondo tantissime cose: la pittura antica e la pittura moderna. La folk art e il disegno contemporaneo. La letteratura e il cinema. Instagram e Pinterest. Tutto ciò che mi piace, mi interessa e attira la mia curiosità. Rubo, faccio mio e lo trasformo.
Che tecnica usi? Per realizzare i tuoi disegni: fai un disegno preparatorio?
Disegno di getto, a china con il pennello, e accetto volentieri l’errore che può capitare strada facendo, l’imprevisto, la macchia, perché può suggerirmi nuove vie da seguire e di conseguenza portarmi a risultati inattesi. Una vera e propria scoperta.
Hai una grande capacità tecnica di sintesi: come riesci con pochi tratti a rendere la precisa espressione di un volto?
Diciamo che lavoro da moltissimi anni sulla riduzione del mio segno al minimo e perciò sono molto allenato. È una sorta di alchimia. Basta modificare il segno di pochissimo: la sua direzione, la sua angolazione, la sua posizione, il suo spessore… che tutto cambia. Certo, bisogna anche saper metter questi segni sulla carta senza incertezze e paura, altrimenti non funziona granché la magia della sintesi.
Non sembri mai rassicurante e sembra che tu voglia raccontare il limite della follia umana, della tragedia quotidiana, le stranezze e le deviazioni dell’uomo contemporaneo, con le sue paure, le sue inquietudini e le sue debolezze nascoste.
Mi interessa e attrae ciò che si nasconde sotto l’apparenza. Il mistero. Il sotterraneo. Mi piacciono i film cupi e noir; adoro quelli di David Lynch, dove sogno e realtà si compenetrano, dove la trama non è mai scontata. Mi piacciono gli artisti che sanno creare stupore e sorpresa, ma anche inquietudine con le loro opere. Mi piace l’indefinito e l’indefinibile, ciò che non si riesce a descrivere, in tutti i campi creativi. E cerco di comunicarlo con i miei disegni.
Hai partecipato agli inizi della tua carriera a Pareti Bariatti nel 1999; hai vinto l’ottava edizione del Premio Cairo con l’opera: ”Trionfo della morte”; hai esposto nel primo decennio degli anni duemila con le gallerie Perugi a Padova e Giuseppe Pero a Milano, e partecipato a quasi tutte le fiere d’arte in giro per il mondo. Hai esposto da Marie Laure Fleisch a Roma e in molte altre gallerie d’arte e musei in Italia e all’estero. Attualmente esponi con la Galleria D406 di Modena e con Wizard a Milano, nella quale hai in corso una mostra personale dal titolo “Disegni Da Paura”. Ma chi è, invece, il tuo collezionista di riferimento?
Non ho nessun collezionista di riferimento in questo momento. Ero molto affezionato a Paolo Consolandi (raffinato collezionista mancato nel 2010 la cui collezione è visitabile nello studio notarile della figlia Claudia a Milano). Mi ha sostenuto comprandomi delle opere e metteva sempre una buona parola con gli altri collezionisti. L’ho frequentato negli anni in cui lavoravo con Andrea Perugi. Ci vedevamo a Milano e ci incontravamo nelle fiere in giro per il mondo: Miami, Basilea, Bruxelles, Madrid… Ricordo un pranzo a casa sua, nella sua sala bianca, così la chiamava: alle pareti c’erano appesi solo quadri bianchi di Fontana e Manzoni. Ero passato a trovarlo per portargli un mio libro d’artista per la sua collezione. Quel giorno mi mostrò la merda d’artista originale di Manzoni, e poi una piccola tela dipinta a fiori con un taglio in centro. Mi disse che l’aveva dipinta l’assistente giapponese di Lucio Fontana. Mi raccontò che un giorno andò nello studio di Fontana a comprare dei quadri e il grande artista insistette affinché prendesse anche un’opera del suo assistente. Consolandi scelse quella tela a fiori. Fontana, per ringraziarlo, la prese e la tagliò.
Poi la firmò sul retro, moltiplicandone così il valore in un istante.
Che ispirazioni artistiche hai avuto? Hai un modello artistico di riferimento?
Seguo molti artisti nei quali mi riconosco per affinità di idee e gusti, ma anche artisti molto diversi per stile dal mio. Ti faccio alcuni nomi, ma ce ne sarebbero tantissimi da citare, che sono per me fonte di ammirazione e di ispirazione: Beato Angelico, Rosso Fiorentino, Bosch, Van Eyck, Jean Dubuffet, Philip Guston, Peter Blake, Michaël Borremans, Henry Darger, Roger Ballen, Bill Traylor, L.S. Lowry, Stanley Donwood, Roman Signer, Mamma Andersson, Nicole Eisemann, Eward Munch, Tal R, Norbert Schwontkowski, Raymond Pettibon, Jochum Nordstrom, Dana Schutz, Nicole Eisenman, Peter Doig, Yoshitomo Nara… e il regista David Lynch, che ho già citato. Lo adoro da sempre. Lo considero davvero un artista totale. Hai mai visto i suoi quadri e i suoi disegni?
I libri illustrati che da alcuni anni stai pubblicando con l’editore Corraini e con la casa editrice inglese Phaidon e tradotti all’estero in molti paesi sono un veicolo di grande comunicazione perché li puoi trovare in qualsiasi libreria e bookshop museale nel mondo. Ti hanno aiutato a vendere qualche opera?
Sai che non lo so. Forse si, forse no. Con i libri ho allargato di molto il mio pubblico, ma spesso i miei nuovi estimatori non combaciano con quelli dell’arte. Sono lettori comuni, magari appassionati d’arte, ma non collezionisti. Con i libri ho attraversato un confine e messo un piede fuori dalla nicchia autoreferenziale del mondo dell’arte contemporanea. Perciò, può succedere che qualcuno ti snobbi perché non sa dove posizionarti e perché non stai rispettando certe dinamiche.
Preferisci essere conosciuto e considerato per la pubblicazione di libri o per la realizzazione di opere d’arte?
Non mi interessa più dividere le due attività in termini di valore. Sono sempre io. Quando lavoro a un libro utilizzo lo stesso approccio creativo, la stessa serietà, la stessa libertà, di quando preparo una mostra o faccio una una serie di disegni.
Hai sempre eseguito opere con personaggi senza sfondo: c’è una scelta precisa? Ora invece, negli ultimi lavori hai creato delle suggestioni con sfondi pieni di particolari e molto dark come nella serie ‘Disegni da paura’.
Lo sfondo bianco l’ho sempre considerato come lo sfondo oro della pittura bizantina e del primo medioevo. Ha un valore simbolico. Isola le figure e le rende evocative. Statiche e immobili come piace a me. I lavori della serie ‘Disegni Da Paura’ rivelano invece il mio bisogno di riempire e di disegnare in modo più pittorico, di usare tutte le gradazioni del nero, diluendo e sgocciolando la china, perfino buttarla letteralmente sul foglio, “botte di china”, così le ha definite il mio amico scrittore Sacha Naspini. Mi piace molto come definizione. Considero questi nuovi disegni alla stregua di dipinti su carta. La tecnica contribuisce ad amplificare e rafforzare il tema dei disegni.
Rockstars del 2011 e la nuova edizione Reloaded del 2016 è una memorabile raccolta di disegni delle rock band, una perlustrazione quasi enciclopedica delle band musicali, come ti è nata questa idea?
Nasce da una serie di disegni dedicati alla musica che realizzai in quegli anni. Li esposi in alcune mostre, come quella al museo Pecci di Prato intitolata Live: l’arte incontra il rock, curata da Marco Bazzini e Luca Beatrice. Pensai che sarebbe stato bello riunirli in una pubblicazione (ne avevo fatti circa 600). L’editore Corraini mi chiedeva da anni di fare un libro, ma io non avevo idea su come realizzarlo. Così pensai di farglieli vedere. Mi disse che era una bellissima idea e che nel loro catalogo non c’era ancora un libro “musicale”. Così li selezionai e gli diedi un ordine cronologico per dargli un senso (non volevo farne un catalogo in stile mondo dell’arte, ma un vero libro).
Ne scelsi circa duecento da pubblicare. Poi scrissi alcune pagine con il racconto del mio incontro negli anni con la musica, da inserire tra i vari paragrafi. Boom! il libro venne prestissimo alla luce.
Ero davvero contento e soddisfatto. Avevo fatto qualcosa di bello e nuovo.
Vedevo davanti a me una strada nuova, da percorrere con entusiasmo: quella dei libri illustrati.
Crei atmosfere spesso lugubri nel tuo lavoro e raffiguri in modo personale l’iconografia della morte. Sei ironico o tragico?
Mi piacciono le atmosfere noir, l’immaginario cupo e lo humor nero di certi autori: sia pittori, sia registi, sia scrittori, sia musicisti. Mi interessa il tema della morte e le interpretazioni che gli artisti in tutte epoche ne hanno fatto. È un puro interesse estetico però. Sono sempre ironico.
Dici di te di essere pigro, quante ore dedichi in un giorno al lavoro, come si organizza la tua giornata tipo?
A volte lavoro tutto il giorno. A volte invece succede che non mi capita di toccare nemmeno un pennarello per giorni. Passo il tempo a leggere, a guardare serie TV, ad ascoltare musica, oppure esco di casa a farmi un giro in bicicletta o a correre. Ma forse, pensando a quello che disse lo scrittore Joseph Conrad: “Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando?”, credo l’artista lavori sempre, anche quando agli altri sembra che non stia facendo un cazzo.
In Italia ci sono altri artisti che usano una certa tendenza all’ironia: omaggiano o oltraggiano altri artisti. Cosa ti distingue o unisce da loro. Sto pensando a Gabriele Picco (bresciano anche lui), Laurina Paperina, Agnese Guido, Laboratorio Saccardi, solo per citarne alcuni? Vi conoscete e confrontate?
Io e Paperina abbiamo fatto un pezzo di strada insieme: fiere, mostre… perché alcuni anni fa lavoravamo con lo stesso gallerista. Gli altri che citi sono tutti artisti che come me prediligono spesso lavorare con il disegno e la pittura, fondendo i generi più vari, anche quelli considerati di serie B. Ognuno però, in modo diverso, con una forte personalità e identità, senza omologarsi alle tendenze imperanti, o alle mode passeggere.
Ti capitano mai lavori su commissione? Ti hanno mai chiesto un ritratto?
Qualche volta succede. Ritratti di famiglia alla mia maniera.
Hai mai rifatto un disegno, ripetendolo, per poterlo mettere sul mercato?
No.
Non sei estroso ed eccentrico come ci si aspetterebbe da un artista; sembri una persona molto normale, pacata, quasi sotto traccia, discreto fino alla timidezza.
Riduco al minimo anche me stesso oltre al mio segno.
Sei una persona molto posata e apparentemente molto riservata, qual è la cazzata più grande che hai fatto che ti piace raccontare?
Non posso rivelarla, altrimenti rischierei l’arresto.
Hai un archivio ben tenuto? Hai tutte le opere catalogate?
Abbastanza. Magari non ho le immagini di tutte le opere che ho fatto, perché quando produci migliaia di disegni succede che non ti ricordi sempre di fotografarli. Questo succedeva soprattutto alcuni anni fa, quando era più complicato fotografarli e archiviarli. Ti ricordi le diapositive? Adesso, per fortuna, con il digitale risulta tutto più semplice e veloce.
Perciò sono più ordinato e preciso.
Sai dire quante opere hai fatto fino ad oggi?
Non so dirtelo con esattezza. Disegni migliaia.
Quadri su tela un centinaio. Video-animazioni una.
Installazioni una decina. Wall-painting idem, anche se quasi tutti sono stati cancellati a fine mostra. Sculture alcune, ma in tempi molto, molto remoti.
Poi ci sono le stampe (serigrafie, fine art, incisioni…), qualche oggetto in tiratura limitata come uno Skateboard e delle t-shirt. Alcune ceramiche, fatte anche quelle molti anni fa. E per ultimo i libri pubblicati come autore, che a oggi sono sedici. Di sicuro avrò lasciato fuori qualcosa dalla lista… A ecco, i lavori fritti, che ho fatto verso la fine degli anni ’90, che però non so davvero come definire: pittura, scultura, disegno, altro… frittura?