
Per chi non conoscesse gli spazi di Mutina a Fiorano Modenese, consigliamo una visita all’insegna della “bellezza dell’oggetto”, che non è semplicemente relativa all’attuale esposizione curata da Sarah Cosulich in occasione di Arte Fiera e del ventesimo compleanno di Mutina, “Ode to things”, ma è un vero e proprio viaggio tra l’identità che il collezionista e CEO dell’azienda di ceramiche Massimo Orsini ha scelto per la sua attività imprenditoriale, la cui volontà prosegue nell’innovazione del campo delle superfici

Entrata nel mondo del contemporaneo nel 2017 con il progetto Mutina for Art, a Fiorano Modenese negli scorsi anni è nato anche MUT, lo spazio espositivo “interno” che, da qui, ha messo radici anche nel centro storico di Modena e a Milano, con Casa Mutina a Brera, in via Cernaia, dove si sono susseguiti negli ultimi anni i progetti di Peter Dreher, Nathalie Du Pasquier, Ronan Bouroullec o la splendida installazione di Luigi Ghirri, Between the Lines arrivando fino ad oggi, con le fotografie di Robert Adams.
Ma torniamo nel modenese: “Ode to Things”, il cui titolo è liberamente preso dall’omonima poesia di Pablo Neruda, è anche una celebrazione delle tre anime dell’azienda: arte, design e ceramica, e ovviamente alla libertà creativa e all’inventiva.
“Amo le cose pazze/ pazzamente”, attaccava nella sua ode agli oggetti il poeta cileno, e a Fiorano l’evocazione e la fascinazione per la vita delle “cose” inanimate e la loro profonda connessione con lo spazio e con l’esperienza umana è tangibile attraverso un allestimento raffinato e profondo che mette in dialogo Filippo de Pisis con un suo Vaso di Fiori, 1951, e lo splendido vaso-bolla di Ingeborg Lundin, quasi coetaneo (1957), ma anche gli splendidi esemplari di Bouroullec realizzati proprio per Mutina nel 2021 e nell’ultimo anno, in una incredibile variazione di elementi geometrici in ceramica e vetro. E ancora alcuni esemplari dei “bicchieri” di Peter Dreher, Tag um tag guter tag, 2007 con le ricerche sulla brocca di Franco Vimercati, 1980, e le confezioni di medicinali di Damien Hirst in uno dei suoi celebri armadietti (Untitled, 1992), e poi Rudolf Stingel ed Ettore Sottsass, fino a tornare a Nathalie Du Pasquier, in un circolo di affetto e sorpresa.

Una esplorazione della natura morta, “indagando come gli oggetti—vasi, bottiglie, bicchieri—si riflettono, riecheggiano e si moltiplicano nello spazio”, si legge nel testo che accompagna la mostra.
Perché, ritornando a Neruda, non è vero che si ama solo ciò che salta, s’arrampica, sopravvive, sospira: “Non è vero/ molte cose/ mi hanno detto tutto./ Non solo m’hanno toccato/ o le ha toccate la mia mano,/ ma m’hanno accompagnato/ in modo tale/ la mia esistenza/ che con me sono esistite”.
Un omaggio all’inanimato che ci anima, e che amiamo.










