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La rivincita del Futurismo. Parla Gabriele Simongini

Il tempo del Futurismo, salone aeropittura Il tempo del Futurismo, salone aeropittura
Il tempo del Futurismo, salone aeropittura
Il tempo del Futurismo, salone aeropittura
A pochi giorni dalla chiusura della mostra Il Tempo del Futurismo, alla Galleria Nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma, parola al curatore

Si è appena conclusa con uno straordinario successo di pubblico che ha messo a tacere le polemiche nate – caso più unico che raro – prima ancora della sua inaugurazione, Il Tempo del Futurismo, la rassegna sull’avanguardia italiana organizzata dalla Galleria Nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma per gli ottant’anni dalla morte di Marinetti. Ne abbiamo discusso con il curatore Gabriele Simongini, che ha seguito passo passo tutte le fasi della rassegna.

La mostra Il Tempo del Futurismo è finita, ma per parlare di futurismo siamo sempre in tempo. Ti ritieni pienamente soddisfatto?
“Nella vita si può fare sempre di meglio, bisogna accettare i propri limiti ma devo dire che, date le condizioni difficilissime in cui la mostra è nata, posso ritenermi più che soddisfatto. Moltissimi visitatori fra cui tantissimi giovani hanno plaudito alla mostra per aver fatto conoscere il Futurismo a chi non lo conosceva, in modi coinvolgenti e vivaci. Con 161.307 visitatori siamo la mostra più visitata, dopo quella di Van Gogh del 1988, nella storia della GNAMC. Però non posso dimenticare le bugie a scopo politico-ideologico, le manipolazioni, le offese personali, i tradimenti dal punto di vista umano che ho dovuto sopportare già da luglio scorso, almeno cinque mesi che la mostra aprisse. Una vergogna”.

⁠L’aspetto più intrigante della mostra è stato senza dubbio il focus sul tempo, che hai reso ospitando moto aerei e auto d’epoca insieme ai dipinti e alle sculture…
“Alcuni addetti ai lavori chiedevano opere inedite e novità attribuzionistiche, una cosa davvero pericolosa e fuori luogo visti i rischi sottesi ad una mostra del genere, con tutti i riflettori mediatici addosso. Non oso pensare che cosa sarebbe successo se fosse saltata fuori un’opera dubbia o addirittura ritenuta falsa…Ma pochi addetti ai lavori hanno capito che la novità scientifica della mostra è stata la mostra stessa, il suo taglio, la contestualizzazione con l’epoca in cui sono vissuti i futuristi, il rapporto con la tecnologia, l’idea di esporre ben 139 opere della GNAMC, molte delle quali provenienti dai depositi, per creare un flusso continuo fra mostra e museo e soprattutto l’ipotesi che “Il Tempo del Futurismo” arrivi fino ad oggi. Ho creato, secondo lo spirito futurista, la prima mostra in divenire che dopo la proroga è cambiata arricchendosi con otto nuovi capolavori. Grazie anche a questa mostra la GNAMC è tornata ad essere un grande museo”.

 

Il Tempo del Futurismo, arte meccanica
Il Tempo del Futurismo, arte meccanica

⁠La gestazione della mostra è stata lunga e, per usare un eufemismo, travagliata… Che bilancio ne hai tratto?
“E’ evidente che il Futurismo divide ancora gli animi dal punto di vista politico, mentre il Futurismo non è né di destra né di sinistra. Purtroppo, però, per quanto riguarda il discorso Futurismo/fascismo, prevale l’ignoranza, non si conoscono i fatti né come sono andate le cose. Oppure si manipola la storia a scopo ideologico. Ecco che cosa scriveva Bruno Corra sulla rivista «Futurismo» del 12 marzo 1933: “Bisogna dire che nel nostro movimento i termini di sinistra e destra non si oppongono, perdono cioè il loro significato convenzionale. La mentalità supera il contrasto fra il sovvertimento e la conservazione, in quanto si libera di continuo in uno slancio creativo”. Aveva ragione. Pur sapendolo in partenza, ho però capito meglio la profonda ferocia del mondo dell’arte, o perlomeno di una sua parte. Ci hanno scatenato contro una guerra brutale dal punto di vista mediatico senza il minimo rispetto per chi ci ha lavorato in piena buona fede”.

Le critiche sono inevitabili. Qual è stata, a tuo avviso, la più costruttiva?
“Le critiche più costruttive riguardano le lacune della mostra riguardo al teatro e alla fotografia, due settori importanti delle ricerche futuriste a cui mi dedicherò prossimamente”.

⁠E la più ingiusta?
“Sono tuttora sconcertato dal fatto che la mostra sia stata criticata molti mesi prima che si inaugurasse, senza vederla. Perfino dopo l’inaugurazione alcuni, fra cui Tomaso Montanari in primis, hanno avuto il coraggio di attaccarla pesantemente, per un pregiudizio ideologico, dicendo che comunque non l’avrebbero visitata. E’ proprio un pessimo messaggio da trasmettere ai giovani: criticare a scatola chiusa e senza vedere. Le critiche ingiuste si sprecano, c’è solo l’imbarazzo della scelta. La mostra è stata definita “una cialtroneria”, una mostra fascista realizzata da “personaggi pagliacceschi”, una “mostra di propaganda”, “fallita ancora prima di essere inaugurata”, ecc. In particolare sono vergognose le campagne denigratorie realizzate da alcune riviste d’arte.

 

Il Tempo del Futurismo, gli intonarumori di Russolo
Il Tempo del Futurismo, gli intonarumori di Russolo

Una delle accuse più infamanti è stata quella di aver fatto una mostra ideologica, politica. Che rapporti hai intrattenuto col ministro Sangiuliano prima e poi con Giuli?
“Chi l’ha visitata può giudicare, non c’era nulla di ideologico né di politico. E’ una mostra cristallina, fondata sull’estrema qualità delle opere esposte e su un taglio innovativo. Desidero ringraziare moltissimo l’ex Ministro Sangiuliano per il coraggio di avermi affidato, in piena libertà, la responsabilità totale di una mostra così difficile, credendo nell’impostazione innovativa che ho voluto dargli. Così come ringrazio il Ministro Giuli per aver continuato a sostenerci con forza ed entusiasmo anche nel pieno della bufera mediatica. Fra l’altro è sua l’idea di inaugurare la mostra il 2 dicembre 2024, ad ottant’anni esatti dalla scomparsa di Marinetti. Ma voglio ringraziare anche il Direttore generale musei del MIC, Massimo Osanna, che ci è stato sempre vicino in quest’impresa”.

E con la direttrice della Gnamc?
“Renata Cristina Mazzantini è una persona eccezionale. Dal momento del suo arrivo alla direzione della GNAMC si è impegnata anima e corpo per questa mostra, sciogliendo tante difficoltà burocratiche, arricchendo la mostra con alcuni prestiti molto importanti dovuti alle sue relazioni e rafforzando l’allestimento con alcune scelte geniali. E’ stata la “Fata del Futurismo” che ha risolto tanti problemi con coraggio e determinazione, senza scoraggiarsi mai. Sicuramente riporterà rapidamente la GNAMC agli alti livelli che competono a questo museo straordinario”.

Qual è la scelta o la soluzione adottata di cui sei più orgoglioso?
“Senza dubbio tutti unanimemente hanno elogiato l’avvio della mostra con il dialogo eccezionale fra “Il Sole” di Pellizza da Volpedo e “Lampada ad arco” di Balla. Avevo sognato questo confronto 40 anni fa, quando venivo alla GNAMC a studiare. Ho messo da parte qualsiasi narcisismo e protagonismo curatoriale per lasciar parlare soprattutto la qualità e la bellezza delle opere, due valori che oggi vengono spesso trascurati per dare perlopiù rilievo all’egolatria del curatore di turno. Ho cercato di dar vita e ritmo ad una “mostra di stati d’animo”, volta a coinvolgere emotivamente il visitatore di sala in sala con un percorso polifonico. La mostra era fondata su un flusso continuo e quasi ininterrotto, rafforzato dalle superfici specchianti che smaterializzavano i varchi fra sala e sala creando una continuità dinamica di riflessi fra i vari ambienti ed un effetto sorpresa laddove all’improvviso il visitatore vedeva anticipate negli specchi opere delle sale successive: il “dopo” convive col “prima”. Si è realizzata così una sorta di simultaneità visiva, sia pur parziale e frammentaria, in omaggio ai futuristi. Un percorso che si avviava alla conclusione nel grande salone dedicato all’eredità del Futurismo e che ho pensato anche come “sala dei 4 elementi”: l’acqua di Pascali, l’aria/cosmo di Fontana, la terra di Burri (mi ha colpito, a tal proposito, l’ipotesi suggestiva di Giovanni Lista, secondo cui sia Burri che Fontana sono eredi di fatto dell’aeropittura: il primo per uno sguardo verso il basso e l’altro verso l’alto) e il fuoco/luce di Dorazio. In qualche modo, l’eredità del Futurismo consiste anche in un ritorno archetipo all’origine. E poi sono fiero di aver costruito una mostra chiara e comprensibile a tutti ma con un taglio grandioso, epico, come è stata epica l’avventura futurista. E, infine, di aver messo in rapporto la profetica visionarietà futurista con l’epoca odierna, fino all’intelligenza artificiale e agli algoritmi generativi usati nella installazione multisensoriale di Magister Art”.

 

Il Tempo del Futurismo, salone centrale
Il Tempo del Futurismo, salone centrale

Una mostra con cinquecento opere non si prepara in un giorno. Il rischio di imbattersi in un falso è dietro l’angolo. A quali criteri guida ti sei attenuto nella selezione di opere e artisti?
“Ho esposto solo opere con una storia certa ed inattaccabile, dopo una lunga ed attenta selezione. Per fortuna è stato scelto un curatore che, come me, è immune da interessi di mercato e dal rilascio di autentiche, altrimenti non so come sarebbe andata a finire”.

Qual è stato il feedback generale dei visitatori? Cosa speri che abbiano “portato a casa” dopo essersi immersi nel Tempo del Futurismo?
“La risposta dei visitatori è stata eccezionale anche dal punto di vista mio personale, in molti mi hanno manifestato il loro gradimento ed entusiasmo. Spero che abbiano capito e soprattutto sentito la grandezza di questi artisti e la genialità incendiaria di Marinetti, comprendendo anche che per molti aspetti il Futurismo è quanto mai vivo proprio oggi. Spero che lo sentano come un patrimonio assoluto della nostra cultura di cui essere tutti orgogliosi”.

Marinetti sarebbe stato soddisfatto, secondo te, di una rassegna come questa?
“E’ molto difficile rispondere in tutta umiltà ma penso di sì perché avrebbe apprezzato la profonda onestà intellettuale e il coraggio da cui nasce questa mostra. E soprattutto avrebbe riso a crepapelle e con soddisfazione delle polemiche scatenate ben sei prima dell’inaugurazione, come sarebbe piaciuto a lui che pagava i giornalisti per parlare male delle mostre futuriste mentre noi abbiamo avuto una straordinaria pubblicità tutta gratis. Un vero boomerang ed una autentica umiliazione per i nostri feroci detrattori”.

 

Gabriele Simongini
Gabriele Simongini

Cosa ti ha lasciato, a livello personale e professionale, l’esperienza di curare questa mostra? C’è stata una scoperta o una conferma particolarmente importante per te?
“Per certi aspetti, a livello umano, mi ha lasciato un po’ di amarezza, perché vedersi pubblicate le proprie chat personali a mia insaputa è stato un vero e proprio tradimento inaccettabile. Così come sentirsi chiamare “fascista”, ex squadrista, amico di ex picchiatori, dal direttore di un famoso magazine online solo per aver fatto questa mostra è davvero grave. Ma ora ho capito meglio tante cose e sono molto più forte caratterialmente ed intellettualmente. Ho realizzato un sogno e credo ancora di più nella forza dell’utopia trasformatrice, quella dei futuristi”.

Hai in cantiere altri progetti legati al Futurismo? ‎
“Questa mostra ha risvegliato un entusiasmo incredibile per il Futurismo e ho in mente una serie di focus intitolati “Futurismo diffuso” che porterebbero alla realizzazione di tante rassegne su singole tematiche futuriste in molte città italiane ed anche all’estero. Intanto, in autunno curerò una mostra sul grandissimo Luigi Russolo, non ancora conosciuto ed apprezzato come meriterebbe, nella sua cittadina natale, Portogruaro, ma ho molti altri progetti in divenire, come sarebbe piaciuto ai futuristi”.

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