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I sogni innocenti. Shirin Neshat al PAC

Shirin Neshat, Soliloquy, 2000, Still da video, Video installazione a due canali, Copyright Shirin Neshat, Courtesy l’artista e Gladstone Gallery Shirin Neshat, Soliloquy, 2000, Still da video, Video installazione a due canali, Copyright Shirin Neshat, Courtesy l’artista e Gladstone Gallery
Shirin Neshat, Soliloquy, 2000, Still da video, Video installazione a due canali, Copyright Shirin Neshat, Courtesy l’artista e Gladstone Gallery
Shirin Neshat, Soliloquy, 2000, Still da video, Video installazione a due canali, Copyright Shirin Neshat, Courtesy l’artista e Gladstone Gallery
Fino all’8 giugno Shirin Neshat protagonista al Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano con la mostra Body of evidence

Shirin Neshat è una delle voci più potenti della nostra epoca e, con la sua arte espressa attraverso diversi mezzi espressivi, come fotografia, video e cinema, lancia messaggi incessanti per riflettere sulla complessità della condizione umana. L’artista e regista di origine iraniana, che vive a New York dal 1974, solo dopo la morte di Khomeini, avvenuta nel 1989, è riuscita a ritornare nel proprio Paese d’origine. E, dopo il suo primo viaggio di ritorno nel 1990, è rimasta profondamente impressionata dai cambiamenti imposti dal regime. Da qui in poi Neshat ha iniziato a riflettere sulle profonde trasformazioni avvenute nel suo Paese in seguito alla Rivoluzione islamica del 1979.

Riflessione che l’ha portata nel corso della sua ricerca anche ad affrontare il tema del ruolo della donna mettendo in relazione religione islamica e femminismo. Ad analizzare le dinamiche che stanno dietro alle strutture sociali nei rapporti tra i generi, e anche a interrogarsi sulla sua stessa posizione di esule. In equilibrio tra due mondi nei quali si è spesso sentita al tempo stesso, e in modi diversi, parte e marginalizzata. Il Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano presenta, fino all’8 giugno, Body of Evidence, l’ampia personale di Shirin Neshat (Qazvin, 1957), vincitrice del Leone d’Oro alla Biennale di Venezia nel 1999, del Leone d’Argento per la Miglior Regia al Film Festival di Venezia nel 2009 e del Praemium Imperiale a Tokyo nel 2017.

Il percorso di questa mostra, che non segue un ordine cronologico, ma si dispiega attraverso i linguaggi e i media privilegiati dall’artista – la fotografia e il video –, conduce al cuore di queste indagini. In alcuni casi la tematica politica delle opere è più esplicita, mentre in altri la messa in discussione di convinzioni culturali radicate si rivolge tanto all’Occidente quanto all’Oriente islamico, aprendo così a una serie di interrogativi. Curata da Diego Sileo e Beatrice Benedetti, la mostra al PAC ripercorre oltre trent’anni di carriera dell’artista, attraverso una decina di videoinstallazioni e quasi duecento opere fotografiche, entrate a far parte delle maggiori collezioni museali al mondo, come quelle del Whitney Museum, del MoMA, del Guggenheim di New York e della Tate Modern.

 

Shirin Neshat, Rebellious Silence, 1994, Copyright Shirin Neshat
Shirin Neshat, Rebellious Silence, 1994, Copyright Shirin Neshat

Per Shirin Neshat: “Tutti i miei primi lavori – Women of Allah e Book of Kings – hanno un’impronta politica. Tuttavia, avevo già iniziato a gravitare verso il Realismo Magico, poi verso i sogni stessi. I sogni sono innocenti. Si può uccidere una persona in un sogno, ma è solo un sogno. I sogni hanno riferimenti alla realtà, ma non sono reali. Sogniamo indipendentemente dalla nostra provenienza. I nostri incubi sono comuni: paura dell’abbandono, della morte”.

La ricerca di Shirin Neshat travalica il tema di genere e, partendo dal dualismo uomo-donna, indaga le tensioni tra appartenenza ed esilio, salute e disagio mentale, sogno e realtà, dagli esordi nei primi anni Novanta con la serie fotografica Women of Allah, i celebri corpi femminili istoriati con calligrafie poetiche, fino a The Fury, videoinstallazione che anticipa il movimento Woman, Life, Freedom. La Trilogy of Duality con Turbulent (1998), Rapture (1999) e Fervor (2000) accoglie il visitatore all’ingresso del percorso.

Per la curatrice Beatrice Benedetti: “Nel caso di Shirin Neshat il sogno può essere senza dubbio accomunato all’esperienza dell’esilio. Che rende più immaginifico, ma al contempo più obiettivo, lo sguardo sulla propria situazione e sul proprio contesto sociale. Elementi e atmosfere sognanti si ritrovano anche nei video della cosiddetta Trilogy of Duality. Per i quali l’artista sceglie l’astrazione del bianco e nero e l’assenza di dialogo,sostituito dal riecheggiare di suoni e voci ancestrali. A questo si aggiunge che i primi due capitoli Turbulent (1998) e Rapture (1999) sono frammenti narrativi sospesi, senza un inizio e un finale, accomunati da un allegorico duello tra i sessi. Mentre lo scenario di Turbulent è un teatro, Rapture è girato in Marocco, nella fortezza di Essaouira, set di alcune riprese di Otello (1951) di Orson Welles. Rispetto al film sul dramma della gelosia di Shakespeare, come spesso accade, l’opera di Neshat inverte il punto di vista: sono le donne a partire per mare mentre gli uomini rimangono arroccati nella fortezza”.

 

Shirin Neshat, The Book of Kings, 2012, Inchiostro e acrilico su stampa ai sali d’argento, Copyright Shirin Neshat, Courtesy l’artista, Gladstone Gallery e Noirmontartproduction
Shirin Neshat, The Book of Kings, 2012, Inchiostro e acrilico su stampa ai sali d’argento, Copyright Shirin Neshat, Courtesy l’artista, Gladstone Gallery e Noirmontartproduction

In Land of Dreams (2019-2021) continua Benedetti: “traendo come Kurosawa ispirazione dai propri sogni, Shirin Neshat lascia intravedere nella sua carriera tracce del vissuto privato. Della sua condizione di artista, donna ed esule iraniana, trasformando così l’inconscio personale in un profondo sentire collettivo e politico”. E nel più recente The Fury (2023) invece si fa ancora pressante la condizione della donna. Osserva la curatrice: “Nel recente ciclo multimediale The Fury (2023), Shirin Neshat torna in maniera esplicita su temi politici e sulla condizione femminile. Dopo trent’anni dalle prime Women of Allah, sempre con la sua lente dotata di un mirino che distanzia il fuoco. Nella serie fotografica, i corpi delle donne sono presentati per la prima volta nudi o seminudi in tutta la loro vulnerabilità. Che corrisponde anche a un potere seduttivo inestinguibile, trasmesso attraverso sguardi profondi e affascinanti calligrafie da interpretare. Nell’omonima video-installazione a due canali in bianco e nero, Neshat consegna immagini potenzialmente realistiche all’atemporalità universale dell’arte, presentando la danza macabra di una donna ai limiti della sanità mentale, livida e seminuda di fronte ai suoi aguzzini: una testimonianza immaginata che diviene reale se confrontata con ciò che accade in diversi luoghi del mondo, dall’Iran all’Ucraina, dal Sudan alla Turchia, da Gaza a Guantanamo. La protagonista del video, ancora l’attrice Sheila Vand (Simin in Land of Dreams), fugge dalle mura della sua prigionia verso la luce. In una serie di sequenze sospese tra finzione e realtà, tra il Surrealismo e il Neorealismo di Rossellini o di Pier Paolo Pasolini. La furia del titolo “esplode” in una città ideale, archetipica. Dove, in alcuni istanti concitati si scatena il senso di oppressione di cui è imbevuta tutta la produzione dell’artista, anche attraverso i ritmi tribali del sonoro”.

 

Shirin Neshat, The Fury, 2023, Still da video, Video installazione a due canali, Copyright Shirin Neshat, Courtesy l’artista e Gladstone Gallery
Shirin Neshat, The Fury, 2023, Still da video, Video installazione a due canali, Copyright Shirin Neshat, Courtesy l’artista e Gladstone Gallery

Al primo piano del PAC, nella Project Room è in corso anche la prima personale in Italia di Celine Croze. Nata in Marocco, residente a Parigi e fotografa con un background di studi in cinematografia. Qui presenta il progetto SQEVNV, acronimo di Siempre Que Estemos Vivos Nos Veremos. Claudio Composti, il curatore, lo descrive con queste parole: “È una visione intima sulla violenza in America Latina. Immagini notturne, potenti, color pastello, dominate da un’atmosfera onirica, in cui amore e morte convivono. Come se sangue, morte e potere rendessero le persone più vive”.

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