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Wes Anderson incanta il Festival di Cannes, entrerà nel Palmares?

Wes Anderson, The Phoenician Scheme, Festival di Cannes Wes Anderson, The Phoenician Scheme, Festival di Cannes
Wes Anderson, The Phoenician Scheme, Festival di Cannes
Wes Anderson, The Phoenician Scheme, Festival di Cannes
Stampa e pubblico del Festival in adorazione del regista e del suo cast stellare, da Benicio del Toro a Mia Theaplerton (figlia di Kate Winslet agli esordi)

Era senza dubbio il film più atteso del Festival. The Phoenician Scheme rappresentava la grande scommessa di Cannes per catalizzare l’attenzione del pubblico e della stampa, una sorta di canto delle sirene pensato per attrarre spettatori da tutto il mondo. Il cast, d’altronde, è tra i più stellari degli ultimi anni: Benicio Del Toro, Mia Mia Theaplerton (figlia di Kate Winslet, qui al debutto), Scarlett Johansson, Tom Hanks, Benedict Cumberbatch, Bill Murray, Michael Cera, Willem Dafoe, Bryan Cranston, Charlotte Gainsbourg, Matthieu Amalric, Riz Ahmed, Rupert Friend, F. Murray Abraham e Richard Ayoade.

Nonostante qualche scetticismo emerso durante le proiezioni anticipate – blindatissime e accolte con reazioni tiepide – il nuovo film di Wes Anderson è stato infine accolto sulla Croisette come una delle proposte più interessanti del concorso, in un’edizione giudicata dagli insider piuttosto sottotono.

 

Wes Anderson, The Phoenician Scheme, Festival di Cannes
Wes Anderson, The Phoenician Scheme, Festival di Cannes
The Phoenician Scheme – una trama ambiziosa e bizantina

Ambientato nel paese fittizio di Moderna Grande Fenicia Indipendente, un territorio ispirato vagamente alla Penisola Arabica degli anni ’50, il film segue le vicende di Zsa-zsa Korda (Benicio del Toro), un magnate d’affari internazionale noto tanto per la sua abilità nei negoziati quanto per il suo passato discutibile. Dopo essere sopravvissuto a un attentato aereo, Zsa-zsa decide di rimettere ordine nella propria vita: intende riconciliare i rapporti con la figlia Leisl (Mia Threapleton), novizia in convento che non gli ha mai perdonato la responsabilità, diretta o indiretta, nella morte della madre, e portare a termine un colossale progetto infrastrutturale che rappresenta il coronamento della sua carriera.

Il progetto, diviso in tre parti – una galleria ferroviaria trans-montana, un canale interno trans-desertico e una diga trans-bacino – richiede ingenti fondi, e così Zsa-zsa, accompagnato da Leisl e dal suo pedante tutor svedese Bjorn (Michael Cera), intraprende un tour diplomatico e commerciale attraverso il paese per cercare finanziatori. Gli incontri con banchieri, politici e rivali economici si trasformano in grottesche trattative tra salotti borghesi, campi da basket e sale da tè, sempre con il consueto tocco estetico e surreale tipico di Anderson. Nel corso del viaggio, padre e figlia si scontrano, si avvicinano, si raccontano. E Zsa-zsa, sempre più consapevole della vacuità del suo impero, viene colpito da visioni oniriche in bianco e nero, ispirate al cinema simbolico sovietico, a 8 e ½ di Fellini, che lo costringono a confrontarsi con la propria mortalità e solitudine.

 

 

Dietro la brillante ironia visiva e i meccanismi narrativi a orologeria, Anderson racconta una storia profondamente umana di fallimento e riscatto, offrendo al suo protagonista – ispirato al cognato defunto, il magnate libanese dell’edilizia Fouad Mikhael Malouf, ma in fondo anche a se stesso – l’occasione di confrontarsi con il vuoto che il potere lascia quando non è accompagnato dal calore di una famiglia. Questo film segna senza dubbio una maturazione personale per Wes Anderson, che per la prima volta affronta il tema dell’eredità artistica e morale, oltre a quello della morte, esplorata qui in una chiave esoterica.

La conferenza stampa

Iniziata con mezz’ora di ritardo – dopo una fila interminabile che ha messo a dura prova anche i badge platinum – la conferenza stampa di The Phoenician Scheme si è trasformata da attesa logorante in uno show nel puro stile andersoniano. L’infaticabile moderatore Didier Allouch ha tenuto alta la tensione giocando con la memoria cinefila della sala: “Quanti film ha già girato Benicio Del Toro con Anderson? E quante colonne sonore ha firmato Alexandre Desplat?” – domande da cineclub, che hanno distratto e intrattenuto anche i più irritati. Poi, l’arrivo del cast. Roman Coppola e Bill Murray in testa, seguiti da tutti gli altri come un clan familiare riunito per un surreale cenone di Natale. E la magia si è innescata. Nonostante la maratona d’attesa, i talent erano rilassati e si sono concessi con generosità.

C’è stato perfino un piccolo intermezzo che ha restituito umanità a una macchina promozionale spesso ingessata, quando la platea ha intonato “Happy Birthday” per la figlia di Coppola, che compiva 14 anni. La stampa, tra un applauso e un sorriso complice, ha riservato attenzione soprattutto a Wes Anderson e Benicio Del Toro, tornato in grande stile in un ruolo sofisticato e molto lontano dalle sue precedenti interpretazioni. Ma la forza di The Phoenician Scheme, che l’incontro ha confermato, è questo incredibile equilibrio che il regista riesce a creare tra la coralità del cast e la sua regia bizantina, in un’idea di cinema che non rinuncia mai al gioco – nemmeno quando affronta, con leggerezza solo apparente, temi come la perdita, l’eredità e la redenzione.

 

Wes Anderson, The Phoenician Scheme, Festival di Cannes
Wes Anderson, The Phoenician Scheme, Festival di Cannes
Il caos controllato

L’incontro inizia con un aneddoto di lavorazione. Anderson racconta una scena chiave con Benicio Del Toro: “Abbiamo girato con Benicio che ascoltava la musica della scena direttamente sul set. Tutte le azioni erano coreografate con un gruppo di infermiere – molte vere — che eseguivano procedure reali. Era tutto pensato per andare a tempo con la musica. Ma siccome abbiamo girato a 120 frame al secondo, in realtà non hai idea precisa di come andrà il ritmo. Puoi solo sperarlo. Quindi alla fine… è una questione di fortuna. Ma quello che conta è Benicio. È lui che il fulcro attorno a cui si snoda tutto il film. Quella scena è un’introduzione, un rituale che ci porta dentro la storia. Metà di quello che succede era pianificato. L’altra metà sono sorprese”.

“Se dobbiamo muoverci velocemente e poi tu giri al rallentatore, non possiamo girare a velocità normale?”

Benicio Del Toro, con la sua voce roca e ironica, rincara il racconto trasformandolo in un piccolo atto di comicità surreale: “Mi dice: ‘Sarai nella vasca, le infermiere entrano, tu mangi, leggi, fumi. E giro tutto in slow motion, OK?’. Dico: ‘Va bene’. Poi aggiunge: ‘Ma voglio che tu reciti molto velocemente. Tutti dovranno muoversi in fretta’. Io sto lì, immerso, e gli faccio: ‘Aspetta, se dobbiamo muoverci velocemente e poi tu giri al rallentatore… non è come farlo a velocità normale?’ E lui: ‘Ah, madre… non lo so’. Alla fine, ho passato sette ore nella vasca, senza mai uscire, per farlo bene. Alla fine non è veloce, non è lento: è qualcosa di nuovo. E quando l’ho visto ieri sullo schermo… ero ipnotizzato”.

Le scatole di progetti ispirate a Fouad Mikhael Malouf

Questa commistione di precisione maniacale e caos controllato è l’essenza di The Phoenician Scheme. Ma il cuore emotivo, secondo Anderson, è altrove: “Se non avessimo una figlia io, Roman, Benicio… probabilmente Zsa Zsa non esisterebbe. Ma tutto è partito da un episodio familiare. Mia moglie – è libanese – mi ha raccontato una volta di aver incontrato suo padre, un ingegnere d’altri tempi, che le ha chiesto di essere pronta nel caso non riuscisse più a gestire i suoi affari. Le ha mostrato delle scatole di scarpe con dentro progetti ingegneristici sparsi in tutto il mondo. Lei è tornata a casa dicendo: ‘È completamente fuori di testa!’. Quell’uomo era Fouad, ed è a lui che ho dedicato il film. Era indimenticabile. Forte, saggio, un leone. Una di quelle persone che in un ristorante si fanno spostare i tavoli solo con lo sguardo. A me non lo fanno… ma a lui era proprio così. Era uno di quelli che ti dicevano: ‘Lavoro solo con leoni’. E faceva sul serio”.

 

 

Il personaggio interpretato da Del Toro – un magnate in decadenza, ambizioso, competitivo, eppure in cerca di riconciliazione – prende forma proprio da questo immaginario familiare: “Ho parlato di questa storia a Benicio molto prima ancora di avere una sceneggiatura. Poi, scrivendo con Roman, abbiamo pensato: se sarà lui a interpretarlo, allora tutto deve partire da lì. Il personaggio ha brutalità, sì, ma anche strati profondi. E sapevamo che Benicio li avrebbe portati in scena. In fondo, per me il suo personaggio costruisce un enorme rituale per riavvicinarsi alla figlia. All’inizio non lo sa, ma tutto quel potere, quei viaggi, quei libri, quell’arte… non servono più. Sta iniziando a cambiare. La morte comincia a toccarlo. E forse, per uno come lui, è l’unica cosa che poteva davvero smuoverlo”.

Un personaggio pieno di contraddizioni

Del Toro conferma con un approccio attoriale misurato, quasi mistico: “Il processo è sempre lo stesso: leggi il copione, fai ricerca, ti chiedi: ‘Cosa farei io in questa situazione?’ Poi però arrivi a un punto in cui vai oltre. E in questo caso il personaggio era pieno di contraddizioni. Un viaggio emotivo da A a Z. Ci ho messo tutto me stesso. E poi affidi tutto a Wes. Lui fa la magia in sala di montaggio”.

Non avevo mai sentito prima di una tariffa del 100%

Poi incalzato da un giornalista sui dazi al 100% promessi da Trump sui film prodotti fuori dagli Stati Uniti Wenderson risponde “Ho l’impressione che voglia darci una specie di stoccata, o qualcosa del genere… sai, con quella proposta sulla tariffa. È affascinante, perché parliamo di una tariffa del 100 per cento. Cento per cento! Non avevo mai sentito parlare prima di una tariffa del genere. Non sono un esperto in economia, ma mi sembra che significhi che lui vuole prendersi tutti i soldi. E allora mi chiedo: cosa facciamo noi, cosa ci rimane? Quindi, per me è complicato. Mi domando anche se, in qualche modo, pensi davvero che questa sia una buona idea. Voglio dire: puoi davvero trattenere un film alla dogana? Non credo funzioni così. Non mi sembra che i film vengano “spediti” in quel senso. Insomma, non lo so. Prima vorrei capire meglio i dettagli. Mi astengo dal dare una risposta ufficiale… per ora“.

La nostra Milena Canonero e la morte di Del Toro

Il racconto del rapporto con la leggendaria costumista Milena Canonero si trasforma in un altra piccola messa in scena: “Lavoriamo insieme da 23 anni. Ogni sera, a cena con i capi reparto, Milena arriva con tutto il suo entourage italiano, anche se non sono invitati. A volte sono in undici. Arrivano tardi, verso mezzanotte, perché lei li tiene al lavoro fino all’ultimo secondo. Ma sapete, quando hai a che fare con una delle tre più grandi costumiste viventi… ti assicuri che ci sia posto per tutti”.

Infine, quando Del Toro viene incalzato da una domanda un po’ troppo esistenziale su come vorrebbe morire, taglia corto con ironia nera: “Questa conferenza diventando tutto un po’ troppo morbosa… lo chiedi perché sono vestito di nero? Non penso molto all’eredità, alla memoria. Ma sì, certo, il nostro personaggio vuole una piramide. E in fondo… l’idea non mi dispiace. Ma no, non voglio morire. Soprattutto non in un incidente“, (riferimento ad una sequenza del film, n.d.r.).

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