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Koyo Kouoh, il ricordo dello staff dello Zeitz MOCAA

Koyo Kouoh © Foto: Mirjam Kluka. Cortesía de La Biennale di Venezia.
Koyo Kouoh. Credits: Mirjam Kluka. Courtesy of La Biennale di Venezia.
“Le persone sono più importanti delle cose”: chi ha conosciuto Koyo Kouoh sa che non era solo una sua frase. Era una convinzione profonda, radicata nella sua visione del mondo, nella sua leadership e nella sua vita quotidiana. Direttrice Esecutiva e Curatrice Capo dello Zeitz MOCAA di Città del Capo, Koyo Kouoh non era solo una guida istituzionale: era un faro. Una forza magnetica. Una donna che ha lasciato un segno incancellabile nel cuore di chi ha avuto il privilegio di lavorare con lei.

In queste ore di dolore e commozione, il suo staff la celebra con parole che non raccontano solo un percorso professionale, ma una vita vissuta con intensità, eleganza e impegno. “In amorevole ricordo di Koyo Kouoh e di una vita ben vissuta”, si legge nell’omaggio collettivo del museo che ha saputo trasformare in un faro internazionale dell’arte africana contemporanea.

Koyo era una presenza che non si dimentica. Entrava in una stanza e tutto si accendeva. Il sorriso, la risata squillante, l’energia contagiosa: era impossibile restarle indifferenti. Ma ciò che la rendeva davvero indimenticabile era il modo in cui sapeva vedere le persone. Non solo i curatori o gli artisti affermati. Vedeva tutti: stagisti, tecnici, visitatori. E li ascoltava. Li valorizzava. Li spingeva a essere migliori, spesso più di quanto credessero possibile.

La sua eredità non si misura in mostre o premi – sebbene non manchino nemmeno quelli. Si misura in relazioni, in traiettorie trasformate, in visioni condivise. Era una leader esigente, certo, ma sempre generosa. Pretendeva eccellenza non per vanità, ma per responsabilità: verso gli artisti, verso la comunità, verso l’opera d’arte e la sua verità.

“Alzare l’asticella”, diceva spesso, “non è elitarismo. È impegno”. E così ha guidato lo Zeitz MOCAA in una nuova fase: ambiziosa, radicale, inclusiva. Ha trasformato il museo da luogo di esposizione a spazio di costruzione culturale, di dialogo e di riflessione. Ha fatto sì che ogni mostra fosse anche un gesto politico, ogni progetto un atto di cura.

Eppure, non ha mai smesso di danzare. Letteralmente. Nei corridoi del museo, durante una pausa pranzo o un evento formale, Koyo sapeva come rompere gli schemi, come riportare tutti a un’umana leggerezza. Lavorare con lei era anche questo: “un’esperienza piena di vita, risate, passione”.

“Faceva sentire il lavoro come una festa”, raccontano i suoi colleghi. Ma era una festa che insegnava. Che elevava. Che trasformava.

Koyo Kouoh era tutto questo: una donna formidabile, elegante e potente. Una costruttrice di ponti, un’educatrice instancabile, una visionaria capace di guidare non solo con la mente, ma con il cuore. Il proverbio africano che amava ripetere – “Se vuoi andare veloce, vai da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme” – oggi diventa il filo conduttore del ricordo che le viene dedicato.

E oggi, chi resta promette di andare lontano. Di portare avanti il suo lavoro, la sua etica, la sua passione. Perché l’eredità di Koyo Kouoh è viva in ogni gesto, in ogni artista sostenuto, in ogni idea che si fa azione.

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