
Fino al 7 luglio la galleria SPARC* – Spazio Arte Contemporanea ospita il progetto di Gualandi ispirato dalla Tempesta di Giorgione
Platone faceva dire a Socrate che ogni processo di conoscenza è predisposto a farsi Theoréin. Un’interiorizzazione del vedere che permette di migliorare la vista, di vedere di più. La teoria è, dunque, capace di smontare e rimontare l’oggetto tramite una ri-forma dello sguardo. Un processo che ci permette di scoprire la verità per graduale approssimazione, scostando via via i veli dell’apparenza, muovendosi tra le ombre per poi restare abbagliati dall’impossibilità di andare oltre, di progredire perché l’immagine che avevamo davanti viene bruciata dallo sguardo, viene da esso trasfigurata. Manuel Gualandi, che secondo Daniele Capra è vittima di un’ossessione, sembra partecipare a una drammatica riflessione in cui il soggetto e l’oggetto si scambiano vicendevolmente la funzione di soglia teorica.
Nel guardare tra dentro e fuori s’attua questo sguardo pronto a ridefinire una versione a posteriori della Tempesta di Giorgione, poiché sospesa per un attimo dentro una memoria che esorcizza il presente per restare in bilico tra visto e visibile, tra ciò che è stato dipinto e ciò che è la pittura. Questa sospensione nella graduale approssimazione ad un soggetto è, come dice ancora Capra, approcciato in maniera catabolica e approda a una finzione letteraria inverificabile.

Tra visione oggettiva ed esperienza estetica
Il quadro delle Gallerie dell’Accademia, un dipinto a tempera all’uovo su tela di lino di ottantatré centimetri per settantatré, l’opera in cui vediamo un “Paesotto”, un fulmine, un soldato e una zingara che allatta un neonato, è stato lo scopo di reiterate visite. Queste visite generano l’ambientazione di un’esperienza che deborda dai confini della tela cinquecentesca per dimostrare la dipendenza stretta tra visione oggettiva ed esperienza estetica.
Come Reger, il personaggio del libro di Thomas Bernhard, Manuel Gualandi non cerca di decifrare l’enigma de La tempesta, in troppi ci hanno provato. Ma di suggerire un altro quadro al di fuori della linea ortodossa della citazione, un quadro che si nutra, piuttosto, di classica astrazione. Allora, a questo punto, possiamo scorgere chiari i due termini chiave per inquadrare il lavoro di Manuel Gualandi come qualcosa che non è solamente un lavoro di decostruzione di un’immagine, ciò sono pertanto: lo sguardo di Manuel Gualandi visitatore sull’opera di Giorgione e l’opera di Gualandi pittore che si confronta con essa.

Lo sguardo
Gualandi entra nelle Gallerie dell’Accademia, va ripetutamente all’ottava sala del piano terra, si pone davanti all’opera di Zorzi da Castelfranco intitolata La tempesta datata 1503 – 1504. Non si ferma su La vecchia, sul Concerto e nemmeno sui Santi di Sebastiano del Piombo, va davanti a quel quadro, si sofferma a guardare quel quadro. Lo sguardo già informato di per sé, oltre a compiere un atto intenzionale, diventa fatto culturale. L’opera è riconosciuta e selettivamente studiata. Ciò è dovuto in parte all’esclusione da questo atto delle altre opere nella sala, in parte alla concentrazione sulla sua singolarità. Manuel Gualandi, dunque, sceglie e riconosce, nel luogo d’elezione, il suo modello.
Astrazione
Il processo che poggia sulla stratificazione degli sguardi è quello di smontare l’immagine e di astrarne dei caratteri, anche se sarebbe meglio dire che Gualandi “estrae” dal dipinto di Giorgione dei dati pittorici. Si configurerebbe, a questo punto, una analisi metalinguistica in cui si affaccia l’ipotesi di un traguardo meta pittorico dove sono evidenti minimi elementi d’espressione, cioè elementi di espressione quali la linea e il colore.

Le varianti di mescolamento cromatico e i caratteri chirografici, una volta emancipati dalla condizione di subordine dal testo figurativo unitario, si presenterebbero, infatti, come il frutto di una formalizzazione delle unità sintattiche, unità di per sé significative, ma autonome. Questo sarebbe pertanto vero se però non fosse sempre presente in esse, in termini più o meno latenti, il modello.
In conclusione, il lavoro di Manuel Gualandi è sicuramente analitico e, anche se riguarda la ripresentazione di un modello culturale da agganciarsi alla cospicua vicenda interpretativa de La tempesta, diventa il portato teorico della sua pittura. In un certo senso la decostruzione di Gualandi annulla il significato quale approdo precipuo della critica all’immagine riattivando, tramite i dati meccanici della pittura, la fragranza della presenza oggettiva dell’opera nello spazio delle Gallerie dell’Accademia. Il suo essere, cioè, pittura puramente esperita nella storia.















