Print Friendly and PDF

Spiriti Vitali: anche i tubi possono piangere

Spiriti Vitali di Zhenwei Zeng, installation view, ph. OOne
Spiriti Vitali di Zhenwei Zeng, installation view, ph. OOne

C’è stato un momento, mentre camminavo verso il Padiglione 36 di Forte Marghera, in cui ho pensato di essere nel posto sbagliato. Perché tutto sembrava troppo tranquillo, troppo verde, troppo… vero. Un posto dove le zanzare sono sincere, i gabbiani ti guardano con giudizio, e i cartelli ti indicano una mostra con una freccia fatta a mano.
Avevo sbagliato? No. Avevo trovato uno dei luoghi più umani in cui mi sia capitato di entrare da molto tempo. La mostra si intitola Spiriti Vitali. L’artista è cinese, si chiama Zhenwei Zeng, e la sua opera principale è una serie di figure che sembrano fatte d’aria e memoria. Si chiamano Tubemen. Non hanno faccia, non hanno mani, non hanno colore brillante, non fanno niente. Eppure, appena ne vedi uno, ti fermi.
Ho pensato: questa cosa alta e liscia e muta sta dicendo qualcosa che io non riesco a dire.
Poi ho pensato: forse sta soffrendo? Poi: forse sono io che sto proiettando su un tubo le mie recenti crisi esistenziali?
E subito dopo: ok, forse ho bisogno di un po’ più di sonno e un po’ meno di caffè veneziano da 2,50 euro al banco.
Ma il punto è: i Tubemen, con la loro presenza ieratica e goffa allo stesso tempo, funzionano.
L’artista li chiama “spiriti vitali protesi alla beatitudine”. Il curatore, il professor Paolo Fraternali, li definisce “colmi di divinità nel loro corpo astrale”. Io li definirei: versioni migliori di me stesso in un giorno buono. Silenziosi, stabili, disponibili all’ascolto.
Uno dei momenti più belli è stato quando un ragazzino con una maglietta dei Pokémon ha chiesto: “Mamma, ma questi sono santi o alieni?”.
E la mamma, che sembrava distratta, ha risposto dopo un attimo: “Sono spiriti buoni, credo”.
E il bambino ha detto: “Allora ok”. E ha sorriso.
Voilà. Arte contemporanea: missione compiuta.

Spiriti Vitali di Zhenwei Zeng, installation view, ph. OOne

Ma non è tutto. Perché accanto alla mostra di Zeng, in uno spazio adiacente (sempre più vicino al tramonto e alle zanzare), c’era Spiriti Vitali in Formazione, una collettiva di studenti dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, curata da Cinzia Tusini. C’erano incisioni, installazioni, oggetti che sembravano creati da mani che non hanno ancora paura. O che hanno moltissima paura, ma hanno imparato a usarla.
Ho visto un’incisione minuscola che raffigurava un volto diviso in due. Ho visto un video muto in loop. Ho visto una specie di arco fatto di filo di rame e lana grezza. Ho pensato: ecco la cosa vera. E ho sentito dentro di me qualcosa che si muoveva piano. Come quando, in un romanzo, un personaggio secondario fa qualcosa di buono e inatteso.
Il Direttore dell’Accademia, Riccardo Caldura, ha detto parole molto sagge. Ha parlato di strategia, di relazioni internazionali, di come l’Asia Program sia un ponte tra mondi. Ma la cosa che mi è rimasta è questa: “Vediamo in loro un tentativo di coniugare un grande passato con la vocazione per i linguaggi contemporanei”.
E io ho pensato: questo è tutto. Questo è il grande gioco. Il passato che ci chiama, il futuro che ci confonde, e noi in mezzo, come Tubemen, dritti solo se c’è vento buono.
Zeng non è uno qualunque. Ha studiato in Giappone, ha lavorato in Cina, ha realizzato opere monumentali nel CBD di Guangzhou, ha diretto dipartimenti universitari, ha partecipato a premi, è stato chiamato Maestro della Cultura. Eppure eccolo qui, a Venezia, in mezzo a una laguna lenta, in un padiglione di mattoni, con figure che sembrano respirare.

Spiriti Vitali di Zhenwei Zeng, installation view, ph. OOne

Alla fine della visita, ho guardato ancora una volta i Tubemen. Uno di loro sembrava piegarsi appena, come stanco. O come se mi stesse salutando.
Ho pensato: è strano quanto amore può passare attraverso un tubo. Poi ho pensato: non dimenticarlo.
Poi sono uscito nel sole del tardo pomeriggio. Un cane randagio mi ha ignorato. Una zanzara mi ha pizzicato proprio sotto l’orecchio. Il mondo, fuori, era esattamente com’era prima. Ma dentro di me qualcosa era cambiato. Un piccolo spazio nuovo si era aperto.
Silenzioso, stabile, disponibile all’ascolto. Proprio come un Tubeman.

Commenta con Facebook

Altri articoli