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Il futuro nell’arcaico. Intervista a Silvia Infranco

Silvia Infranco, Trame organiche, Casa Cavazzini, Udine (foto Luca Laureati) Silvia Infranco, Trame organiche, Casa Cavazzini, Udine (foto Luca Laureati)
Silvia Infranco, Trame organiche, Casa Cavazzini, Udine (foto Luca Laureati)
Silvia Infranco, Trame organiche, Casa Cavazzini, Udine (foto Luca Laureati)
La nuova Project room del museo Casa Cavazzini di Udine ospita l’artista bellunese Silvia Infranco con la personale Trame organiche

Suggerire l’idea della parola come corpo che galleggiando e affiorando nello spazio comincia a sciogliersi e a fondersi con la superficie stessa”. Con queste parole, tratte dall’intervista che segue, l’artista Silvia Infranco introduce il senso profondo della sua mostra personale dal titolo Trame organiche. Allestita fino al 7 settembre nella nuova Project room del museo Casa Cavazzini di Udine, è parte di Future Life. Ciclo dedicato agli immaginari del presente e del futuro.

Attraverso opere dense di materia e memoria, Infranco – rappresentata dalla veneziana galleria Marignana Arte – esplora i processi naturali di trasformazione e sedimentazione. Pigmenti, carte, ossidi e cere danno forma a lavori dalla forte valenza simbolica, capaci di evocare un tempo sospeso e rigenerativo. Un invito a rallentare e osservare le opere dell’artista bellunese. Che recentemente l’app di intelligenza artificiale ChatGPT – interpellata da ArtsLife nella sua apposita rubrica – ha inserita fra i dieci under 50 italiani sui quali consigliare di investire. Lei si racconta in questo dialogo…

 

Silvia Infranco, Trame organiche, Casa Cavazzini, Udine (foto Luca Laureati)
Silvia Infranco, Trame organiche, Casa Cavazzini, Udine (foto Luca Laureati)

Il ciclo “Future Life” guarda a possibili scenari futuri. Il tuo lavoro sembra piuttosto affondare nel passato e nella materia arcaica. Come dialogano per te queste due dimensioni?
Credo che la materia arcaica sia una ricca fonte di esperienza e che la costruzione, l’immaginazione del “poi” possa arricchirsi confrontandosi con le sensazioni e la memoria che alimentano questa fonte. Quanto fluisce e si sedimenta in un certo lasso temporale è sicuramente figlio del tempo che abita. Ma può comunque offrire spunti di riflessione, evocazione e confronto per scenari anche tra loro molto distanti temporalmente. Penso che futuro ed arcaico siano dimensioni tra cui è non solo possibile, ma anche prezioso, un dialogo di coesistenza dinamica in cui l’esperienza passata può costituire la matrice su cui innestare nuovi spunti di ricerca. Secondo questa prospettiva, ad esempio, ho cercato, attraverso il recupero di alcuni processi di cura arcaici basati sull’uso di fitoterapici, di suggerire una continuità tra passato magico e presente scientifico volta a ricercare una sorta di rigenerazione della relazione uomo-ambiente che evidenzia l’importanza, anticamente riconosciuta ed oggi spesso scientificamente confermata, della suggestione e percezione sensoriale nel processo di cura.

 

Silvia Infranco (foto Melissa Cecchini)
Silvia Infranco (foto Melissa Cecchini)

Che tipo di rapporto hai oggi con la dimensione del tempo lento, in una contemporaneità che invece insegue sempre più la velocità? Nei tuoi lavori la memoria prende forma attraverso processi di accumulo, stratificazione, consunzione. Che ruolo ha per te il tempo nella costruzione dell’opera?
Il mio rapporto con la dimensione del tempo lento in una contemporaneità veloce direi che è di cura e di sopravvivenza. Tendo a ricercare questa temporalità dilatata nella pratica artistica, in cui vivo il gesto come necessità di elaborare l’esperienza del “fare”. I processi di realizzazione delle mie opere, frequentemente, implicano, dal punto di vista tecnico, un incedere rallentato, quasi rituale, subordinato al rispetto dei cambi di stato della materia impiegata. Per questo motivo credo che il tempo rivesta un ruolo essenziale, divenendo esso stesso parte dell’opera. Nel processo di accumulo, che realizzo attraverso la sovrapposizione di velature in cera, è imprescindibile il controllo della temperatura tra un intervento e l’altro al fine di rispettate il passaggio dallo stato liquido a quello solido. E anche il processo di consunzione che applico alle carte, attraverso la macerazione in acqua, implica il rispetto dei tempi di asciugatura e rattoppo tra un bagno e l’altro. Il tempo riveste per me un ruolo importante sia dal punto di vista tecnico che concettuale. Essendo strettamente connesso alla dimensione della memoria e della resilienza della materia. Spesso il mio lavoro persegue il tentativo di fermare il tempo attraverso le immagini, di evitare l’oblio, ma allo stesso tempo ricerca un distacco perché la memoria possa comunque vivere e mutare, riattualizzandosi.

 

Silvia Infranco, Aphele panta, 2025, pigmenti, ossidi, bitume e cera su tavola, 60x60 cm
Silvia Infranco, Aphele panta, 2025, pigmenti, ossidi, bitume e cera su tavola, 60×60 cm

Cera, acqua, carta e legno sono materiali vivi, fragili, evocativi. Come avviene la loro scelta? Sono i materiali a guidarti, o è l’idea che li richiama?
Credo sia la natura dei materiali a guidarmi, perché è l’osservazione dei continui mutamenti della materia organica ad alimentare in me l’interesse ad osservare come la stessa possa differentemente rispondere all’incedere temporale. La natura dei materiali può diventare continuamente testimonianza di resilienza o arrendevolezza o trasformazione, facendo emergere dinamiche energetiche di differente intensità. È la maggiore o minore corporeità della materia, la sua fragilità, la sua capacità di isolamento o fusione con la superficie dell’opera a dettare la scelta primaria. È attraverso la natura dei materiali scelti che l’opera incapsula e diventa strumento depositario di memoria. Restituendo, attraverso un processo osmotico fisico e mentale, immagini quasi indistinte che vogliono richiamare la natura evolutiva ed entropica della vita.

Nelle tue opere spesso affiorano scritture, segni, impronte. Qual è il rapporto tra il gesto artistico e l’idea di scrittura o linguaggio? Parli spesso di un gesto ripetuto, liturgico, quasi rituale. È un atto meditativo anche per te, durante il processo?
Il gesto artistico, attraverso segni, impronte o scritture, vuole proporre un linguaggio visivo per impressioni che si sostanzia nell’intento di appropriazione e fusione nella materia. L’idea di scrittura persegue altresì l’intento di narrare la metamorfosi che si esprime in ogni processo di natura. Dove tutto trasmuta conservando la memoria dell’impronta ori­ginaria per poi restituirla in forma rinnovata. Il tutto, per me, sicuramente assume anche un personale atto meditativo in quanto il ritmo processuale di realizzazione spinge ad una sorta di isolamento e svuotamento. Penso che proprio il medium che utilizzo prevalentemente, ovvero la cera, esprima l’intento concettuale sotteso. La scrittura di segni o di parola a volte si scava nella superficie cerosa, a volte si scioglie nella stessa. In entrambi i casi trovo interessante come, tanto nel solco visibile quanto in quello dipanato, siano percepibili tracce e trame di cui la materia è in grado di conservare memoria, suggerendo al tempo stesso un’idea di fusione corporea dettata da differenti interazioni temporali.

 

Silvia Infranco, Trame organiche, Casa Cavazzini, Udine (foto Luca Laureati)
Silvia Infranco, Trame organiche, Casa Cavazzini, Udine (foto Luca Laureati)

In questo contesto, puoi spiegarci la scelta del titolo “Trame organiche”?
Il titolo è frutto del confronto con Magalì Cappellaro che ha curato, in maniera davvero attenta e sensibile, la mostra. Tutti i lavori esposti, sebbene appartenenti a cicli differenti, accolgono, custodiscono, e visivamente restituiscono sequenze di accadimenti che affiorano da superfici organiche (carta, legno, argilla) o che sono sulle stesse impressi attraverso l’uso di materiali organici (cera, acqua). Ed è attraverso queste trame intese quali sequenze ed intrecci di scritture segniche che prende corpo la struttura stessa dell’opera. Il termine trame vuole evocare al tempo stesso, attraverso il significato più prettamente tessile, l’idea di armatura/struttura dell’opera che avendo una matrice organica è soggetta, per sua stessa natura, a continue dinamiche trasformative e sequenziali.

Per la mostra di Casa Cavazzini hai pensato a nuove opere o a un allestimento specifico per questo contesto?
La scelta delle opere per la mostra di Casa Cavazzini è stata dettata dall’intento di far dialogare, in maniera rarefatta, differenti cicli di lavori e medium rappresentativi della ricerca artistica condotta dal 2015 in poi. Per questa esposizione, ho realizzato appositamente tre nuove opere che per me assumono il significato di una sorta di sintesi/fusione tra due elementi per me importanti: la parola e la materia. In Aphele panta ad emergere dagli strati monocromi di cera è la scrittura umana. Il corpo della parola si spoglia della propria forma. E diventa parte di una più ampia memoria organica in cui si percepiscono accadimenti differenti, ma tra loro in assonanza.

 

Silvia Infranco, Tracciati, 2015, pigmenti, ossidi e bitume su carta, 200x300 cm
Silvia Infranco, Tracciati, 2015, pigmenti, ossidi e bitume su carta, 200×300 cm

Come valuti lo “stato di salute” della pittura oggi in Italia, anche sul piano generazionale? E tu come senti di collocarti rispetto alle temperie presenti?
Attualmente, nel panorama italiano, emerge chiaramente un rinnovato interesse per la pittura figurativa che mi sembra seguire molto le attuali linee del mercato. Io sinceramente mi sento un po’ decontestualizzata rispetto a ciò, perché come sicuramente si può intuire dalle risposte precedenti, ciò che mi interessa maggiormente è il confronto empirico ed alchemico con differenti medium, prevalentemente organici. La mia ricerca artistica si avvicina sicuramente di più ad una pratica del “fare” che si allontana dall’intento figurale. Arrivando spesso e volentieri volutamente ad annullarlo.

Stai già lavorando a nuovi progetti? Se sì, puoi anticiparci qualcosa?
Sì, sono stata selezionata, insieme all’artista Cyrielle Gulacsy, per una residenza che si svolgerà il prossimo autunno a Firenze nell’ambito del progetto “Garden project” organizzato da Il Palmerino e Calliope Arts che coinfuirà nel 2026 in una doppia esposizione presso la tenuta di Il Palmerino e il Museo di Sant’Orsola sotto la curatela di Marina Dacci e Morgane Lucquet Laforgue. In questo contesto, partendo dalla consultazione di un erbario, conservato presso il Palmerino, realizzato con erbe vere esiccate da Fiorenza Angeli Parretti, quale testimonianza della memoria vegetale autoctona e paradigma di una postura contemplativa, vorrei sviluppare una riflessione sulla permanenza dell’erba curativa all’interno del giardino quale locus amenus di cura che può appartenere ad una dimensione familiare, ma anche monastica, come testimonia la presenza della spezieria e dell’hortus conclusus dell’ex monastero di Sant’Orsola. Vorrei mettere in relazione l’hortus conclusus dell’ex monastero e quello che si potrebbe definire l’hortus familiae della tenuta di Il Palmerino. Quali dimensioni accomunate da una forte vocazione di restituzione intimistica e silenziosa di cura.

 

Silvia Infranco, Trame organiche, Casa Cavazzini, Udine (foto Luca Laureati)
Silvia Infranco, Trame organiche, Casa Cavazzini, Udine (foto Luca Laureati)

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