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Cercasi Oscar disperatamente. Paolo Sorrentino a Venezia

Paolo Sorrentino, La Grazia Paolo Sorrentino, La Grazia
Paolo Sorrentino, La Grazia
Paolo Sorrentino, La Grazia
Nel film La Grazia, che ha aperto la Mostra del Cinema, Sorrentino mette in campo tutte le strategie opportune per spianarsi la strada per l’Oscar

Chi è l’amante di Aurora?”. Al Lido la domanda è già un tormentone. A porsela di continuo è Toni Servillo, alias Mariano De Santis, protagonista dell’ultimo film di Paolo Sorrentino La Grazia. Qui interpreta un immaginario Presidente della Repubblica Italiana che – nonostante il regista neghi qualsiasi riferimento a Sergio Mattarella – con l’attuale Capo dello Stato condivide più di un’analogia: è un giurista, ha una figlia totalmente devota a lui (Anna Ferzetti), che persino ricorda da vicino la figlia reale del Presidente.

Al centro della vicenda troviamo dilemmi etici cruciali: la promulgazione di una legge sull’eutanasia e la valutazione di due richieste di grazia per altrettanti assassini. Sorrentino, che conosce bene il mezzo cinematografico e sa come usarlo per sedurre il pubblico – soprattutto d’oltreoceano – mette in campo tutte le strategie opportune per spianarsi la strada per l’Oscar. Il film si apre con una lunga inquadratura fissa sul cielo, squarciato dal volo delle Frecce Tricolori. Gli aerei arrivano verso lo spettatore lasciando dietro di sé la scia della bandiera italiana fatta di fumo.

Espedienti affascinanti

Un incipit che da solo è già un programma. Le lusinghe a un pubblico internazionale, in particolare americano, si moltiplicano per tutto il film: le vie dello shopping di Roma (via dei Condotti, via del Babuino, piazza di Spagna), le terrazze sul panorama cartolinesco della Capitale, e una serie di trovate ad effetto – un papa nero con i dreadlocks e la motocicletta, una relazione lesbica, un cane-robot Go2, un astronauta che ride delle proprie lacrime in collegamento dal modulo spaziale. Espedienti spesso affascinanti, ma messi insieme senza una vera organicità narrativa.

Nonostante un personaggio in particolare abbia conquistato il cuore del pubblico – la critica Coco Valori, interpretata da Milvia Marigliano – l’accoglienza in sala è stata tiepida, al di là dei consueti salamelecchi dei media nazionali autoreferenziali e autocelebrativi.

 

Paolo Sorrentino
Paolo Sorrentino

Beninteso, La Grazia è un film piacevole sotto diversi aspetti, ma risulta disomogeneo, come se tutto fosse posticcio, scomponibile e sottraibile senza incisivo cambiamento di senso. Qualche spettatore specializzato sostiene pure che sia troppo lungo.

Affreschi di maniera

Sorrentino, almeno in parte, esce dai territori che aveva esplorato finora. Dopo lo scivolone di Parthenope, persino snobbato dal comitato italiano che gli ha preferito il modesto Vermiglio di Laura Del Pero per la corsa all’Oscar, eccolo tornare con un’opera che mescola suggestioni eccessive e affreschi di maniera: Toni Servillo che posa su sofà rococò circondato da mezzi busti, scende le scalinate del Quirinale con una coreografia di guardie in uno stile a metà tra cinema postfascista e formalismo russo; Servillo che scruta, riflette in voice over o resta al telefono per buona parte del film, con il rischio déjà-vu dei suoi precedenti Giulio Andreotti de Il Divo o Jep Gambardella de La grande bellezza.

Quanto al tormentone, il Presidente Mariano non è mai riuscito a superare un tradimento dell’amatissima moglie ormai defunta, senza mai scoprire con chi fosse stato perpetrato. Per l’intera durata del film non fa che continuare a porsi la domanda e a chiederla agli altri.

E così, dopo “Chi ha ucciso Laura Palmer?” e “Chi ha incastrato Roger Rabbit?”, tutti al Lido si chiedono: “Chi è l’amante di Aurora?”. “Non lo so neppure io”, ha ammesso Sorrentino in chiusura di conferenza stampa. Ma la caccia all’amante continua.

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