
Per secoli, gli studiosi hanno osservato affascinati ma confusi i simboli che decoravano tombe, monumenti e papiri dell’Egitto antico. Ma forse, ora, sono un po’ più decifrabili…
I geroglifici custodivano storie di faraoni, divinità e vita quotidiana, ma la chiave per interpretarli rimaneva un mistero. La svolta arrivò nel 1799 con la scoperta della Stele di Rosetta durante la campagna di Napoleone in Egitto. Il testo inciso in tre scritture, tra cui geroglifico e greco antico, aprì la strada a una sfida tra il linguista francese Jean-François Champollion e l’inglese Thomas Young, entrambi decisi a tradurre questi simboli. Nel 1822 Champollion annunciò la sua decifrazione, aprendo una finestra sul mondo degli antichi egizi.
Con questa scoperta, gli egittologi hanno potuto leggere racconti di guerre, leggi, rituali nell’aldilà e dettagli della vita quotidiana, grazie a papiri, ostraca (frammenti di pietra calcarea o ceramica usati come supporti economici per scrivere o dipingere) e reperti vari.
Contrariamente all’idea iniziale che li vedeva esclusivamente ideografici, Champollion dimostrò che i geroglifici potevano avere anche valore fonetico, rappresentando suoni simili alle lettere moderne. Un segno poteva quindi essere sia simbolico sia fonetico a seconda del contesto.
Alcuni esempi sono immediatamente riconoscibili: un gufo per la lettera m, un serpente cornuto per f, una corda per il suono ch. Altri segni denotano parole intere o combinazioni più complesse, come il scarabeo che indica kheper, “diventare”, o la testa di un cane per il suono weser, usato per termini come “potente”. In totale, gli scribi egiziani dovevano memorizzare circa 750 segni.

I giochi di parole erano frequenti nei geroglifici egiziani. Ad esempio, il simbolo di un anatra non indicava l’animale, ma veniva usato per rappresentare il suono della parola “figlio”. In alcuni cartigli del Karnak Temple, questa combinazione di simboli si legge come “figlio del dio sole Ra”, un titolo che i faraoni utilizzavano per sottolineare la loro natura divina.
I testi geroglifici non si leggono come l’inglese moderno. La direzione varia, ma in genere si procede da destra a sinistra, e le figure guardano verso l’inizio del testo. Le colonne si leggono dall’alto verso il basso, e i cartigli ovali servivano a isolare i nomi reali, proteggendoli simbolicamente e aiutando gli studiosi a riconoscere i confini tra le parole, come accadde a Thomas Young con Ptolemy e a Champollion con Cleopatra.
Per la corrispondenza quotidiana e i documenti amministrativi, gli scribi svilupparono la scrittura ieratica, una versione semplificata e veloce dei geroglifici, spesso su papiri o ostraca. Questi testi offrono uno sguardo raro sulla vita di chi non era di rango reale. Capolavori letterari come The Story of Sinuhe raccontano vicende di identità, lealtà e ritorno alla patria, combinando elementi storici e narrativi.

Con questa lettura guidata dei simboli, dei cartigli e della scrittura geratica, il mondo dei faraoni, dei templi e delle divinità appare meno distante e più accessibile, svelando un sistema complesso ma straordinariamente affascinante, che continua a catturare storici, archeologi e appassionati di tutto il mondo.
Pur fornendo chiavi di lettura sui suoni, i simboli e le convenzioni dei geroglifici egiziani, decifrarli resta un compito complesso che richiede studio approfondito, strumenti specifici e pratica sui testi originali. Tuttavia, conoscere queste regole di base permette di avvicinarsi al linguaggio degli antichi egizi e di apprezzare la ricchezza e l’ingegno del loro sistema di scrittura.














