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La sensazione di essere vivo. Fontana e la ceramica

Banana e Pera, Mani-Fattura. Le ceramiche di Lucio Fontana, Collezione Peggy Guggenheim, Venezia Banana e Pera, Mani-Fattura. Le ceramiche di Lucio Fontana, Collezione Peggy Guggenheim, Venezia
Banana e Pera, Mani-Fattura. Le ceramiche di Lucio Fontana, Collezione Peggy Guggenheim, Venezia
Banana e Pera, Mani-Fattura. Le ceramiche di Lucio Fontana, Collezione Peggy Guggenheim, Venezia
La mostra Mani-Fattura. Le ceramiche di Lucio Fontana presenta oltre settanta opere alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia

Nel 1947 Lucio Fontana invia una lettera ad un amico dove scrive: “Fra il suicidio e il viaggio ho scelto il secondo perché spero di realizzare ancora una serie di ceramiche e di sculture che mi diano… la sensazione di essere ancora vivo”. Anche se per lui la ceramica è dirimente tra la vita e la morte, non sembra aver raggiunto l’iconicità delle tele tagliate e bucate degli anni Cinquanta-Sessanta. Questa lacuna è colmata ora dalla mostra Mani-Fattura. Le ceramiche di Lucio Fontana, voluta dalla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia e curata da Sharon Hecker.

Per l’artista che dice di sé, accentuando i toni, di essere uno scultore e non un ceramista, la critica ha messo in risalto nelle opere in ceramica, il de-skilling creativo (lo sganciarsi dalle regole tecniche), l’assoluta libertà nel procedere. In realtà non è del tutto vero. Per esempio, deve rimandare la gratificazione di ciò che ha ideato, permettendo all’opera di asciugarsi per giorni o settimane.

L’artista ha realizzato oltre duemila sculture in ceramica che vanno dal minuscolo al monumentale e rimandano ad una varietà di soggetti: figure femminili, nature morte, meduse mitiche, creature marine, animali, arlecchini, guerrieri, ritratti, scene religiose, forme astratte. In mostra – dall’11 ottobre al 2 marzo 2026 – ne vengono esposte settanta. Alcune esposte per la prima volta, pezzi unici insieme ad oggetti prodotti in serie, alcuni dei quali vanificano i confini tra le due categorie.

 

Mani-Fattura. Le ceramiche di Lucio Fontana, Collezione Peggy Guggenheim, Venezia
Mani-Fattura. Le ceramiche di Lucio Fontana, Collezione Peggy Guggenheim, Venezia
Le opere

Ballerina di Charleston, è un vibrare di forme. Un ondeggiare al ritmo sincopato del jazz. I rilievi in terracotta dei primi anni Trenta comunicano la stessa sensazione di un movimento iniziale. Questa scultura in gesso, che l’artista dipinge di nero come ad imitare la ceramica, dall’espressione concentrata, manifesta la difficoltà della posa mentre si piega con le ginocchia unite e agita entrambe le mani intorno ai fianchi. L’opera si configura statica e dinamica insieme. Nella pausa che anticipa il passo successivo.

Fra le nature morte, in mostra si trova Banana e pera del 1938. Gli smalti colorati che usa sono sorprendenti. Insoliti. Argan nel 1939 scrive che “Il colore non è un fenomeno di superficie ma è un principio plastico, spaziale della scultura di Fontana. Aderente alle immagini come una seconda pelle“. In altri casi, le opere alternano figurazione e astrazione, terra e mare, natura e artificio: Pesce del 1940, e Seppia del 1937, presentano creature che sembrano nuotare in un denso mare di ceramica. In Banana e pera Fontana si serve di smalti dai colori innaturali, sorprendenti.

Ma la dialettica più convincente di stasi e di movimento la si trova nei sorprendenti Crocifissi realizzati in serie tra la fine degli anni Quaranta e gli anni Cinquanta. Opere da non considerare esclusivamente dal punto di vista religioso. Sono ceramiche che si affidano alla reiterazione di una base in argilla: linee orizzontali e verticali identiche che configurano la croce archetipica. Ma all’interno di questa costruzione replicata, Fontana ripropone ogni volta un’immagine del Cristo diversa. Ricorrendo a forme astratte e smalti inaspettati. La figura di Cristo è allo stesso tempo un non-Cristo: l’intensità religiosa è trasfigurata in estasi estetica, uno stato di rapimento che sospende l’irrevocabilità della morte.

 

Mani-Fattura. Le ceramiche di Lucio Fontana, Collezione Peggy Guggenheim, Venezia
Mani-Fattura. Le ceramiche di Lucio Fontana, Collezione Peggy Guggenheim, Venezia
La posizione politica

Sull’orientamento politico di Fontana le divergenze tra gli studiosi non mancano. Se per alcuni è un convinto sostenitore del regime fascista, per altri è un conformista pragmatico, che si adatta al clima senza lasciarsi coinvolgere del tutto. Eppure, Torso italico (1938), ad una prima lettura il coinvolgimento lo dimostrerebbe. Opera imponente che rivisita l’iconica statua dell’imperatore Augusto, conservata nei Musei Vaticani. Sul torso coperto da una corazza nera Fontana incide e dipinge una serie di forme simboliche bianche: una Vittoria alata fascista, il monumento a Marco Aurelio, un albero e il Leone di Giuda, simbolo dell’Etiopia.

Tuttavia, le sue ceramiche non si cristallizzano mai del tutto in un consenso politico coerente e appropriato. Torso italico ha un braccio mozzo. L’albero raffigurato sull’armatura della figura non è florido, ha pochissime foglie e non ha radici e, inoltre, si può pensare che il manto sia rosso di sangue.

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