L’occulto sta a Leonora Carrington (Clayton-le-Woods, Lancashire, 1917 – Città del Messico, 2011) tanto quanto il Surrealismo sta alla dimensione dell’inconscio, l’Eros, il sogno e l’incubo. La sua pittura è letteratura fantastica, fondata sulla decostruzione delle categorie convenzionali dell’identità, genere, ruolo sociale, umano/animale, donna/artista, madre/amante. Lei, prima emarginata, poi emigrata, esiliata, madre e artista, è una viaggiatrice fisica e metaforica dentro il mondo esoterico che attraverso l’arte s’inventa molteplici identità, universi immaginifici in cui sonda credenze arcane e rifiuta di essere costretta entro categorie tradizionali.
Scrive Carrington: «Se una vera identità individuale esiste davvero, mi piacerebbe trovarla, perché proprio come la verità, nel momento in cui la scopri, è già svanita. Così cerco di ridurre me stessa ai fatti. Per ora sono femmina umana che invecchia; presto sarò anziana e poi morirò. Questo è tutto ciò che so, riguardo ai fatti».
Incontriamo la creatrice visionaria e rivoluzionaria a Palazzo Reale a Milano con 65 dipinti, iniziatici come la serie Sister of the Moon (1932), acquarelli realizzati a soli quindici anni che rimandano all’immaginario della sua infanzia, in cui trionfano donne potenti, affascinanti, custodi di conoscenze enigmatiche, che generano una cosmologia al femminile in cui sono già evidenti i temi ricorrenti in diversi dipinti a olio, elaborati dalla conoscenza di letteratura vittoriana, fiabe celtiche, mitologia, esoterismo e alcuni aspetti dell’astrologia, tarocchi e alchimia. In mostra troviamo anche un paio di opere dedicate a Max Ernst (1891-1976), Divinità e Il medico spagnolo entrambi del 1940, l’uomo che ha amato giovanissima più di se stessa, con il quale ha vissuto in un villaggio francese in una casa arredata e dipinta a quattro mani, concepita come un’opera d’arte totale. Intrigano i suoi bellissimi disegni e acquarelli, e tra le altre fotografie di lei con altri artisti dell’epoca, amori e figli. In particolare sorprendono i suoi ritratti nuda di spalle, in rigoroso bianco e nero, scattate dalla fotografa e amica messicana Kati Horna (1912-2000) tratti dalla serie Oda e La Necrofilia.

In mostra scopriamo il suo andare oltre l’identità femminile che ripudia il mito patriarcale, capace di dipingere la donna come entità fluida portatrice di soggettività metamorfiche; un essere magico per le sue potenzialità arcaiche e in costante trasformazione spirituale. La sua teologia femminista e surrealista è palese anche nei libri che svelano la vena narratrice di una personalità complessa, di una donna colta, dissacrante e ironica padrona delle sue argute metamorfosi. E tra fiaba e racconto biografico, ermetico e trasfigurato, noi spettatori osservando le sue opere, possiamo danzare con l’immaginazione intorno ai suoi mondi popolati da animali parlanti, figure ibride tra uomo e animali: qualcosa che non è io, ma è accattivante Mistero. Sala dopo sala conosciamo presenze arcane, attraversiamo cucine rosso fuoco, e seguiamo il ritmo magico di cavalcate notturne di inquietanti creature. Siamo attratti dai suoi manichini mascherati e custodi dell’occulto che ci conducono diritti verso un percorso iniziatico, nell’altrove, senza sapere quale, oltre l’oscurità, l’apparenza dove l’ignoto è luce, rinascita e leggiadra armonia nel caos dell’universo.

Leonora Carrington a Milano è stata tra le protagoniste della mostra *L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940* a cura di Lea Vergine nel 1980. Dieci anni dopo, Arturo Schwarz, estimatore della pittrice dell’inconscio, sempre a Palazzo Reale, curò una mostra sul Surrealismo in cui spiccavano tre opere memorabili di Carrington: The Care of Silence, Portrait of the Late Mrs. Partridge e Night Nursery Everything. L’internazionalizzazione dell’autrice, adorata in Messico e poco conosciuta in Europa, arriva nel 2022 con Il Latte dei sogni, titolo della 59. Esposizione Internazionale d’Arte a Venezia, a cura di Cecilia Alemani, tratto dal libro omonimo di fiabe scritto negli anni ’50 da Carrington per i suoi figli. Nel 2023 l’abbiamo ritrovata a Palazzo Reale in occasione della mostra dedicata a Max Ernst, “l’amour fou” che l’ha stimata, venerata e giustamente chiamata “la sposa del vento”; come il titolo di una sezione della prima mostra retrospettiva in Italia Leonora Carrington, di Carlos Martin e Tere Arcq, curatori anche della precedente mostra dedicata alla diva del Surrealismo Leonor Fini (1907-1996). La retrospettiva di Carrington, antidiva capace di trasformarsi in altro da sé alla ricerca delle trasformazioni dell’umano, sarà ospitata al Musée du Luxembourg di Parigi a febbraio 2026.

Donna e artista generatrice di cartografie oniriche e non musa surrealista
Nata in Inghilterra da una famiglia agiata dell’alta borghesia, Leonora trasgredisce il ruolo di brava ragazza, sfida il padre affermandosi come pittrice, scultrice, illustratrice, scrittrice, drammaturga, andando contro ruoli e convenzioni imposti dalla società patriarcale; dall’irriverenza mistica è sempre stata fedele alla sua libertà espressiva, come dimostra nei suoi dipinti figurativi, riconoscibili per un esoterismo fiabesco in cui intreccia letteratura, mitologia, simbolismo, poesia e surrealismo. La sua vita di viaggiatrice tra realtà e fantasia, che parte dal Lancashire, passa a Firenze, Parigi, Spagna, Portogallo, New York per approdare definitivamente a Città del Messico, è di per sé degna di una trasposizione cinematografica. Carrington, apolide, amica e non rivale di Leonor Fini, più concentrata su se stessa rispetto a Carrington dalla poetica più spiritualista, nonostante l’amore condiviso per Ernst affronta le difficoltà della vita armata di follia, che supera il trauma dell’introspezione psicologica, ed è sopravvissuta alla violenza e ai trattamenti psichiatrici nel 1940, quando è stata ricoverata in un ospedale psichiatrico di Santander, nella Spagna fascista, in seguito a un esaurimento nervoso.
La mostra: è un viaggio interiore alla ricerca dell’androgino, dell’animale uomo che è in noi
Carrington chiede allo spettatore attenzione e una partecipazione attiva, non spiega nulla e con lei dovrete varcare lo specchio a partire dalle opere degli anni ‘50, consapevole com’è di includere nelle sue composizioni diagrammi, sigilli profondi in narrazioni giocose, pensieri magici, concepiti come enigmi di un viaggio introspettivo, dentro le parti più recondite dell’essere umano. Per avventurarci oltre le tenebre nel suo universo immaginario bisogna abbandonare le regole, la ragione e seguire in volo verso l’ignoto creature che volevano essere uccelli, ballerine mostruose, negromanti e partecipare, metaforicamente, a sedute e rituali esoterici, girare intorno agli alberi simbolo della vita e rompere le sue uova magiche che rendono possibile la visione del tutto, e tanto altro ancora. Troverete qualcosa che non è lei, ma siete anche voi, una pre-forma di un qualcosa che germoglia nell’inconscio che avete archiviato sotto la coltre della ragione. Sala dopo sala, leggeri come piume, seguitela nei suoi stati della coscienza, perdete lo sguardo nella sua pittura ermetica, mai ingenua e sempre alla ricerca di chissà quale verità, come rivelazione, risveglio e resilienza alla quotidianità. Lei è il mago di sé stessa che rappresenta in diverse opere, si immortala come una depositaria di poteri occulti, è dotata di una energia tramandata da donna a donna, e si considerava come l’erede di un potere matriarcale da trasmettere a un’altra donna. I temi delle sue opere spiritualiste comprendono ecologia, il mistero e le trasformazioni del corpo, il potere e la solidarietà femminile, la libertà di genere e la riscoperta di saperi antichi, esoterici come strumenti di conoscenza non razionali, in cui tutti gli oggetti dipinti assumono un valore simbolico, allegorico e instaurano un dialogo tra cosmo e microcosmo.

Il fermento esoterico nel Messico della metà del Novecento offre a Carrington un terreno fertile dove coltivare il passaggio dall’alchimia interiore a una presa di coscienza collettiva, come si evince nelle opere degli anni ’70, come ad esempio The Powers of Madame Phonica (1974). C’è una volontà di sopravvivenza ai traumi della Vita nelle sue opere, e guardandole con attenzione potremmo comprendere come “l’intelligenza che ha inventato la guerra potrebbe inventare la pace”, tanto per citare Santiago Genovés, Is Peace Inevitable?. Carrington ci mostra una via per conoscere noi stessi attraverso una psicoanalisi sui generis, in opere dall’esoterismo poetico dissolte in una dimensione magica e alchemica irresistibile carica di simboli universali.

La pittrice è stata folgorata dalla pittura italiana, dal Tardo gotico, dal Rinascimento, dalla letteratura vittoriana, dall’alchimia medioevale, dalle leggende celtiche e in particolare da Paolo Uccello e da Hieronymus Bosch. Debuttante a Parigi a soli vent’anni, Leonora intreccia la sua vita a quella di Max Ernst, fondatore del Surrealismo, da cui assorbe e rielabora in chiave personale la poetica surrealista alla deriva dell’inconscio con l’occulto, creando una cartografia esoterica ipnotica dall’esoterismo intimo e introspettivo, in cui le fiabe svelano una spiritualità alternativa. Oggi definiamo l’artista ecofemminista, pacifista, generatrice di mondi soggettivi e universali, perché era consapevole che noi donne godiamo di diritti naturali da sempre ma che dovremmo riprenderci; e l’arte comprende mondi onirici e i misteri del corpo femminile, violato o distrutto dall’uomo. Scrive Carrington: «Mi resi conto di quanto fosse necessario liberarmi di tutti i personaggi che abitavano dentro di me. Dovevo liberarmi di tutto ciò che la malattia mi aveva portato, gettare via queste personalità e iniziare così una rivelazione. Credevo che, per effetto del sole, fossi androgina, la Luna, lo Spirito Santo, la zingara, un acrobata, Leonora Carrington e una donna». Dopo questa mostra riusciremo a immaginare ciò che potremmo divenire se dimenticassimo per pochi istanti ciò che ci è stato chiesto di essere e fare? Chissà!















