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Vucciria: il Riso di domani. Intervista a Evelina De Castro

Museo Riso, la nuova primo piano . Cesare Viel e Christian Boltanski
Museo Riso, la nuova ala al primo piano. Cesare Viel e Christian Boltanski
Evelina De Castro (1963), palermitana, vulcanica, determinata e iperattiva storica dell’arte dallo sgurdo perforante, appassionata studiosa del patrimonio culturale della sua contraddittoria e affascinante città e della Sicilia, ideatrice di mostre e iniziative che intrecciano archeologia, arte antica e moderna con il territorio, aperta al dialogo tra passato e presente si racconta in questa intervista esclusiva per Vucciria

Lei è nata a Palermo, è storica dell’arte e studiosa del patrimonio artistico e culturale di ieri e di oggi della sua città, custode di un tesoro immenso da tutelare e fare conoscere a un ampio pubblico, in particolare ai nativi digitali, che ha ricoperto diversi ruoli amministrativi, dopo la direzione di Palazzo Abatellis, ha la responsabilità di gestire Museo Riso, quali sono attualmente le maggiori criticità del tempio dell’arte contemporanea?
Ringrazio per avere posto in rilevo la continuità di esperienza dall’Abatellis al Riso perché io stessa la considero una occasione unica per riflettere sul museo di oggi. Abatellis, grazie all’intervento espositivo di Carlo Scarpa, nel 1953, comunica in modo moderno un patrimonio artistico antico. Quella di Scarpa è una interpretazione artistica a sé stante, applicata a opere di autori del passato. Dunque all’Abatellis si verifica il fenomeno di conoscere il display senza preoccuparsi dell’opera se non in relazione a un luogo ormai storicizzato e su questo dovremmo riflettere. Al Riso ci sono artisti del XX secolo, degli anni della smaterializzazione dell’opera d’arte, caratterizzati da performance o installazioni site-specific- nate per una data presentazione specifica- laddove hanno avuto origine, concepite all’origine per spazi non museali e non permanenti, anche in quel caso, e quasi sempre, è o è stato l’autore a immaginare e pronunciarsi su come presentare la sua opera. Questa considerazione su base esperienziale mi è molto utile nell’ affrontare quello che ritengo sia l’obiettivo principale di un museo del nostro tempo e cioè comunicare, nel senso di mettere in comunione, ovvero stabilire un contatto, avviare uno scambio fra l’opera e chi le si trova davanti e il contesto in cui questa comunicazione avviene in cui l’opera è parte della comunicazione stessa e si attesta a noi che curiamo il museo. E’ una criticità? No, è una grande opportunità e responsabilità, far sì che il luogo, fatto di spazi, arredi, suoni, materiali, persone, luci, temperatura, tutto opera sui nostri sensi e tale esperienza è inevitabilmente esposta a variabili, in forza del suo essere “contemporaneo”, rispetti e mantenga la promessa obiettivo di “comunicare”.

Museo Riso, Sala Kounellis

Ci racconta la storia del sontuoso Palazzo Riso (edificato nel 1784), sede del Museo d’Arte contemporanea della Sicilia e come si è costituita la sua straordinaria collezione di arte contemporanea, invidiata all’estero?
Ci racconta la storia del Palazzo Belmonte è scritta qua e là e inoltre l’abbiamo rimessa in luce nel volumetto Riso open che presenteremo a breve. Quello che pongo in evidenza qui è che la singolarità che nei primi dell’Ottocento il principe Ventimiglia di Belmonte, partecipe dei movimenti europei per la svolta costituzionale della monarchia, fu protagonista della nascita del museo moderno donando alla collettività un nucleo di opere della sua collezione, raccolta nella sua dimora, odierno museo, perché si costituisse il pubblico museo. La storia meno nobile del palazzo ma ugualmente ricca di insegnamenti, vede la dimora finire nel secondo Ottocento nelle mani di del Riso, imprenditore, nobilitato e figura controversa e poi divenire sede della Casa del fascio, con tanto di salone delle adunanze in cui campeggiava il clipeo del Duce. Da qui il palazzo divenne obiettivo dei bombardamenti alleati che ne causarono lo sventramento. Molto bello e grande riscatto dunque che l’arte degenerata, così come i fascismi considerano l’arte del Novecento e del proprio tempo, oggi abiti a Palazzo.

Palazzo Abatellis ha goduto di un’attenzione speciale in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Palermo in occasione di Manifesta 12, 2018, era un “accordo di valorizzazione”, che il Dipartimento Regionale dei Beni Culturali da cui dipendeva Palazzo Abatellis elaborato per condividere iniziative di promozione del patrimonio siciliano, questa intelligente strategia continua anche per il Museo Riso?
Manifesta12 non è stata compresa bene al suo tempo ma il tempo le ha dato ragione. Inoltre si sono rivelati fruttuosi i collaterali, quelle iniziative disseminate e che coinvolgevano soggetti del territorio. Questo il grande esempio e Abatellis con gli eventi collaterali promossi guarda caso in collaborazione con l’Accademia di Brera di Milano ha realizzato “The Hidden City” che è diventato un format.

In particolare quali progetti intende condividere con l’Accademia di Belle Arti di Palermo prossimamente?
Considero l’Accademia come, l’antefatto, la prosecuzione, il fine del museo, chissà? Non so, in origine fu così, vedi Firenze ancora oggi. Pertanto tutto parla all’insegna della progettualità comune. In prossimità abbiamo un progetto in cui Riso si inserisce per comunicare il progetto sviluppato nell’ambito del corso di Comunicazione Multimediale sulla rigenerazione sociale del quartiere Danisinni, una mostra di fotografie e video e performance che presenteremo nel salotto buono della città dal 7 al 9 novembre. In cantiere abbiamo un altro progetto tutt’ora in fieri per trasformare Museo Riso in uno spazio espositivo per gli studenti dell’Accademia, basato su un rapporto più continuativo con l’Accademia è in fase di strutturazione, inoltre stiamo maturando una collaborazione sulla comunicazione del museo.

Fare, curare, dirigere, educare e partecipare, sono le cinque parole chiave da lei individuate con il suo staff operativo per valorizzare il patrimonio museale siciliano nell’ambito del simposio tenuto al Museo Riso di recente, quali proposte concrete sono emerse per valorizzare l’arte a servizio dei cittadini e in dialogo con il territorio in questo importante incontro?
Fare, curare, dirigere, educare e partecipare, rischio di cadere nella banale retorica di genere ma sono le azioni che quotidianamente compie ogni donna, dalla religiosa, alla casalinga, alla anziana, all’insegnante, alla bidella, alla direttrice di un museo. Aggiungo “gestire i conflitti”, fra i pari e fra le categorie. Il museo è un organismo vivente e se una sua parte non funziona ciò pregiudica l’intero organismo. La metafora del mondo naturale e del corpo umano è come sempre la più calzante.

Museo Riso, vista della mostra Salvadore Quasimodo

Quali sono le regole fondamentali per il funzionamento di un Museo di Arte contemporanea in un territorio diffidente nei confronti dell’arte concettuale del presente?
La provenienza da studi e esperienze di arte del passato mi conforta nella certezza che il riscontro immediato è uno dei fini ma non l’unico e assoluto. Giotto amato e compreso subito dalla collettività non ebbe ecumenico accoglimento dall’establishment, e Michelangelo del “Giudizio” non fu accolto come il Michelangelo dei dipinti della volta della Sistina e così via. Se l’obiettivo è di essere compresi e acclamati nel presente il rischio diviene alto e lo vediamo ai nostri giorni, ma non faccio nomi, anche perché penso che vi debba essere posto per tutti ma nella chiarezza e onestà rispetto agli scopi dell’opera. Inoltre penso che sottovalutiamo la collettività a cui spesso non diamo occasioni. Invece l’arte del nostro tempo né crea di enormi e impensabili. Nessuno colto o incolto ha il coraggio di comunicare realmente con un’ opera del passato. Nessuno dirà mai che non gli piace Ambrogio Lorenzetti o anche Picasso. Le opere del nostro tempo spingono a prendere posizione a uscire allo scoperto anche per respingerle e su questo enorme potenziale dobbiamo lavorare. Il saggio di Francesco Bonami “Lo potevo fare anch’io. Perché l’arte contemporanea è davvero arte”, a tal proposito è illuminante e questa frase è un volano potentissimo. Due esempi miei: primo ho chiesto ai bambini dello Sperone (quartiere di Palermo) e loro famiglie secondo loro che senso ha l’accostamento delle due parole arte e povera..e mi creda si è aperto un mondo. Secondo un detenuto partecipe a un laboratorio di didattica dell’arte mi ha detto che all’Abatellis ha “visto” capolavori che non conosceva. Al Riso però si è sentito come l’uomo vitruviano (lui si è limitato ad aprire braccia e gambe per rappresentare visivamente ciò che voleva dire). Non occorre che io aggiunga altro. Provare per credere e io nella mia brevissima stagione al contemporaneo ho provato.

Museo Riso sta collaborando o pensa di farlo con Gibellina proclamata “Capitale italiana dell’Arte Contemporanea 2026”, con l’obiettivo di fornire un modello culturale innovativo, congiungendo arte, memoria, identità, sostenibilità e rigenerazione del territorio, valorizzando il patrimonio artistico locale coinvolgendo la cittadinanza, se si come?
L’abbiamo concepita fin dall’inizio come una simbiosi poiché la candidatura è stata costruita e ha vinto sul principio di Gibellina città simbolo dell’arte del nostro tempo in Sicilia, arte pubblica che trasforma il territorio. Su questi concetti chiave di arte pubblica, territorio, comunità, presenze internazionali, sull’esperienza di Gibellina è nato Riso. Riso è figlio di Gibellina e nel 2026 padre e figlio ormai adulto, cammineranno affiancati.

Giorgio Gaber diceva “La Libertà è partecipazione”, Museo Riso come partecipa a processi di cambiamento di una società sempre di più dinamica e complessa, e come dialoga, incontra i cittadini e in particlare i giovani per renderli più consapevoli, e un domani responsabili del loro patrimonio artistico e culturale, un Bene pubblico di inestimabile valore sociale?
Utile la citazione perché Gaber nel prosieguo della sua militanza ha creduto di trovare riscontro allontanandosi dal capo progressista, dando una diversa accezione e dunque il nostro ruolo è importantissimo e dobbiamo esserne all’altezza con rigore e senza avere come obiettivo assoluto l’allargamento del consenso. Noi dai rispettivi ruoli dobbiamo educare a comprendere che libertà in campo creativo non vuol dire immediatezza, estemporaneità, diritto a esprimere senza studio, riflessione e confronto. La libertà è confronto e rispetto dell’altro, in una parola la libertà è la biodiversità in tutti i settori e in tal senso lo studio del naturalista angloamericano George Evelyn Hutchinson, padre della biologia evoluzionista moderna, che propone nel 1959 Rosalia come patrona della biodiversità, capovolgendo la teoria darwiniana della selezione naturale a favore della convivenza, anzi della sola possibilità di sopravvivenza nella convivenza delle diversità, deve essere il faro per il nostro concetto di libertà nell’arte, cioè nella vita. E col naturalista citato ritornano gli anni ‘50, sono gli anni della ricostruzione dopo le macerie della seconda Guerra mondiale, l’origine della nostra modernità che vado scandagliando.

Secondo lei quali sono le mostre del 2024-2025 che hanno riscontrato maggior successo di pubblico e di critica a livello internazionale?
Per onestà premetto di non seguire molto e soprattutto costantemente la stampa specialistica e inoltre penso che con la pluralità di “piazze” che contraddistingue la comunicazione odierna sia veramente difficile una risposta oggettiva. La mostra di Louise Bourgeois alla Borghese? La mostra sul “Trionfo della Morte” dell’Abatellis e il cartone / arazzo di “Guernica” da me ideata e avviata e conclusa dalla collega che è subentrata? La mostra di William Kentridge a Palazzo Branciforti a Palermo e relativo ingresso di Cicero in collezione? Claire Fontaine contemporaneamente in Biennale e al Riso? All’interno del nostro settore per alcuni sono esempi che hanno totalizzato l’attenzione, per altri neanche esistititi e la cosa su cui riflettere è che senz’altro sono state iniziative di richiamo. Pertanto penso che sia molto importante pensare a tutto ciò che si fa e come lo si farà purché di respiro internazionale. Bisogna darsi da fare perché lo abbia, e il rischio più grande che corriamo è di perdere di vista la differenza fra internazionale e locale, quest’ultimo nella accezione negativa di provinciale e autoreferenziale. Io non sono su fb e spesso quando lamento la carenza di comunicazione o la eccessiva attenzione data a iniziative che di fatto sono ininfluenti, mi sento rispondere che fb ne è pieno. Non va bene, fb è un insieme di piazze più o meno ampie ma che non comunicano fra loro. Attenzione.

Flavio favelli, La Sicilia e altre figure, AFR foto Fabio Sgroi

Ha mai affidato ai giovani la comunicazione di Museo Riso a influencer o Content Creator ad appassionati a motivati creatori di testi, immagini, video su piattaforme, social media che possono costruire una comunità di appassionati di arte contemporanea e di cultura? Se si quando e per quale progetto?
E’ un tema che ne implica altri molto concreti e complessi e a cui io tengo molto. Per esperienza personale so bene come nel nostro settore sia facile mistificare e strumentalizzare la gratificazione che traiamo dal nostro lavoro: esprimersi, mettersi alla prova, fare, pubblicare, tutto ciò ci gratifica ma non significa che non sia un lavoro che vada riconosciuto e remunerato. Pertanto, poiché i tempi dell’amministrazione pubblica e i paletti rispetto ad affidamenti sono spesso incoerenti rispetto alle esigenze della comunicazione, io mi privo. In tal senso i corsi di laurea delle accademie e delle università sono per noi una risorsa poiché la prestazione professionale diviene tirocinio curriculare e da ciò ho molte aspettative non solo per risolvere un problema ma perché la inevitabile rotazione dei soggetti giovani chiamati ad occuparsi della comunicazione di Riso darà un apporto vitale e pulsante.

Come è stato recepito l’intervento tra sacro e profano intitolato “Tra cielo e Terra” inaugurato nel 2024 dal collettivo osannato Claire Fontaine in patria e all’estero, fondato a Parigi nel 2004 dal duo di artisti italo-britannici Fulvia Carnevale e James Thornhill, sulle vetrate esterne del Museo Riso realizzato in occasione dei quattrocento anni del ritrovamento delle reliquie di Santa Rosalia, patrona di Palermo, detta la “Santuzza”?
La risposta comprende l’altra in cui affronto la ricezione dell’arte concettuale a Palermo, come detto sopra. Il tema del rapporto sacro /profano è ampio e naturalmente non ha determinato ancora un dibattito esteso oltre il ring che conosce la tematica di Claire Fontaine. Abbiamo accompagnato la mostra con iniziative più tradizionali, quali la mostra fotografica del Festino di Vicolo Brugnò di Melo Minnella e anche allargando in senso multidisciplinare etnoantropologico, nel caso del focus su Rosalia venerata dai Tamil, e scientifico nella direzione dell’articolo del naturalista George Evelyn Hutchinson, sopra citato, che nel 1959 propose Rosalia come patrona della biodiversità, dopo avere osservato il fenomeno del gorgo di Santa Rosalia a Monte Pellegrino. Fatto ciò per allargare, è mia intenzione in prosieguo coinvolgere la sezione di arte contemporanea dei Musei Vaticani per una riflessione sulle immagini del nostro tempo e la devozione religiosa.

Museo Riso, primo piano. Herman Nitssch, Loredana Longo, Simeti

Tra Cielo e Terra è un opera composta da un emoji del fuoco e del sole visibile giorno e notte nelle vetrine del Museo Riso su Corso Vittorio Emanuele, la storica via dello struscio di Palermo doveva essere visibile fino al 4 settembre, è ancora lì, dunque sarà permanente? Se verrà rimossa dove sarà collocata?
Il programma iniziale prevedeva all’indomani della restituzione dell’opera in prestito – il Fuoco – di collocare il Sole in una delle sale espositive di Riso ma abbiamo riconsiderato la cosa alla luce delle esigenze espositive del Museo, in vista dei lavori di ampliamento ormai imminenti che potrebbero comportare spostamenti di opere ma soprattutto come testimone di una riflessione sul “porre l’opera in vetrina” e in tal senso la scultura luminosa di Claire Fontaine che ricalca l’emoji ancor più alimenta la riflessione se l’opera comunichi il suo valore artistico di per se o in relazione al contesto espositivo. Le mostre sono importanti e sono uno degli strumenti con cui il museo comunica ma trovo contraddittoria rispetto a quello che pensiamo sia e debba essere il ruolo di un museo moderno, l’idea che sia “la mostra”, lo scopo e il fine di un museo del nostro tempo. Laddove il termine mostra fosse implicitamente inteso come fatto frontale e effimero, e volto ad accendere un riflettore nel buio e, se ben pubblicizzata, attrarre visitatori una tantum. Il museo comunica non mostra. In tal senso le mostre in programma sono anche lectio, talks, performances, concerti, recitals, seminari, anche fuori dalla sede espositiva, occasioni per sperimentare il riuso di allestimenti e la rotazione delle opere. In tal senso abbiamo lavorato finora e continueremo a fare in relazione a tutti i concept mostra, che nell’imminenza, in continuità con il poeta Salvatore Quasimodo pittore astrattista una tantum, saranno volti a considerare aspetti a loro tempo marginali dell’opera di chi ci ha preceduto, cogliendone i semi spontanei per i germogli futuri. Quasimodo, Guttuso, così come già stato fatto per Sanfilippo e altri in cantiere. Estendendo da mostra a comunicazione, Riso ha in programma un calendario di lectio affidate a personalità presenti nel panorama più ampio che trova nelle arti visive il luogo di incontro. Altra tipologia di mostra implicherà sempre più la riflessione sul “mettere l’opera in vetrina” imporla /esporla….Su questo tema proprio con i giovanissimi dell’Accademia di Palermo abbiamo una interessante ipotesi di lavoro. Inoltre maturiamo collaborazioni con la comunità carceraria di Palermo che sarà presente con mostre prodotte dal Museo Riso.

Come immagina Museo Riso nel 2030?
Tutta la progettualità di Riso è volta ai goal dell’agenda 2030. Prima ancora di essere operatori museali siamo cittadini e individui del nostro tempo e il settore in cui lavoriamo è destinatario del nostro impegno così come tutti gli altri settori del quotidiano individuale e di comunità. L’attività e i progetti del Museo Riso sono volti alla sostenibilità, circolarità, biodiversità, inclusività e uso questa ripetitività per sottolineare come concetti importanti rischino di diventare vuote cantilene ma i goal 2030 si rispettano non con uno o l’altro progetto, bensì imprimendo a ciascuno le stesse modalità e scopi: attrarre ampio pubblico senza perdere il contatto di prossimità; articolare le attività in fasi che prevedano il coinvolgimento di saperi ed esperienze della cultura locale da rinnovare / riscoprire; re-impiego di materiali ri-pensati e re-stituiti a nuova vita; disseminare la data attività fuori dal museo.

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