
Intervista ad Alessandro Pinto, responsabile della Haus der Kunst e vicedirettore del Verein Düsseldorf Palermo e V., attivi da una decina di anni nel capoluogo siciliano
“Il modello dei Kunstverein e dei Künstlerverein non è semplicemente un riferimento esterno. Ma ha costituito un elemento formativo fondamentale nel nostro percorso di crescita, sia come artisti sia come operatori nel campo dell’arte contemporanea”. Così Alessandro Pinto, responsabile – assieme a Michael Kortländer – della Haus der Kunst e vicedirettore del Verein Düsseldorf Palermo e V., a Palermo, introduce l’identità dell’originale spazio siciliano. Lo incontriamo in occasione della mostra Poetik der Gegenstände (Poetica degli oggetti), in corso fino al 6 dicembre. Una collettiva di artisti siciliani e tedeschi che indaga il modo in cui gli oggetti sono in grado di rivelare valori simbolici, evocativi e critici. Che vanno oltre la rappresentazione mimetica della realtà. E lo fa attraverso i differenti stili e media degli artisti coinvolti, tra cui Andrea Di Marco e il fotografo internazionale Boris Becker. Ne approfittiamo per farci raccontare anche la genesi di questa organizzazione dagli accenti nordici, innestata nel Sud Italia e radicata ai Cantieri Culturali della Zisa. Ecco l’intervista…
La Haus der Kunst di Palermo nasce sul modello dei Kunstverein tedeschi dell’Ottocento: cosa vi ha colpito di quel modello, e perché avete pensato che potesse essere interessante trapiantarlo a Palermo?
Ci ha profondamente interessato il principio di associativismo tra artisti, e il ruolo attivo che queste forme organizzative rivestono all’interno delle scene artistiche delle città e dei Länder tedeschi. Ci ha convinto soprattutto l’idea che la progettazione e la gestione di spazi espositivi e iniziative artistiche possano essere assunte direttamente dagli artisti, in modo orizzontale e partecipato. È proprio su questo principio che molti dei membri del nostro Verein hanno costruito la propria visione e pratica artistica. Nel caso di Palermo, abbiamo ritenuto che un simile approccio potesse trovare terreno fertile grazie alla vitalità e alla ricchezza della sua scena artistica e alla forte presenza dell’Accademica di Belle Arti.

In che modo avete intrecciato questo modello associativo con il contesto culturale e sociale siciliano, che ha storia e dinamiche molto diverse da quelle tedesche?
La Sicilia e Palermo si sono sempre distinte per le iniziative di gruppi di persone attive nel sociale e nella cultura. Noi abbiamo solo proposto un’associazione che si occupa di scambio artistico inteso non solo come circolazione di opere o idee, ma soprattutto come possibilità concreta di movimento, incontro e confronto tra artisti, curatori e operatori culturali tra la Sicilia e la Renania Settentrionale Vestfalia, ma anche nella scena locale.
Quando avete fondato lo spazio, quale “vuoto” o esigenza del territorio volevate colmare?
Un aspetto che mancava quando abbiamo iniziato era quello della continuità delle residenze d’artista. In questi anni ne abbiamo organizzato 12 edizioni a Düsseldorf e 12 a Palermo. Oggi fortunatamente il panorama è cambiato: la città ospita diverse residenze che si rinnovano annualmente, come quelle del Kultur Ensemble, anche queste ai Cantieri Culturali alla Zisa, ma restano poche le realtà che offrono agli artisti siciliani opportunità di residenza all’estero, un ambito che riteniamo ancora da sviluppare. Più che colmare un vuoto, il nostro obiettivo era anche quello di rafforzare il confronto tra artisti provenienti da contesti culturali diversi, creando uno scambio reale e fertile tra Palermo e altre scene artistiche internazionali. Questo dialogo ci sembrava, e ci sembra tuttora, essenziale per la crescita e l’apertura della scena artistica locale.

Quali sono, secondo voi, i contributi più tangibili che Haus der Kunst ha portato alla scena artistica palermitana in questi anni?
Uno dei contributi più significativi è sicuramente rappresentato dalle residenze d’artista, che offrono concrete opportunità di crescita sia professionale sia personale, attraverso la possibilità di confrontarsi con scene e contesti differenti. Inoltre, abbiamo sempre cercato di creare occasioni reali per i giovani artisti locali, in particolare per quelli dell’Accademia di Belle Arti di Palermo. Le mostre collettive come Klasse o le Winterausstellung rappresentano per molti il primo vero confronto con il pubblico e con uno spazio espositivo professionale. Un esempio recente è la partecipazione di Maria Tindara Azzaro, studentessa dell’Accademia, selezionata per la nostra ultima residenza a Düsseldorf.
Come avete lavorato nel rapporto con le istituzioni locali?
Abbiamo iniziato il nostro percorso nel 2013, fondando il Verein a Düsseldorf. Dopo tre anni di attività, il nostro lavoro ha contribuito alla firma di un patto di gemellaggio tra le città di Palermo e Düsseldorf, del quale siamo parte attiva. Questo riconoscimento istituzionale, condiviso anche dalle ambasciate dei due Paesi, ha rafforzato la nostra posizione e ha facilitato una collaborazione con le amministrazioni locali, che apprezzano e supportano il nostro operato.

E con i Cantieri Culturali alla Zisa?
Siamo tra i fondatori di un Ente del Terzo Settore (ETS) che riunisce diverse realtà attive all’interno dei Cantieri. Questo ci ha permesso di lavorare in sinergia con altri soggetti culturali, condividendo spazi, visioni e progetti. Siamo particolarmente soddisfatti delle collaborazioni che nascono in occasione di eventi di più ampio respiro, come il Festival di teatro e performance Mercurio o il Sicilian Queer Filmfest.
Palermo è una città con un patrimonio storico fortissimo. In che modo il vostro progetto dialoga con questa stratificazione culturale senza esserne schiacciato?
Il patrimonio storico e artistico di Palermo rappresenta per noi una spinta, una continua fonte di ispirazione anche attraverso lo sguardo dei colleghi tedeschi. Spesso quel patrimonio è diventato base dei nostri progetti, come la mostra Palagonisch, che tematizzava Villa Palagonia, la villa dei mostri, descritta da Goethe nel suo Viaggio in Italia, o Engramma – San Giorgio con le installazioni di Daniele Franzella e Clemens Botho-Goldbach nell’area archeologica di Piazza XIII Vittime nel cuore di Palermo.
Quali differenze e affinità avete riscontrato tra la scena artistica tedesca e quella palermitana?
La scena tedesca si caratterizza per un sistema culturale più strutturato e sostenuto da fondi pubblici e privati a tutti i livelli, dalle mostre presentate in spazi off fino a quelle museali, mentre quella palermitana è più informale ma animata da una forte energia collaborativa e indipendente, come conferma la nascita, negli ultimi anni, di spazi artist-run come Parentesi Tonde, La Siringe e ALL. In Germania c’è maggiore stabilità, un sistema dell’arte connesso nei diversi livelli, a Palermo maggiore flessibilità e sperimentazione; Palermo ti dà sempre l’impressione di essere un cantiere aperto, dal potenziale immenso. Queste differenze sono l’humus del nostro lavoro di scambio tra le due città, sembra quasi che queste due realtà si inseguano, gli artisti di Düsseldorf sembrano anelare per la dinamicità palermitana, quelli di Palermo, invece, la struttura tedesca. Un’affinità comune è l’attenzione crescente alle pratiche partecipative e relazionali e soprattutto la voglia di dialogo, il forte interesse verso lo scambio e la cooperazione.

Dopo diversi anni di attività, in che direzione volete portare la Haus der Kunst? Quali progetti futuri immaginate?
Nel 2026 celebreremo un doppio anniversario importante: i 10 anni del gemellaggio tra Düsseldorf e Palermo e i 10 anni dello spazio Haus der Kunst ai Cantieri Culturali alla Zisa. Per l’occasione stiamo pianificando una serie di progetti speciali, in collaborazione con diverse istituzioni, da realizzare sia in Germania sia a Palermo. A Düsseldorf, l’8 febbraio inaugureremo una mostra allo Stadtmuseum che metterà in dialogo le opere di Alessandro Bazan e Konrad Klapheck, due figure centrali nelle rispettive scene artistiche. A ottobre, invece, a Palermo presenteremo con una grande collettiva all’Haus der Kunst, che riunirà tutti gli artisti che in questi anni hanno preso parte attivamente allo scambio tra le due città. Come sempre, la direzione del progetto si rinnova attraverso il lavoro degli artisti e delle artiste: sono loro a suggerirci le direzioni da intraprendere. Senza di loro, non esisterebbero né il Verein né l’Haus der Kunst.
Pensate che il modello del Kunstverein possa essere replicato altrove in Italia, o è strettamente legato a questo contesto specifico?
Ne siamo convinti: il modello del Kunstverein, con la sua struttura orizzontale e partecipativa, può essere replicato ovunque ci sia una reale voglia di arte e sperimentazione che nasca dal basso. Non è legato a un contesto geografico specifico, ma alla motivazione e all’iniziativa di artiste, artisti e operatori culturali che decidono di unirsi e costruire insieme spazi di produzione e confronto.

La nuova mostra si concentra sulla “poetica degli oggetti”. Come avete scelto di legare questo tema alle ricerche degli artisti coinvolti?
È da almeno un paio d’anni che volevamo organizzare una mostra sulla “Poetik” degli oggetti e sulla loro agency, sull’idea che gli oggetti possano agire o suggerire significati che vanno oltre la narrazione abituale o funzionale. Abbiamo quindi selezionato artisti la cui ricerca estetica e concettuale è profondamente radicata nell’indagine sull’oggetto, nel suo potenziale evocativo, simbolico o critico.
C’è un filo rosso che avete colto tra gli sguardi degli artisti tedeschi e quelli siciliani rispetto al tema dell’oggetto?
Ci sono diversi momenti di dialogo tra le opere degli artisti presenti in mostra, dalla plasticità reale ed evocata nei due pittori, Di Marco e Koning, e in Franzella, ai ritmi cromatici di Bay Lührssen che si riflettono e si amplificano nelle opere degli altri artisti, fino all’austerità del cemento di Palazzolo che dialoga in modo serrato con il rigore formale e concettuale del bianco e nero fotografico di Becker. Ma forse il filo rosso più evidente è quello tracciato dalle diapositive di Andrea Di Marco, che costruiscono una sorta di atlante dell’oggetto, un archivio visivo e concettuale capace di riverberarsi, in modi diversi, in tutte le opere presenti nella mostra Poetik der Gegenstände.













