Print Friendly and PDF

Tremate, le streghe son tornate. E stavolta, volano a Padova

Giuseppe Bernardino Bison, Magia Nera, XVIII – XIX secolo, Galleria Antichità La Pieve
Giuseppe Bernardino Bison, Magia Nera, XVIII – XIX secolo, Galleria Antichità La Pieve
Padova, Ex Macello. Una sala buia, un odore che non capisci se è di umidità o di cenere. E poi un bagliore: non di luce, ma di memoria. È lì che comincia Stregherie, la mostra che da ottobre 2025 a febbraio 2026 si propone come rito di passaggio più che come esposizione.

Nove sezioni, nove varchi da attraversare come fossero prove, iniziatiche e brutali, capaci di mettere a nudo il corpo e l’immaginario della strega. Non aspettatevi cappelli a punta o calderoni da fiaba. Qui le streghe non sono comparse disneyane né incubi inquisitori da manuale scolastico. Qui sono specchi, e non c’è scampo: prima o poi ci si riconosce nei loro occhi.

Lumb Stocks​, Streghe e stregoni danzanti – seconda metà XIX sec.​, collezione Invernizzi

Il viaggio inizia nel bosco, dove tutto è voce, fruscio, radice. I culti oracolari, le religioni precristiane, le narrazioni orali che hanno costruito il mito. È la sezione che ti ricorda che la strega non è invenzione, ma sedimentazione. Che non nasce nei tribunali, ma nei focolari, nelle notti in cui qualcuno raccontava una storia per spiegare ciò che non si poteva spiegare.

Poi arriva il corpo. “Il corpo che sa”, lo chiamano. Qui le opere parlano di mestruo, di desiderio, di aborto. Parlano di femminismo prima del femminismo. Parlano di resistenza biologica: un corpo che non si lascia possedere né ridurre a norma. Un corpo che resiste.

C’è una sala che è quasi silenzio: l’oblio. Lì rivivono i saperi negati, la medicina naturale, l’erboristeria, le pratiche magiche che hanno salvato vite e che la storia ufficiale ha cercato di cancellare. Un’altra è dedicata al marchio, l’incubo, il momento in cui la propaganda inquisitoria inventa la strega come nemico pubblico numero uno.

E poi, inattesa, la leggenda veneziana di Marietta Robusti, la Tintoretta. Ostie rubate, animali inginocchiati, un altorilievo di Ercole murato come protezione. Un racconto che mescola arte e superstizione, come a dire che il confine è labile, sempre.

Joseph Apoux​, Intimità – c.a. 1888​, Collezione Invernizzi

Nell’Ottocento la strega torna, romantica e ribelle, mentre nel contemporaneo rinasce come figura politica, simbolo di riappropriazione e di autonomia. Non un fantasma, ma una possibilità.

La parte più disturbante: il processo del 1539, rievocato in collaborazione con l’Archivio di Stato di Modena. Ti siedi sul banco degli imputati e ascolti le accuse e le confessioni estorte. Ti senti giudicato, anche se sei visitatore. Ti senti dentro la macchina che ha bruciato migliaia di donne.

Alla fine, la sala degli specchi. Al centro un podio, un libro: il Libro delle Ombre. Una penna, un calamaio. Sei invitato a scrivere un pensiero, un incantesimo, qualcosa che resterà lì per chi verrà dopo di te. Una catena di memoria e invenzione. E intorno, suoni che non dimenticherai facilmente.

Dentro la mostra vive un’altra mostra, firmata da Elisa Seitzinger. Arazzi, opere che sembrano icone bizantine e tarocchi, colori acidi che ti bucano la retina. In Superego, il suo autoritratto simbolico, la strega non è vittima ma figura che affronta le gabbie sociali. Non c’è paura, c’è controllo, c’è forza.

Tutto questo è orchestrato da Andrea Pellegrino, storico dell’arte e criminologo, che ha concepito Stregherie come un’iniziazione laica. E dalla Vertigo Syndrome, che non vuole mostre imbalsamate, ma esperienze in cui il visitatore possa sentirsi ignorante senza provare vergogna.

Alla fine, quello che resta è l’eco di una frase: non mi avete bruciata.
La strega sopravvive, trasfigurata, e con lei un sapere che non ha mai smesso di scorrere sotto la superficie della storia.

La promessa è chiara: quando uscirai dall’Ex Macello, non avrai visto un mostro. Avrai visto te stesso.

Commenta con Facebook