
America, l’iconica toilette in oro massiccio 18 kt, verrà messa all’incanto il 18 novembre a New York. Il suo valore, 10 milioni di dollari, è calcolato sul peso attuale dell’oro. E porta a una riflessione: a prevalere è il concetto di “cosa di valore” o di “valore della cosa”?
Cattelan colpisce ancora. E questa volta sembrerebbe (l’utilizzo del condizionale è d’obbligo) l’ultimo capitolo si una saga cominciata nel 2016, quando America, la sua opera più iconica, è stata installata nei bagni del Solomon R. Guggenheim Museum di New York, utilizzata da più di centomila persone.
La toilette d’oro è poi stata protagonista di una mostra tenutasi nel 2019 presso il Blenheim Palace nell’Oxfordshire, in Inghilterra, luogo di nascita di Winston Churchill, e sito Patrimonio dell’Umanità UNESCO. In questa occasione, America venne trafugata: in molti pensarono che il furto rientrasse in un piano architettato dall’artista, ma non fu così.
“Mi sono sempre piaciuti i film sulle rapine e finalmente ci sono anch’io. I ladri di quest’opera sono i veri artisti?”, commentò Cattelan subito dopo l’accaduto. L’opera non fu mai recuperata.
Quello che verrà battuta all’incanto da Sotheby’s il prossimo 18 novembre a New York è l’unico esemplare rimasto di America, e il prezzo di partenza al momento si aggira intorno ai 10 milioni di dollari, in base al suo peso di 101,2 kg. In poche parole, il valore dell’opera è calcolato sul peso attuale dell’oro, e dunque potrebbe variare da qui al giorno dell’asta. Altro aspetto che rende la vicenda ancora più complessa: per il pagamento di America, Sotheby’s accetterà anche criptovalute.
Porci dinanzi al dilemma su come definire il valore dell’arte – e soprattutto l’arte di valore – era probabilmente uno degli obiettivi che si era posto Cattelan quando ha ideato il suo “cesso d’oro”. Adesso questo dilemma diventa tangibile, e crea un precedente che lascerà senza dubbio il segno: il valore di un’opera d’arte può essere calcolato in base al valore del materiale di cui è fatta?
Tornano alla memoria le parole che Giulio Carlo Argan scrisse nel suo saggio di apertura del primo numero della mitologica rivista Storia dell’Arte, nel 1969:
“Poiché le opere d’arte sono cose a cui è connesso un valore, ci sono due modi di occuparsene. Si può avere cura delle cose: cercarle, identificarle, classificarle, conservarle, restaurarle, esibirle, comperarle, venderle; oppure si può avere di mira il valore: ricercare in che cosa consista, come si generi e tramandi, si riconosca e fruisca. Applicando al caso nostro la distinzione fatta da Scheler nella sua teoria generale del valore, diciamo che da un lato c’è il «bene» o la cosa avente valore (Wertdinge) e dall’altro c’è il valore della cosa (Dingwert)…”
Cattelan ci mette per l’ennesima volta dinanzi all’emblematico bivio: da una parte c’è la “cosa di valore”, dall’altro il “valore della cosa”.













