Giacomo Balla: Ritratto all'aperto, olio su tela, 1902, Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea, Roma
LA LUCE DEL MODERNO
25 febbraio – 24 giugno 2012, Rovigo, Palazzo Roverella
Il Divisionismo secondo la neo mostra a Palazzo Roverella di Rovigo svecchia il concetto di stagione artistica confinata in un pugno di nomi e regioni. E il colore scomposto brilla e rivela una dimensione global(nazionale) con un’accattivante carrellata sugli stati d’animo. E firme godibili
Un vantaggio, essere stranieri, per capire valore e spessore di una stagione dell’arte squisitamente italiana. Con un pizzico di provocazione e dovizia di dettagli tratti dai suoi trascorsi di mercante d’arte Philippe Daverio l’ha buttata lì all’anteprima rodigina della mostra Il Divisionismo, la luce del moderno (Palazzo Roverella, fino al 24 giugno 2012).
In sintesi – per gli assenti alla presentazione presso il Teatro Sociale dove sul palco c’erano anche i curatori e le autorità locali – il critico ha attribuito la personale e precoce ammirazione per il movimento alle sue origini extra-Stivale. La miccia si è accesa quando, ventitreenne, intercettò due dipinti: un possente guerriero medievale rifiutato alla vendita per 7/8 volte presso la storica casa d’aste Geri, l’altro trovato da un mercante di tappeti di Alassio, con quattro signore che fumavano l’hashish, future testimonial di Opium, il profumo di casa Dior. Entrambe le opere – passate in sordina ai più, folgoranti per Daverio – hanno poi vissuto passaggi felici con quotazioni milionarie, alla loro giusta portata. Genius loci? No (almeno geograficamente parlando). “Avevo semplicemente un vantaggio – ha detto Daverio – non ero italiano”. Parte della vita (e degli studi) fuori confine gli avrebbero permesso di leggere con occhi vergini “quello che nella cultura liceale era noia al pari di Manzoni e De Amicis”.
Non male come chiave di lettura se si pensa all’effetto polvere (e uggia) che decenni di programmi scolastici hanno buttato addosso a capolavori da Dante in giù per la letteratura e da Giotto in poi per l’arte, con buona pace di quegli insegnanti molto volonterosi, un po’ sognatori, che con episodiche crociate hanno tentato di riabilitare la forza della bellezza al di fuori di testi e riassunti, pesanti e fuori tempo quanto paramenti in broccato. Leggere, come italiani, il Divisionismo da una prospettiva che astrae da reminiscenze scolastiche e conseguenti pregiudizi sulla via del tedio di certo aiuta a cogliere quell’energia profonda e specifica che il movimento ebbe precipuamente in Italia.
Mentre in Francia Signac e Seurat “punteggiano” il Neoimpressionismo suggestionati dalle teorie ottiche in voga, qui da noi un gruppo di artisti si riunisce, trova confronto uno nell’altro e fa della macchia un mezzo per esprimere uno spirito che spesso è intimità, allegria, passione, ma anche spiritualismo, simbolismo, ideologia politica. “A questi della maniacalità scientifica di Seurat non importava”, ci dice Daverio. “Scompongono la macchia secondo una tradizione italiana, vedi Tintoretto e Veronese. In loro c’è la stessa voglia di scomporre”.
E se Daverio va oltre attribuendo ai divisionisti il ruolo di rifondatori dell’italianità, la mostra ha il merito di voler proporre il Divisionismo in una dimensione più global(nazionale) che local, all’insegna di una pittura delle emozioni che vedeva nell’uso diviso dei colori complementari “non soltanto un modo nuovo, ma il più indicato a esprimere i nostri pensieri e sentimenti di uomini moderni”, come scriveva Gaetano Previati.
Per proporre questo comune sentire come filo rosso l’esposizione rodigina si è imposta un lungo piano sequenza in luogo di tagli prospettici dilatando sia i consueti confini cronologici (che dal 1891 sfumano sui più giovani continuatori della tecnica divisa post-1900) sia la geografia divisionistica comunemente accentrata sull’asse Lombardia-Piemonte. Ergo il Divisionismo è andato oltre una/due regioni (perché proprio le diverse dimensioni territoriali sono la sua maggiore ricchezza) e oltre i grandissimi Previati, Segantini e Pellizza da Volpedo, studiati (e un po’ appannati) sui libri di scuola.
Una dichiarazione di intenti che pur con qualche lacuna (i Previati presenti non sono il meglio della produzione) e qualche punto di domanda (Benvenuto Benvenuti tra colori fluo, quasi pop, e tratti bizantini) riesce nell’interessante visione d’insieme a stuzzicare la voglia di intercettare il colore ogni volta diversamente diviso per sperimentare l’animo. Succede con i nomi altisonanti dei padri fondativi, che certo non deludono bensì confermano gli entusiasmi (con opere commoventi come il pentittico L’amore nella vita di Pellizza da Volpedo), ma succede anche con gli artisti a lungo definiti petit maître e invece meritevoli di una rivalutazione nella complessa coralità dei contributi (come il “caso” Llewelyn Lloyd, rivelazione della mostra con le sue istantanee nel cuore luminoso delle Cinque Terre).
Tra paesaggi montani, vedute campestri, riflessioni sociali. Tra scorci sul mare e ancora il mare al completo, luogo icona del Divisionismo mirabilmente declinato nelle visioni di Plinio Nomellini (il più eclettico) la tecnica è sempre il mezzo per esprimere “la luce del moderno” come recita il sottotitolo dell’esposizione. È così soprattutto nella sezione dedicata a La psicologia della vita moderna dove, spiega Francesca Cagianelli, curatrice della mostra insieme a Dario Matteoni, “la ritrattistica supera il dato oggettivo e l’ufficialità”.
Ecco quindi scorrere tra le pareti sguardi che vanno oltre la posa e pose che vanno oltre la contingenza. C’è il ritratto di Carlo Rotta (Segantini, 1897) che dallo spunto celebrativo sfuma nella riflessione sulla morte attraverso l’espressione luminosa. Ci sono l’abbandono al dolore in Sola! di Emilio Longoni, il candore in primo piano della veste della signora in Ritratto all’aperto (di Giacomo Balla) in cui il bianco non è più un vezzo Belle Epoque, ma banco di prova per creare effetti ottici attraverso tratteggi, baffi, sfilecciature. Puntini, barrette, filamenti frastagliati che come pixel si accostano o si sovrappongono nelle diverse opere o anche si concentrano in una stessa creazione, così come nel magistrale Ritratto di scultore (Valerio Brocchi), di Umberto Boccioni, con la fisionomia accennata da un impasto di bianchi e rossi che restituiscono al soggetto la sua personalissima luce.
Le prime esperienze futuriste lambirono il Divisionismo e qui ci sono, con il loro plotone, Carlo Carrà incluso, autore de l’Uscita dal teatro, del 1909: un episodio (ancora una volta) oggettivo che in realtà racconta (o meglio tratteggia) un ventaglio di stati d’animo. La stessa energia che serpeggia tra le tele di Palazzo Roverella replica a pochi chilometri nella palladiana Villa Badoer dove l’esposizione si sdoppia sul fronte delle arti decorative. Qui uno solo per tutti, Galileo Chini, esprime la sua idea di Divisionismo in ceramiche metalliche per effetto, ricche di cromie intense e di bagliori. Piacevano tanto a Luchino Visconti (uno tra i suoi maggiori collezionisti), le addocchiò Tiffany, che le mise in vendita a New York. Nel 1911 il re del Siam le volle per decorare la sua Sala del Trono. A noi sono molto piaciute, regalandoci un’ulteriore finestra su un Divisionismo tutto italiano.
INFORMAZIONI UTILI:
Il DIVISIONISMO. LA LUCE DEL MODERNO
Rovigo, Palazzo Roverella, via Laurenti 8/10; 25 febbraio – 24 giugno 2012
Informazioni: Palazzo Roverella
Tel. 0425 460093 – www.mostradivisionismo.it – info@palazzoroverella.com
Mostra a cura di: Dario Matteoni e Francesca Cagianelli
Direzione della mostra: Alessia Vedova.
Catalogo: Silvana Editoriale
Sede e orari:
Palazzo Roverella
Rovigo , Via Laurenti 8/10
feriali 9.00-19.00; sabato 9.00-20.00; festivi 9.00-20.00. Chiuso i lunedì non festivi
Biglietti:
intero € 9
ridotto € 7 (over 65, studenti universitari, insegnanti con documento, categorie convenzionate)
gratuito (bambini fino ai 6 anni, portatori di handicap con un accompagnatore, giornalisti con tesserino, militari in divisa)
gruppi (min 20 persone) € 7 (gratuito per un accompagnatore)
“Galileo Chini. La luce della ceramica.”
Sede e orari:
Villa Badoer, Fratta Polesine (Ro)
Feriali e festivi: 10.00-13.00; 14.00-19.00
Chiuso i lunedì non festivi
Biglietti: intero € 5; ridotto € 3; visita guidata a gruppi € 60
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