L’importanza del pubblico durante la performance, per Marina Abramovic -l’artista serba (Belgrado, 1946), premiata anche con il Leone d’Oro di Venezia alla Biennale del 1997- fu chiara fin dall’inizio della sua carriera artistica. In “Rhythm 10” (1973) Marina operava ancora completamente da sola e il pubblico aveva la funzione di testimone alle sue “azioni” (usando dieci coltelli e due registratori ricrea il gioco russo per cui ritmici colpi di coltello seguono il ritmo dei suoni e sono diretti agli spazi fra le dita aperte delle due mani. Ogni volta che si taglia cambia coltello, fino ad usarli tutti e dieci). In “Rhytm 0” (1974) l’Abramovic inizia a dimostrare un interesse per la partecipazione attiva del pubblico: nello Studio Morra di Napoli l’artista si fa trovare sdraiata, nuda, e vicino a lei ci sono una serie di oggetti come cinture, catene, coltelli e persino una pistola carica. Dopo poche ore dall’inizio della performance, la Abramovic si ritrova con i vestiti completamente strappati e la pelle del corpo lesionata da colpi di rasoio. Addirittura la performance si deve interrompere quando uno dei visitatori le punta la pistola contro, e si genera una rissa. Nell’idea di azione performativa dell’artista serba, infatti, la ricerca gestuale del performer riesce ad essere completa solo e unicamente in presenza del pubblico a cui sembra quasi principalmente rivolta l’azione. Se questo fenomeno appare sempre più chiaro nelle performance di Marina Abramovic, anche quando lavora con il compagno Ulay -famosa la loro performance “Imponderabilia”, nel 1977 nella Galleria comunale d’arte moderna di Bologna, dove si fecero trovare all’ingresso della Galleria completamente nudi uno di fronte all’altra, lasciando pochissimo spazio ai visitatori per entrare e costringendoli quindi, con relativo imbarazzo, a passare attraverso i loro corpi nudi- oggi arriva, dopo più di quarant’anni di carriera, ad un punto estremo, dove il pubblico diventa il principale protagonista delle sue performance. Un lungo percorso che trova ora a Milano un punto di approdo fondamentale: nel nuovo lavoro ideato appositamente per il Pac-Padiglione d’Arte Contemporanea, dal 21 marzo al 10 giugno, la Abramovic si dedica infatti direttamente allo spettatore. Quella che lei chiama la “pulizia della casa”, espressione che intende la preparazione psicologica e la concentrazione che un performer deve avere per andare fino infondo nelle sue azioni, diviene materia di insegnamento: a gruppi di 21 i neo-performer entreranno nel Pac e ricevono direttamente dalla Abramovic le indicazioni per come far diventare il proprio corpo protagonista e tavolozza della performance. “Anzitutto bisogna abbandonare ogni forma di tecnologia, vestire un camice bianco e firmare con me un ‘contratto’ –dice-: il partecipante mi dà tutto il suo tempo in cambio della esperienza che io gli consento di vivere. Io metto il tempo, il pubblico l’esperienza”.
Quindi Performance significa esperienza?
La Performance è una forma d’arte basata su un tempo immateriale, e si può accedervi solo con l’esperienza. La Performance è una costruzione mentale e fisica che avviene davanti a un pubblico e c’è un dialogo energetico. Non è più lo shock il motivo per cui si fa una performance, come avveniva negli anni ’70, eppure la performance può cambiare completamente la vita di una persona. Anche il pubblico deve essere messo nelle condizioni di essere protagonista di una performance, perché la performance permette di vivere in prima persona il proprio tempo. Non c’è più, oggi, l’idea di essere parte diretta di se stessi, e l’artista ha il compito di risvegliare questa consapevolezza nelle persone.
Come è avvenuto il suo personale avvicinamento al linguaggio della Performance, e come si è sviluppato fino a creare anche un “Metodo performativo” e una scuola?
Credo che ogni artista nasca con un mezzo espressivo adatto a se stesso. Io ho scoperto che il mio è il corpo e le sue trasformazioni, e il modo che ho trovato per renderlo al meglio è la Performance, che ha una energia espressiva sia per il performer che per il pubblico. Ora voglio trasmettere la mia idea di Performance direttamente al pubblico, rendendolo partecipe e protagonista e allo stesso tempo fondando una scuola d’arte performativa. Quello che mi importa ora è l’eredità che lascerò, per questo parlo di “metodo”. Infondo ogni artista ha una “mission”, deve lavorare facendo ciò in cui crede.
E la vendita di un’opera? come si unisce il “credo” artistico ai risvolti economici dell’arte?
L’artista deve vendere ciò in cui crede, non deve creare per vendere.
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SCHEDA TECNICA:
“The Abramovic method”
Padiglione d’Arte Contemporanea
via Palestro 14, Milano
a cura di Diego Sileo e Eugenio Viola
Orari mostra: lunedì, ore 14.30-19.30. Da martedì a domenica, ore 9.30-19.30. Giovedì ore 9.30-22.30.
Orari performance: 21, 22 e 24 marzo ore 10-12.30-15-17.30. 23 marzo ore 10-12.30-15-17.30-20. Dal 25 marzo: lunedì ore 15-17.30. Da martedì alla domenica: ore 10-12.30-15-17.30. Giovedì: ore 10-12.30-15-17.30-20.
Biglietto unico performance + mostra con Marina Abramovic il 21, 22, 23, 34 marzo: 30 euro + prevendita 3 euro. Dal 25 marzo: 12 euro.
Biglietto mostra: 8 euro intero, 6 euro ridotto
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Info e prenotazioni: www.theabramovicmethod.it
www.ticket.it/abramovic – tel. 02 54915