È appena uscito in edizioni DVD e Blu-ray Disc Snowpiercer, il primo lungometraggio girato in lingua inglese dal regista coreano Bong Joon-ho (che ci aveva conquistato con The Host). Ispirato dalla bande dessinée di Jacques Lob Le Transperceneige. Bong Joon-ho coinvolge in maniera programmatica nella sua produzione realtà geografiche diverse: Corea del sud e Stati Uniti con riprese a Praga, in Repubblica Ceca. Questa scelta conferisce un’originale connotazione multietnica utile a una migliore rappresentazione delle tensioni sociali che, statene certi, esploderanno lungo tutto il treno al centro della vicenda.
Sono passati diciotto anni da quando gli scellerati governi della terra hanno provato a risolvere l’incombente problema del surriscaldamento globale in un’unica e veloce soluzione: rilasciare nell’ecumene una sostanza, il CW-7, in grado di riportare le temperature a una ormai lontana normalità. Il CW-7 fa però di peggio, portando ovunque un’istantanea e perenne glaciazione che sembra aver azzerato la vita sulla terra. Solo la stravagante idea di mr. Wilford salva parte dell’umanità: un enorme treno autosufficiente, in grado di alimentarsi da solo e sostentare i passeggeri che hanno acquistato un biglietto, in giro su un’unica linea intorno al mondo per 365 giorni l’anno.
Dopo l’apocalisse ecologica i passeggeri vengono divisi in classi a seconda del biglietto acquistato: in coda i meno abbienti, tenuti in regime di segregazione, vicino alla locomotiva i più agiati. Un ecosistema chiuso, autosufficiente e controllato (scopriremo solo alla fine quanto) in cui ognuno occupa un posto definito.
L’idea di un ecosistema statico non è però accettabile. L’immobilità in natura è morte per cui non è difficile immaginare quanto la visione di Wilford possa mostrare il fianco a violente tensioni di cambiamento, a scossoni e tentativi di ribaltamento.
Nonostante il final-cut di due ore si avverte come i confini delle storie, molti dei personaggi e delle sottotrame richiedessero molto più tempo per essere narrate. Bong Joon-ho trasforma questo bisogno inappagato in una peculiarità straniante, spesso i confini dei dialoghi sfumano in sguardi carichi di tensione, in gesti rapidi e indicativi, in un ghigno mellifluo e crudele piuttosto che un’azione inconsulta e folle, «bisogna avere un certo grado di pazzia per sopravvivere su questo treno» dirà poi Wilford.
Nonostante il potenziale dell’idea centrale, il film non possiede la carica creativa di The Host ma riesce comunque a mettere in scena la natura vorace e autodistruttiva dell’umanità e la sua vana superbia, il dolore e l’orrore scaturiti dal confronto fra le diversità (diverse le lingue parlate sul treno, diverse le rigide classi in cui sono suddivisi i passeggeri), che pure erano alla base di The Host.
A servizio di Bong Joon-ho troviamo un cast di altissimo livello in cui spiccano l’inarrestabile Tilda Swinton nei panni della sgradevole e melliflua Mason, Chris Evans eroe forse troppo didascalico, Jamie Bell, la giovane e capace Ah-sung Ko (anche lei in The Host) e il rumeno Vlad Ivanov nei panni del tragico Franco the elder.
Tra soluzioni immaginifiche (lo stupore si dilata di vagone in vagone), commistioni tra il gaming e la tragedia classica arriveremo in cima al treno, all’agognata locomotiva per la dolorosa agnizione finale e, forse, per una salvifica boccata d’aria fresca.