Bruno Zanardi / Bronzi di Riace
Riportiamo la lettera di Bruno Zanardi, uno dei più noti restauratori italiani e fondatore presso l’Università di Urbino del primo corso di laurea per la formazione dei restauratori e in cui è docente di Teoria e tecnica del restauro, inviata a Repubblica nella quale chiarisce la sua posizione in merito alla querelle “Bronzi sì/Bronzi no” all’Expo 2015 di Milano.
Leggo su Repubblica del mio favore ai viaggi dei Bronzi di Riace. Favore indicato a mia insaputa — cose che capitano, al Colosseo lo sanno bene — e favore che confermo con alcuni distinguo. È infatti vero che una società scientifica in grado di mandare un uomo sulla luna non può non essere altrettanto in grado di mandare una statua o un dipinto da Milano a Roma, piuttosto che da Messina a New York. E qui ha ragione l’amico Sgarbi. Dopodiché il problema è viaggiare perché? E qui ha ragione il mio amico Settis. Diciamo allora che le opere d’arte italiane potrebbero viaggiare solo quando fosse finalmente definita una politica di tutela chiara, razionale e coerente, quella che stiamo tutti aspettando da quando Giovanni Urbani negli anni ‘70 del 900, cioè mezzo secolo fa, ne aveva tracciato, anche sulle pagine di questo stesso giornale, le linee operative di fondo, senza che mai da allora se ne sia vista una concreta applicazione.
Una politica di tutela che limiti radicalmente i restauri estetici in favore d’una conservazione preventiva e programmata del patrimonio artistico in rapporto all’ambiente. Una politica di tutela che ponga il problema sul piano d’una inedita ecologia culturale, facendo del patrimonio artistico una componente ambientale antropica altrettanto necessaria al benessere della specie delle componenti ambientali naturali. Una politica di tutela fondata su una nuova e breve e chiara legge che imponga una nuova disciplina dei vincoli così da stringere il patrimonio in mano privata e quello in mano pubblica entro un’unica e coerente e condivisa strategia. Una politica di tutela condotta da soprintendenti non più divenuti tali in grazia d’una laurea uguale per 250.000 persone (il caso incredibile, ma vero, degli architetti italiani), bensì formati in una sola e molto selettiva e a numero rigidamente programmato scuola post laurea organizzata sul modello dell’Institut National du Patrimoine. Una politica di tutela condotta sulla base di quel catalogo all’oggi lontanissimo dall’essere concluso che finalmente ci dica quanti sono, dove sono e a quali classi di materiali appartengano i beni da tutelare, visto che nessuna impresa scientifica può attuarsi se prima non si delimitano con la massima esattezza i margini dell’universo che si vuole esplorare. Ecco, quando in Italia tutto questo ci sarà — forse mai, se il futuro si può ragionevolmente immaginare dal passato — si potranno far viaggiare le opere d’arte.