Dopo la prima tappa a Venezia alla Casa dei Tre Oci, la retrospettiva Franco Fontana Full Color arriva a Roma a Palazzo Incontro, dal 15 ottobre all’11 gennaio 2015. È una rassegna che racconta, attraverso 130 fotografie, una grande produzione d’immagini, scandita attraverso differenti tematiche, tutte all’insegna del colore, il tratto distintivo dell’artista modenese. (www.fandangoincontro.it)
Il linguaggio visivo di Franco Fontana si distingue sin dall’inizio per il trionfo del colore, composizioni quasi geometriche e nello stesso tempo sature di poesia fotografica. Come nasce questa intuizione che diventerà poco dopo la sua cifra stilistica ma anche una scelta in un certo modo controcorrente?
Per dirla con una metafora, ero considerato un eretico. Il colore non era considerato in fotografia. Invece il colore è molto più difficile da realizzare rispetto al bianco e nero semplicemente perché il bianco e nero è un difetto per dirla con una mia battuta e tutto ciò che è difetto attira perché non siamo abituati a vedere i difetti delle cose. Siamo abituati a vedere la normalità. Nel colore c’è la normalità perché quando ti alzi al mattino, vedi il colore fuori dalla tua finestra. Il bianco e nero al contrario è inventato dato che la realtà non si accetta per come la si vede, si deve reimpostarla e guardarla in modo differente, in un modo più metafisico, in modo più immaginario come è l’arte che è tutta inventata.
Per parlare della differenze tra fotografia e pittura posso affermare che mentre la fotografia rappresenta sempre e comunque una realtà perché è il pensiero del fotografo che è astratto, l’arte, la pittura è sempre una tela bianca dove non c’è nulla e dove si dipinge la propria invenzione che non esiste.
La fotografia, anche se si fotografano per esempio macchie di rosso e di verde, non si può considerare foto astratta ma pensiero astratto perché l’obiettivo registra comunque una realtà. A chi mi dice “Ma questi cieli non li ho mai visti” rispondo “Non li hai mai visti perché non hai gli occhi per guardare. Perché oltre a guardare bisogna capire quello che si vede”. Noi vediamo con il pensiero e con il cuore. Quando sono andato in America nel 1979 le mie foto sono state accettate e pubblicate da tutti. È chiaro che la mia fotografia rappresenta uno stile sorto da una cultura europea. Sono nato in Italia. E quello che cerco è sempre di isolare nello spazio e nel tempo ciò che normalmente ci gira attorno con la luce perdendosi in una prospettiva infinita, e scomparendo nel vuoto di altri valori. Io dico sempre che cancello per leggere.
Lo stesso principio si può applicare più tardi allo studio profondo delle luci e delle ombre che si evidenzia e si valorizza pienamente nel progetto Sorpresi dalla luce americana. Cosa l’ha colpita di quel paesaggio e di quei personaggi che animano le città americane per ridipingerli con questo pennello di contrasti?
Quello che mi ha colpito della mia esperienza americana è la solitudine di gruppo. Si conosce qualcuno a un party una sera e il giorno dopo non ti saluta. Io ho delle immagini come, per esempio, quella della gente alla fermata di un autobus dove una decina di persone vicine non si parlano e non si guardano in faccia. Solitudine! E allora ho cercato di isolare queste figure in questi spazi americani. Poi naturalmente i contrasti, la luce danno rilievo ai personaggi perché si tratta di un palcoscenico animato dalla gente. I contrasti di luce negli Stati Uniti evidenziano i personaggi e sottolineano una rilevanza iperrealistica. La nostra luce, come quella di Roma è una luce più sensuale, più morbida, più mediterranea.
Lei ritiene che “la realtà ce l’abbiamo tutti intorno ma è chi fa la foto che decide cosa vuole esprimere”. Si può definire in queste parole il suo pensiero artistico che si riscontra nelle tappe successive dei suoi progetti dalle Piscine, ai Paesaggi urbani, al Mare?
Riassume lo stile ed è quello che salva tutta la mia identità. Anche le Piscine sono sempre dei paesaggi, cerco sempre di isolare per identificare E anche quando fotografi il mare o altro devi diventare tu stesso quello che stai fotografando e se è un albero, devi vivere l’albero. Non devi limitarti a guardare in superficie e allora i paesaggi diventano come autoritratti. Li vivi fino in fondo. Sensazione di verità pe identificare quello che senti. È come una specie di connubio, di amplesso con il soggetto. La fotografia è un pretesto e per me è una realtà di vita, è quella che mi ha dato la qualità. Ho fatto tante cose. Faccio il professionista quando c’è una committenza. Ma quando ti identifichi per quello che sei, scatta una committenza con te stesso, con i tuoi sentimenti, con la tua sensibilità. Ho lavorato ad esempio per quattro anni per Vogue America e l’ho saputo fare perché si tratta del mestiere. Adesso ho affrontato il tema della disabilità traducendo in immagini la percezione artistica e la solidarietà umana (il volume s’intitola Bellezze disarmoniche (www.edizioniartestampa.com). Comunque la fotografia rimane un mistero che continua ad esistere e a incuriosire. Una fotografia come un’opera d’arte è soggettiva. E la fotografia non ha bisogno di essere spiegata.
E quali tematiche esplorano i lavori più recenti?
La prossima mostra importante sarà Vita Nova a Palazzo Ducale a Genova, dal 29 novembre al 6 gennaio, un lavoro sul Cimitero Monumentale di Staglieno dove c’è tutto meno che la morte e dove le statue funebri manifestano una sensualità che le rende vive.
Caro Franco, le tue opere sono sempre emozionanti e non mi stanco mai di guardarle, anche se le ho scolpite nella mia memoria. Grazie di questo nuovo regalo. Sarà bello rivedere a Roma le tue foto.
Un abbraccio. Lea