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La Zuppa del Demonio: l’ambigua natura dell’utopia del progresso

Esce l’11 settembre in sala La Zuppa del Demonio, il nuovo film di Davide Ferrario (Se Devo Essere Sincera, Tutta Colpa di Giuda), presentato in questi giorni fuori concorso alla 71^ mostra del Cinema di Venezia.

“La zuppa del demonio” è il termine usato da Dino Buzzati nel commento a un documentario industriale del 1964, Il pianeta acciaio, per descrivere le lavorazioni nell’altoforno. Cinquant’anni dopo, quella definizione è una formidabile immagine per descrivere l’ambigua natura dell’utopia del progresso che ha accompagnato tutto il secolo scorso.

È questo il tema del nuovo film di Davide Ferrario, riuscire a restituire tramite materiale d’archivio quell’idea positiva che per gran parte del Novecento (fino alla crisi petrolifera del 1973-74, dove il film conclude) ha accompagnato lo sviluppo industriale e tecnologico del nostro paese – e non solo. Per molti anni l’idea che la tecnica e il progresso -l’industrializzazione- avrebbero reso il mondo migliore ha accompagnato intere generazioni.

La zuppa del demonio

Nell’illustrare questo processo il regista ha deciso di evitare commenti di storici, interviste ad esperti e didatticismi vari, che sicuramente avrebbero reso la pellicola troppo didascalica. Ha parlare sono i materiali dell’Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa di Ivrea, dove sono raccolti cento anni di documentari industriali di tutte le più importanti aziende italiane.

 “Quello che più ci interessava non era svolgere un discorso storico, politico o sociologico: ma provare a restituire il senso di energia, talvolta irresponsabile ma meravigliosamente spencolata verso il futuro, che è proprio ciò di cui sentiamo la mancanza oggi. Non per macerarsi in una mal riposta nostalgia: ma per capire come siamo arrivati dove stiamo ora” spiega Davide Ferrario.

La zuppa del demonio

Ad accompagnare le immagini, che si presentano come documenti di inestimabile valore è presente la lettura di brani scelti di diversi intellettuali e scrittori del tempo, che molte parole hanno speso sull’argomento: da Buzzati a Biagi. E spiega il regista:

“C’è stata fin dall’inizio l’idea di costruire una sorta di controcanto letterario alle immagini. Parole che confermassero un certo spirito dei tempi oppure se ne dissociassero, per creare una dialettica […]. È anche interessante notare che molti intellettuali, che nel dibattito pubblico avevano posizioni critiche sull’industrialismo, non disdegnavano comunque di scrivere per i film industriali: Pasolini, ad esempio. Ma anche Sciascia. E interessantissimo è il caso di Franco Fortini, che porta nei suoi commenti su commissione uno stile inconfondibile”.

La Zuppa del Demonio è un documentario che può sicuramente risultare controverso nel suo voler riproporre uno sguardo positivo su quel processo di industrializzazione che rivisto oggi tanto fa inorridire a causa dell’impatto sul paesaggio e sulla vita degli operai stessi, ma ha in sé un sincero tributo ai lavoratori che commuove a più riprese. Cela in sé un sentimento contraddittorio: c’è l’evidente scarto culturale tra la sfrenata positività di quei decenni e i tanti dubbi di oggi che si intesse però una nostalgia per un passato che sembra appartenere al mito fondativo del nostro presente. Un’occasione preziosa per soffermarci con un sentimento di gratitudine su come eravamo.

 

 

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