Euroluce 2015 ritorna al Salone del Mobile con la sua 28^ edizione. Visitando la fiera, ci siamo chiesti quale relazione ci sia tra design e arte.
Che il design viaggi a braccetto con l’arte non è una novità. Bisognerebbe rituffarsi nei lontani e ruggenti anni ’20 del Bauhaus per applaudire in prima fila al connubio tra funzionalità ed estetica. Se già a quell’epoca l’utilità del prodotto sposava le linee pulite non lontane dalle ricerche di Piet Mondrian e della sua arte di pura astrazione, come commentare gli sviluppi degli anni ’70 e ’80 e il sopraffarsi dell’aspetto ludico sulla funzionalità dell’oggetto rapportato alle novità artistiche di quei decenni? Da Sottsass a Mendini, fino ai più giovani Philippe Starck, Ron Arad e Michael Graves lo slancio estetico ed espressivo del design non conosce interruzioni, legandosi sempre più alla personalità e al background socio-culturale dei progettisti.
Oggi si sperimentano nuovi materiali e tecnologie e, dove tutto sembra essere già stato detto, si guarda al passato, rivisitandolo e reinterpretandolo. Ma non sono solo le linee dei più grandi designer del ‘900 ad ispirare i contemporanei. Passeggiando infatti tra i padiglioni della 28^ edizione della biennale Euroluce allestita al Salone del Mobile (14-19 aprile 2015), è inevitabile chiedersi quanto l’arte del secolo scorso influisca sulle nuove tendenze dell’illuminazione.
In quello che sembra essere il paradiso della lampada – riproposto al Salone proprio nell’anno che l’Unesco dedica alla luce – gli occhi si voltano al cielo alla scoperta di dinamiche contorsioni luminose che strizzano l’occhio alle sculture di Lucio Fontana. Numerosi gli esempi: dalla “Golden Ring” di Panzeri, ai tubi luminosi di Danese Milano; da “Buckle” di Tina Leung per Innermost Ltd, alle “Hoola” e “Hoop” di TossB.
E se è lo stesso Panzeri ad accostare le sue lampade da terra, da parete e da soffitto alle linee cubiste di una tela di Carlo Carrà ricreandone l’effetto segmentato, non passano inosservate delle colonnine luminose che richiamano colori e grafiche di Mondrian, artista il cui ricordo è vivo anche nella lampada da parete di Nemo.
I sottili steli dalle linee spezzate e i leggeri paralumi delle lampade Mantis fanno pensare ai mobile di Alexander Calder, mentre il lampadario “Wallie” di Tato che accosta forme e materiali diverse si ispira ai papier collé di Picasso – come ha dichiarato la stessa designer Lorenza Bozzoli.
E ancora, se “Flou Chandelier” di Arturo Alvarez richiama alla mente gli Achrome di piume di Piero Manzoni, i volumi bucati delle lampade da tavolo di Envy si avvicinano alle sculture di Henry Moore. E dalle rotondità specchianti che abbracciano le opere di Anish Kapoor, si passa a geometrie più rigorose che rievocano l’“Omaggio al quadrato” di Josef Albers.
Più affini a quest’ultima tendenza sono le tre lampade del giovane designer emergente Marco Spatti realizzate per Sforzin.
“Area”, che parla di regole e rigori che ordinano linee nello spazio. Suggestivi incroci di forme sospese a mezz’aria a creare installazioni e composizioni praticamente infinite. “Ala”, che nasce da un semplice gioco di una piega sui fogli A4 su una fotocopiatrice e pare aprire la parete per dare spazio alla luce. E “Lari” che prende il nome dalle figure in terracotta che gli antichi romani custodivano in nicchie ricavate da pareti e che si lega alla magia di veder nascere la luce direttamente dal muro. Tre illuminazioni fortemente e dichiaratamente architettoniche.
A Marco Spatti abbiamo chiesto quale sia oggi, a suo avviso, il rapporto tra arte e design e quanto quest’ultimo si faccia influenzare dall’arte.
“Non è facile rispondere a questa domanda” – afferma. “Soprattutto perché non è facile definire oggi cosa sia l’arte e quali opere siano da reputarsi tali, e, allo stesso modo, cosa sia il design.”
“Le due discipline nascono con intenti e finalità diverse: se infatti l’arte esiste per assecondare un bisogno espressivo dell’uomo, il design nella sua forma più pura risponde ad una necessità pratica. Si può quindi dire che il design sia sempre esistito: lance o stoviglie primitive sarebbero da considerarsi oggetti di design tanto quanto coltelli o ciotole firmate per esempio Alessi. Nel tempo materiali e tecnologie sono cambiati, ma il design è sempre rimasto design. Si è solo evoluto con la società, trovandosi a scontrarsi con un’esigenza di bellezza sempre crescente e a lavorare molto sull’estetica del prodotto, cosa che in origine era semplicemente legata alla sua funzionalità” – spiega.
E continua: “Ricerca estetica e funzionale sono quindi i due fattori che stanno alla base del design. Ma è storicamente capitato che la prima prendesse il sopravvento sulla seconda, dando vita così ad oggetti esteticamente significativi a discapito della loro utilità. E’ così che il design si impregna dell’accezione di decorazione. Il design diventa allora scultura, installazione, grafica… arte. Ma quanto è ancora design?”
Allo stesso modo potremmo dire che anche l’arte nell’accezione di scultura che dall’objet trouvé delle avanguardie storiche arriva ai volumi astratti dei giorni nostri, o le sempre più frequenti installazioni respirino a pieni polmoni l’influenza del design.
Ma forse la verità è che la divisione tra discipline artistiche è a tutti gli effetti superata e come diceva Bruno Munari “Non ci deve essere un’arte staccata dalla vita: cose belle da guardare e cose brutte da usare”.
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