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Il gioco del lotto e la cultura. I tesori del gioco d’azzardo più diffuso d’Italia

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Questa storia inizia il 23 Dicembre 1996, quando sotto il Governo Prodi, con Veltroni alle attività culturali e Visco alle finanze, viene pubblicata la legge n.662.

Questa legge, dal nome: Misure di Razionalizzazione della Finanza Pubblica, contiene un articolo che avrebbe introdotto uno stretto legame tra il gioco del lotto e la cultura in Italia. L’articolo in questione è l’articolo 83, che recita testualmente: “Con decreto del Ministro delle finanze, da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n.  400, sono stabiliti nuovi giochi ed estrazioni infrasettimanali del gioco  del lotto. Con decreto del Ministro delle  finanze,  di  concerto  con  i Ministri del tesoro e per i beni culturali e ambientali,  da  emanare entro il 30 giugno di ogni anno,  sulla  base  degli  utili  erariali derivanti dal gioco del lotto accertati nel rendiconto dell’esercizio immediatamente precedente, e’ riservata in favore del Ministero per i beni culturali e ambientali una quota  degli  utili  derivanti  dalla nuova estrazione del gioco del lotto, non superiore a 300 miliardi di lire,  per  il  recupero  e  la  conservazione  dei  beni  culturali, archeologici, storici, artistici, archivistici e librari.”

Come si può comprendere, all’interno di questa norma esiste un certo grado di discrezionalità rappresentata sia da un importo che deve essere determinato su una non meglio specificata “base degli utili erariali […] dell’esercizio immediatamente precedente”, sia e soprattutto nell’utilizzo di questi fondi aggiuntivi che vanno destinati genericamente “al recupero e la conservazione dei beni culturali, archeologici, storici, artistici, archivistici e librari.”

Questa flessibilità legislativa permette, ovviamente, di adattare le direzioni cui indirizzare i fondi sulla base di esigenze specifiche, e quindi si presenta come elemento desiderabile per una politica di tipo culturale. L’altro lato della medaglia, tuttavia, vuole che nel medio periodo la flessibilità si trasformi in incertezza, incertezza che si trasforma periodicamente in andamenti altalenanti nell’erogazione dei contributi. Più di un autore si è speso nel voler sottolineare come sia necessario poter contare su un finanziamento continuo nel tempo, capace di permettere una programmazione che esuli dalle esigenze della congiuntura. Ciò che invece si vuole portare all’attenzione è come questo trend altalenante non rappresenti una lineare traduzione dell’andamento generale delle entrate.

Guardiamo qualche cifra: stando alle cifre che il MIBACT rende disponibili, il contributo che il gioco del Lotto ha erogato a favore della cultura ha conosciuto negli ultimi 5 anni (dal 2010 al 2014) un tendenziale negativo, passando dai 60 milioni di euro del 2010 ai 22 del 2014. Una differenza sicuramente significativa non solo dal punto di vista nominale (quasi 40 milioni di Euro) ma anche riferita all’intero ammontare (un calo del 62.91%). La storia che raccontano i bilanci del Lotto è invece differente, con un trend al rialzo che è passato da 337 milioni di euro del 2010 ai 407 milioni di euro del 2013.

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Sebbene il tema sia ormai risalente (si ragionava in lire) la questione è invece di strettissima attualità, non solo per l’ultima dichiarazione del Presidente del Consiglio, che, con riferimento all’ultima legge di stabilità, ha promesso un aumento di 10 milioni di euro nei prossimi 3 anni, ma anche per una serie di considerazioni di carattere più generale, in cui il meccanismo del lotto va associato alle politiche culturali.

Con riferimento alla dichiarazione riportata da alcuni media, innanzitutto va detto che la questione dei 10 milioni rappresenta un’astrazione dal contesto senza alcun significato concreto (i 10 milioni che verranno recuperati saranno il frutto, stando alle stime dell’Agenzia dei Monopoli di Stato, di una maggiore inclusione all’interno dei canali “ufficiali” di una serie di operatori non autorizzati), così come va contestualizzato che 10 milioni, in realtà rappresentano ben poca cosa se si tiene conto delle erogazioni inziali.

Ma la questione del Lotto è soltanto un’ennesima dimostrazione di una politica culturale che più che essere bipartisan è bipolare: il decreto Artbonus, pubblicizzato come meccanismo per avvicinare le imprese alla cultura è in realtà più adatto al micro-mecenatismo che al mecenatismo di stampo macro; l’articolo 13bis che prevedeva un tavolo interministeriale per stabilire le sorti degli extra-proventi derivanti dal Tax Free Shopping non ha dato luogo a nessun tipo di riflessione (proprio nell’anno in cui le stime del turismo incoming di stampo extra-UE erano più elevate); la politica dell’IVA con l’ebook al 4% era in realtà un modo per non costringere le case editrici ad alzare i prezzi dei propri titoli sui dealer internazionali; i super-manager dei musei mostrano competenze internazionali, ma non certo nel management, e ora, l’aumento dei dieci milioni in tre anni fa fronte ad un calo tendenziale di natura molto più elevata.

Tornando al Lotto e al suo “tesoretto” com’è stato definito in passato, rimane un elemento importantissimo da comprendere: come vengono assegnati i fondi, sulla base di quali processi ne vengono determinati i quantitativi, e come si misura che questi fondi diano luogo a dei risultati congrui.

Anche questa tematica è ormai nota, ma la crisi, la maggiore conoscenza e consapevolezza del ruolo delle industrie culturali e creative, e un cambio di sensibilità generale presso l’opinione pubblica non dovrebbero più permettere sprechi sotto il versante culturale, date le enormi potenzialità in termini di ritorni sugli investimenti che possono mostrare i beni culturali nel nostro Paese.

Non è retorica politica, è gestione di denaro pubblico, ed è per questo che bisognerebbe comprendere i risultati di investimenti che i cittadini (attraverso la macchina burocratica) hanno fatto negli ultimi anni, come quello di € 1.067.954,84 che nel 2014 sono stati erogati al Palazzo Reale di Napoli – Bosco di Capodimonte per “Supporto alla realizzazione di progetti di valorizzazione e di modelli di gestione del patrimonio storico artistico e paesaggistico”, o dei € 602.402,72 che nello stesso anno sono stati erogati a favore del Palazzo del Collegio Romano per “Supporto alle attività di promozione e comunicazione del patrimonio tramite lo sviluppo di servizi in rete (contact center)”.

Come vengono selezionati i capitoli (e i capitali di spesa?) come vengono valutate le concrete attuazioni?

Senza risposte a queste domande, ha poco senso comprendere perché non si sia stabilita una aliquota di quanto del gioco del Lotto vada alla Cultura (anche se la domanda è effettivamente legittima). Il nodo centrale è quello di comprendere come vengono impiegate le risorse, e sulla base di ciò si può iniziare ad avviare a ritroso un percorso di trasparenza, di validazione e di riconoscimento.

Non basta dire che grazie al Lotto la cultura ha delle risorse, ma bisogna comprendere i meccanismi che fanno sì che tali risorse varino con così tanta rilevanza senza alcun legame con gli introiti da cui esse generano.

Un Governo, un Ministro, un AD o un manager che non sappia rispondere a queste domande semplicissime perderebbe qualsiasi credibilità, non solo sul versante internazionale ma anche nei confini domestici. Sulla base di quali requisiti lo Stato può chiedere agli imprenditori e ai cittadini maggiori risorse per la cultura se altrove ne ha diritto e non ne gode?

Perché appellarsi alla campagna mediatica quando ci sono risorse che potrebbero essere utilizzate e che non vengono richieste? Perché per le somme investite non c’è un indice per valutarne la remunerazione?

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