In una recente Bustina di Minerva, la rubrica di Umberto Eco sul settimanale “L’Espresso”, lo scrittore sembra voler irridere all’opera di Francesco Hayez. Per il giornalista, Hayez non sarebbe altro che un vignettista, un disegnatore, incapace di applicare le regole basilari della prospettiva e impegnato a mettere in scena nelle sue grandi tele delle pièce teatrali. Eco, dunque, non consiglierebbe i lavori dell’autore come modello estetico per le scolaresche, che, invece, in questi giorni, visitano numerose la mostra dell’artista alle Gallerie d’Italia in Piazza Scala a Milano, fino al 21 febbraio.
Leggiamo il suo scritto: “Hayez, vedrete che una sua gamba, per fare un esempio, è una gamba, e per rendere questo mirabile evento evidente, Hayez la contorna, non con una linea nera (perché non era certo un maldestro artigiano), ma la separa in qualche modo da ciò che non è gamba, dal resto dell’universo, e in qualche modo ripassa le linee della gamba, perché i tratti di luce e di colore non gli bastano. Quindi Hayez disegna e illustra, ma non dipinge.” E ancora: “La pittura di Hayez piaceva perché era commento alla letteratura e al teatro.”
“Forse si potrebbe dire che Hayez, senza saperlo, era post-moderno, e cioè vivesse di citazioni extrapittoriche. In questo senso andarlo a rivedere può forse riservare qualche piacere raffinato. Ma non lo consiglierei come modello estetico alle scolaresche”.
La lettura della produzione di Hayez fornita dallo scrittore è originale e controcorrente. Eco spiega che già nel 1984 aveva sostenuto questa teoria, ma nessuno della critica d’arte aveva sollevato obiezioni, perciò oggi ha sentito la necessità di ripetersi, ripresentando la sua riflessione. Infatti: “Queste cose le avevo già scritte nel 1984, e proprio qui sull’”Espresso”, in occasione di un’altra mostra dedicata ad Hayez, ma mi pare non avessero sconvolto il mondo della critica d’arte, per cui mi permetto di tornare su quelle mie idee.”
La tesi di Eco sembra voler scardinare il lavoro di un autore particolarmente amato, soprattutto a Milano. Se universalmente accettata, per estensione, potrebbe cambiare il modo di intendere e concepire la storia dell’arte. Dal punto di vista dell’analisi, lo studioso ha visto giusto, ma nel contempo ha forse esagerato, calcando troppo la mano.
In effetti le tele di Hayez mancano della prospettiva, ma (ci domandiamo) questa è davvero così fondamentale? Crediamo che la pittura si esaurisca nello studio prospettico?
Per Eco “nella pittura i corpi nascono da uno spazio e non è che siano sovrapposti a uno spazio”. Di fatto la pittura è anche colore, gesto, movimento, emozione… Soprattutto è ciò che il sistema dell’arte riconosce come tale e l’opera di Hayez è da secoli riconosciuta come pittura. Sostenere la stretta relazione tra arte pittorica e prospettiva indicata da Eco potrebbe significare cancellare gran parte della produzione artistica moderna e contemporanea che della prospettiva se ne fa un baffo o ne propone una assolutamente libera e soggettiva. Inoltre, molti illustratori utilizzano la prospettiva e non si affidano esclusivamente all’enfatizzazione dei contorni delle figure, caratteristica che lo scrittore lega ai vignettisti.
Riguardo alle scolaresche, riteniamo che la visita all’esposizione sia importante da molteplici punti di vista: non solo per i meriti artistici, per il legame tra Hayez e il suo maestro Canova e il Neoclassicismo, ma anche per la storia nazionale, con alcuni aspetti del Risorgimento e i ritratti di Alessandro Manzoni e di sua moglie. Perché mai le scuole dovrebbero pensare soltanto alla prospettiva? Per sfornare futuri architetti destinati per assurdo a non trovare lavoro, data la crisi del settore?
Eco conclude narrando che, per passare il tempo, alle conferenze è solito schizzare dinosauri e monaci in rigorosa prospettiva. Ecco la sua testimonianza: “Ho capito come la pittura di Hayez fosse una cattiva pittura sulla base della mia esperienza di modesto dilettante di vignette (di solito prodotte mentre ascolto interventi altrui a un dibattito). Faccio una figura (di solito dinosauro, o un monaco), poi mi vergogno di essere così monodimensionale e disegno altri due monaci (o altri due dinosauri), in secondo piano. Siccome sono stato informato che esiste la prospettiva, faccio i due monaci o i due dinosauri di sfondo più piccoli. Ma, mentre tento di annerire la prima figura, rischio di confonderla con quelle in secondo piano. E allora, per far capire agli altri e a me stesso che quelle tre figure sono su piani diversi, insisto sul contorno, ricalco le linee che dividono la prima figura dalle altre due. Cioè, invece di lasciare che i corpi “appaiano” nello spazio, nascano dallo spazio, si definiscano in quello spazio per contrasti di luci e di colori, le costringo nell’armatura di un contorno. E’ quello che fanno molti illustratori, o vignettisti, che non intendono essere Raffaello.”
Fra tanti anni vedremo esposte in una mostra quelle carte?