La Peggy Guggenheim Collection di Venezia ospita una mostra di studio su Pablo Picasso che prende le mosse da tre dipinti di bagnanti esposte insieme per la prima volta. A cura di Luca Massimo Barbero, fino al 7 gennaio 2018, all’interno del progetto internazionale Picasso Mediterranée
Venezia. Un anno drammatico, quel 1937, che vide l’umanità imboccare il sentiero che avrebbe portato alla Seconda Guerra Mondiale: i totalitarismi erano ormai realtà consolidate in Italia, Germania e Unione Sovietica; con la sua politica dell’appeasement Chamberlain avrebbe ancor più rafforzate le posizioni tedesche in Europa; il Giappone invase la Manciuria da dove inizia la sua feroce conquista di parte dell’Asia; in Spagna (che pure sarebbe rimasta fuori dal conflitto), le tensioni politiche degenerarono definitivamente nella guerra civile e in aprile la città di Guernica fu sottoposta a un durissimo bombardamento della Legione Condor (con il supporto della Regia Aviazione Italiana). Un evento che colpì profondamente Pablo Picasso e che sarà il soggetto di uno dei suoi dipinti più drammatici.
Nonostante queste tragiche avvisaglie, la vita culturale continuava, ma nella sua continuazione si pose una serie d’interrogativi, mise a nudo i propri timori: le opere che Picasso realizzò in quel difficile 1937, possono essere considerate una sorta di indiretta chiave di lettura del suo stato d’animo. La doppia incisione all’acquatinta Il sogno e la menzogna di Franco è immediatamente leggibile come una decisa adesione ai valori democratici dei repubblicani spagnoli, fieri ma soccombenti avversari del Generalissimo. Se nella prima parte il pittore ironizza sulla figura “cavalleresca” del dittatore, distorcendo le forme cubiste in uno stile che ricorda quello dei fumetti, nella seconda vengono anticipati quei temi che troveranno poi pieno sviluppo in Guernica: corpi straziati, sangue, ferite, morte e distruzione; non un segno premonitore, certamente, ma l’estrinsecazione dell’angoscia che Picasso si portava dentro.
Dopo questa necessaria premessa, si spiega la triade delle bagnanti, punto focale della mostra Picasso sulla spiaggia, dove la distesa di sabbia assume un’importante valenza simbolica: al pari di Cesare Pavese, che nei medesimi anni individua nel Mito una sorta di luogo dell’anima dove trasferire in una dimensione più accettabile la violenza dei tempi, Picasso elegge la spiaggia a suo personale locus amenus. È qui che in estate incontra gli amici e colleghi artisti, con loro discute d’arte ma anche d’attualità, con il pensiero fisso alla Spagna che ha dovuto lasciare. Nelle intenzioni del curatore Barbero, questa piccola ma affascinante mostra intende riportare il pubblico a quei pochi giorni del febbraio 1937, fargli respirare l’atmosfera dello studio del pittore, intento a fermare sulla tela una stagione dell’anima della quale intuiva che era giunta la fine.
Tre dipinti – Femme assise sur la plage, La Baignade, Grande baigneuse au livre -, realizzati nell’arco temporale che va dal 6 al 18 febbraio e che sprigionano un’inquietudine quasi michelangiolesca nella metamorfosi della forma, con la colossalità del corpo femminile (frequentata, ad esempio, anche da Rodin) vista nei suoi aspetti più plastici. Opere in cui Picasso, come osservò Gertrude Stein “torna a essere se stesso”, ritrova la sua vena scultorea che trasferisce anche nella pittura e nel disegno.
Tratto eccezionale della mostra, l’aver riunito per la prima volta dal 1937, i tre dipinti, appartenuti nel tempo a soggetti diversi: Grande baigneuse au livre restò proprietà dell’artista fino alla sua morte, quando passò per donazione al Musée Picasso di Parigi; di Femme assise sur la plage sappiamo che fu acquistato da Jacqueline Delubac, che per testamento lo donò al Musée de Beaux-Arts di Lione; infine, La Baignade è appartenuta alla stessa Peggy Guggenheim che la acquistò nel 1947 da Mary Callery, considerata la più grande collezionista delle opere di Picasso negli anni Quaranta.
L’approfondito catalogo permette di apprezzare la qualità di osservatore che caratterizzò Picasso; uomo “da museo” (così lo definisce non a torto lo stesso Barbero), era rimasto affascinato dall’arte primitiva, dai suoi tratti arcaici, e appunto nei musei l’aveva attentamente studiata. Ma fu anche un attento osservatore di quanto accadeva nel mondo culturale, al punto da trovare ispirazione in numerosi lavori altrui (per citare Arthur Bloch, “Rubare a uno solo è plagio, rubare a molti è ricerca”). Una conferma la si ritrova nelle fotografie di Eileen Forrester Agar (1899-1991), che fu anche sua ospite a Mougins, in Francia, proprio quell’anno; ma Picasso già conosceva i suoi scatti delle spiagge bretoni, le cui forme rocciose sorprendentemente primitive si ritrovano simili in alcuni particolari delle bagnanti dipinte in febbraio. Una primitività che per Picasso è l’essenza dell’arte, come a dire che non è necessario inventare niente, tutto è già lì sotto i nostri occhi, a saper ben guardare e vedere. Alle forme, sono necessario complemento i colori, un marrone molto chiaro utilizzato per i corpi, diretto rimando alla terra, all’argilla, insomma all’essenza primigenia della materia.
Una cromia essenziale, che sembra mettere a nudo l’anima delle bagnanti, delle quali si avverte l’assordante silenzio che le circonda mentre leggono o spingono una barchetta, la nudità quasi animalesca eppure elegante nella nettezza delle linee che si alternano fra rette e curve, e nell’andamento sfalsato dei piani; figure sospese in una dimensione intima, appena violata da una misteriosa figura (fra il minaccioso e il voyeur) che sembra turbarne la pace. Tre dipinti che sono tre capitoli di un medesimo racconto, in cui il Cubismo classico assume caratteristiche psicologiche e crea atmosfere a metà fra quiete e inquietudine; alla semplicità dei gesti e delle pose risponde per contrasto la monumentalità della forma, che ha colti riferimenti in Rodin e Renoir, mentre la narrativa del concetto si avvicina ala poesia di Paul Éluard o Blaise Cendrars.
La curatela di Barbero pone l’accento sul grande lavoro di studio e ricerca che si cela dietro la mostra, perché oltre al corpus dei tre dipinti, sono visibili i relativi disegni preparatori, alcuni dei quali riemersi adesso dagli archivi privati, oltre a un piccolo corpus di opere precedenti (Il sogno e la menzogna di Franco del gennaio ‘37) e successive (disegni del dicembre ’37). Una mostra che prova come anche autori ormai storicizzati e per questo ampiamente frequentati dalla critica, abbiano ancora “zone d’ombra” della loro carriera a studiare le quali emergono interessanti dettagli che ne arricchiscono la conoscenza.
Ma a ben guardare, la mostra è anche occasione per cogliere interessanti parallelismi e misurare la portata dell’influenza di Picasso su altri artisti. Philip Guston (per combinazione una sua retrospettiva è visibile all’Accademia fino al 3 settembre), fu un suo convinto ammiratore, e certi dettagli del suo stile “fumettistico” furono ripresi non solo dalle vignette satiriche del New Yorker, ma anche dallo stile dello spagnolo; a lui infatti rimanda il modo in cui Guston disegna le dita in The line (1978), simili a quelle, ad esempio, di Due nudi sulla spiaggia (1937).
Quindici opere compongono la mostra, sufficienti però a far capire la genialità di Picasso, capace di ricondurre l’essenza dell’individuo alla semplicità della forma geometrica.
PICASSO. Sulla spiaggia
A cura di Luca Massimo Barbero
26.08.2017 – 7.01.2018
Collezione Peggy Guggenheim, Venezia
www.guggenheim-venice.it