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Intervista a Velasco Vitali

Velasco Vitali nasce nel 1960 a Bellano, sul lago di Como. Inizia la sua attività artistica nel 1980 da autodidatta, dedicandosi al disegno ed alla grafica, volgendo poi alla pittura e di recente alla scultura. Nel 1983 si aggiudica il Premio San Fedele Incisione Giovani, Galleria San Fedele, Milano. Nel 1987 è presente alla VIII Biennale Nazionale d’Arte Contemporanea, Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza. Alla fine degli anni Novanta si unisce al gruppo Officina Milanese, legato al critico Alessandro Riva. Nel 1993 partecipa alla XXXII Biennale d’Arte Città di Milano, Accademia di Brera. Nel 1999 è invitato alla XIII Quadriennale – Proiezioni 2000, Palazzo delle Esposizioni di Roma.

Nel 2003 Velasco aderisce al progetto Italian Factory, partecipando all’esposizione Italian Factory la nuova scena artistica italiana a Venezia. Esposizione che sarà poi ospitata presso il Parlamento Europeo, Strasburgo e farà tappa anche al Palazzo della Promotrice delle Belle Arti di Torino. Nel 2004 un’opera di Velasco entra a far parte della Collezione della Farnesina, Ministero degli Affari Esteri. È del 2005, invece, l’acquisizione da parte del museo MACRO, Museo d’Arte Contemporanea di Roma di un gruppo scultoreo di Velasco.

– Come vedi il panorama dell’arte contemporanea oggi in Italia?

Non è detto che l’artista conosca le logiche economiche, modaiole e sociali che regolano il mondo dell’arte né tanto meno è detto che l’artista sia in grado di percepire e prevedere i valori di quel mondo.
Di contro è certo che alcuni artisti hanno fatto di quelle logiche la loro base d’azione strategica.
È una situazione che determina una forte pressione e uno stato di affanno e a tratti alimenta una smania di affermazione poco sana.
Preferisco quindi pensare e parlare del mio lavoro attraverso il valore proprio dell’opera, fuori contesto perché riflettere sull’opera rimane una scelta di grande coraggio, una scelta ardua anche e perché fuori “sistema”.

– Come ti poni rispetto al circuito dell’arte contemporanea internazionale, come lo percepisci?

L’importante è essere ‘viventi’ piuttosto che artisti.
Si sa, altresì che la macelleria sotto casa è certamente di qualità internazionale e quindi esportabile ma deve fare i conti con McDonald’s, cioè con quello che realmente si esporta. Curatori , galleristi, collezionisti e artisti si muovono e lavorano fra piccoli e grandi sistemi, Andy Warhol, lo sanno tutti, ne ha tenuto conto e ha lavorato sul sistema, Jackson Pollock, al contrario, sull’opera.
Mi piace immaginare l’opera lontano dalla contingenza, vorrei che l’arte fosse trattata in punta di penna, mentre è chiara la diversa tendenza, in questi nostri tempi da reportage.
E quanto più il sistema diventa complesso e le relazioni si complicano tanto l’attenzione dell’artista dovrebbe essere rivolta altrove.
L’artista sta su un crinale dove la divisione fra sistema dell’arte e spazio poetico è fragile, e quello è il luogo della riconoscibilità e della difesa, il luogo in cui l’opera si confronta con il proprio stile e con il pubblico che la osserva e se ne impossessa.

– Quali artisti viventi trovi di tuo interesse?

L’autenticità del lavoro di artisti come Louise Bourgeois, Anselm Kiefer , Sean Scully, Mimmo Paladino, Luc Tuymans, William Kentridge, Miquel Barcelò è la dimostrazione di una capacità a resistere, forse anche oltre il talento.
Le mie predilezioni poi si riferiscono a mondi diversi, a volte vicini alle mie debolezze.
Desidererei possedere gli acquarelli di Alessandro Pessoli per sfamare la mia fantasia oppure accarezzare una livida e decadente scultura di Paolo Schimdlin o lacerarmi fra gli strappi di Nicola Samorì o addormentarmi accanto a un cavallo di Berlinde Bruyckere e risvegliarmi in un bar di Palermo e far colazione con il Laboratorio Saccardi e Alessandro Bazan e fuggire in un racconto di Andrea Mastrovito e ritrovarmi spaesato in una città di Luca Pancrazzi.
Se Gioacchino Pontrelli si immaginasse gli spazi della mia casa, alle pareti ci potrei appendere immensi smalti di Mario Schifano, che mi hanno sempre dato grande energia per ricominciare a dipingere e ripensare alla pittura.

– Con la mostra Extramoenia hai affiancato l’opera su tela alla scultura, utilizzando materiali industriali, ‘rubati all’edilizia’. Anche nel progetto Tana, dell’aprile 2006 per il Teatro dell’Arte
di Milano, hai impiegato materiali ‘poveri’ come ferro, corde e catrame.
Come avviene la scelta dei materiali?

Rubare resta sempre un’ottima regola, così come il lavoro rimane un buon veicolo per imbattersi nelle sorprese.
Lo sviluppo di un’opera non è prevedibile e tra le varianti c’è la scelta dei materiali il loro utilizzo.
La materia ha la capacità di modificare un’intenzione o di sottolinearne la forza .
La mia scultura è nata dalla pittura, come una terza via per dilatare lo spazio del disegno, del dipinto, così via.
Se utilizzo il cemento per modellare ho la sensazione di costruire, con conseguente libertà di distruggere, lo stesso succede anche con il piombo, il catrame e il ferro.

– Che cosa aggiungono questi materiali ‘poveri’ e inusuali all’espressività dell’opera?

Il rapporto con i materiali è una scelta che consegue al progetto. In pittura vi è sempre una relazione fisica fra l’idea del quadro e ciò che realmente si realizza. Voglio dire che un dipinto è generato anche da un’idea tattile, dalla capacità sensoriale di mettersi in relazione con le cose e le persone.
L’arte è in fondo un modo di restiture una realtà, o una delle tante, restituire piaceri, idiosincrasie.

– In questo periodo a che tipo di sperimentazione estetica ti stai dedicando?
Quali i materiali? Quale la tecnica che in questo momento prediligi?

Le mie sperimentazioni partono sempre da molti dati, prima si complicano poi un progetto trova sviluppo tramite la sottrazione. È molto difficile prevedere cosa succederà, quali saranno i riferimenti, i materiali, il risultato.
Fa parte del gioco.
È l’esistere che offre idee, progetti, ispirazioni, sperimentazioni continue e più lo si vuole imbrigliare e forzare tanto più il risultato è artefatto.
Nel mio lavoro vorrei che lo fosse il meno possibile, per essere più cosciente dunque meno artefatto possibile.

Esposizioni principali (selezione)

1984 Artisti e scrittori, Rotonda della befana, Milano
1986 Velasco. Opere 1985-1986, Compagnia del Disegno, Milano
1987 VIII Biennale Nazionale d’Arte Contemporanea, Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi, Piacenza
1989 Lacasella e Velasco, Galleria comunale d’Arte Moderna, Conegliano, (TV)
1989 Velasco. Opere 1988-1989, Museo della Permanente, Milano
1990 Velasco. Paesaggio Cancellato, Palazzo Sertoli, Sondrio
1991 Paesaggi Italiani. Una situazione del secondo ‘900, Galleria Comunale d’Arte Moderna, Conegliano,(TV)
1994 Venti pittori in Italia, ex convento di San Francesco, Sciacca (AG), Galleria Forni
1994 Velasco: disegni, acquerelli, pastelli per “Il dio di Roserio” di G. Testori, Compagnia del Disegno, Milano
1996 Pitture. Il sentimento e la forma, Casa dei Carraresi, Treviso
1997 Frangi, Petrus, Pignatelli, Velasco. Esterno città, Galleria Appiani Arte Trentadue, Milano
1998 Officina milanese, Galleria Appiani Arte Trentadue, Milano
1998 Il nuovo ritratto in Italia, Spazio Consolo, Milano
1999 Le carte dell’Officina milanese, Galleria Appiani Arte Trentadue, Milano
1999 XIII Quadriennale – Proiezioni 2000, Palazzo delle Esposizioni, Roma
1999 Sulla pittura. Artisti italiani sotto i 40 anni, Galleria Comunale d’Arte Moderna, Conegliano,(TV)
2000 Arte italiana 2000, J.J. Brooking Gallery, San Francisco
2000 Sui generis, Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano
2003 MIXtura, Galleria dell’Incisione, Brescia; Studio Andrea Gobbi, Roma
2003 Il cuore della scena artistica in Italia, Barbara Behan Gallery, Londra
2004 Extramoenia, Palazzo della Ragione, Milano
2004 Extramoenia, Palazzo Belmonte Riso, Palermo
2004 Arte e sport nel ‘900 italiano, Chiostro del Bramante, Roma
2005 Beijing Biennale, Millennium Monument, Pechino
2006 Velasco- Tana, CRT, Sottopalco del Teatro dell’Arte, Milano

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