CAROLUS CRIVELLI VENETUS
TRA GENTILEZZA GOTICA
E NATURALEZZA RINASCIMENTALE
E NATURALEZZA RINASCIMENTALE
Dal 26 novembre 2009 al 28 marzo 2010, Pinacoteca di Brera – Milano
“È pittor degno che si conosca per la forza del colorito più che pel disegno; e il suo maggior merito sta nelle piccole istorie, ove mette vaghi paesetti, e dà alle figure grazia, movenza, espressione, e talora qualche colore di scuola peruginesca…”
(Luigi Antonio Lanzi – Storia pittorica dell’Italia)
(Luigi Antonio Lanzi – Storia pittorica dell’Italia)
Il “pittor degno” citato dal Lanzi è Carlo Crivelli (Venezia, 1430 – Marche, 1494), artista veneto quattrocentesco, cui la Pinacoteca di Brera dedica dal 26 novembre 2009 al 28 marzo 2010 una mostra di grande interesse intitolata, non a caso, “Crivelli e Brera”.
L’esposizione riunisce le tredici tavole che pervennero a Milano con le spoliazioni napoleoniche del 1811 e che in seguito furono disperse sul mercato antiquario internazionale, così da poter ricostruire gli ultimi 10 anni di storia dell’opera artistica del Crivelli, tra il 1482 e il 1493, nell’Italia centrale, straordinario momento di cultura figurativa tra gotico e rinascimento.
Poco considerate e apprezzate dalla pinacoteca braidense, poichè di gusto “primitivo” quindi estranee alle tendenze estetiche diffuse nella cultura milanese dei primi dell’Ottocento di inclinazione neoclassica e accademica, le opere di Crivelli furono messe da parte preferite a tele di pittori più modesti e di minor qualità che però rispecchiavano i canoni classicisti in voga.
Non c’era ancora una matura consapevolezza ad apprezzare il Crivelli come già invece accadeva nelle culture del Nord Europa dei pittori Nazareni tedeschi e successivamente dei Preraffaeliti in Inghilterra.
“Crivelli e Brera” si pone di fornire una riflessione sulle problematiche e le scelte che stanno all’origine compositiva dei Musei europei di Primo Ottocento oltreché illustrare l’opera crivelliana attraverso la ricostruzione dei polittici riunendo i pannelli smembrati situati in diverse città d’Europa.
I dipinti esposti sono relativamente pochi ma tutti da osservare meticolosamente, da ragionare e da comparare.
L’accostamento con gli oggetti di arti decorative riportati nelle tele dell’artista come i tappeti anatolici del XV secolo, l’oreficeria e le opere manufatturiere locali permette il confronto diretto con il dipinto e consente una chiave di lettura di notevole comunicazione.
Questa mostra chiude le celebrazioni del Bicentenario della Pinacoteca e va così ad accompagnarsi alle altre 3 esposizioni del Museo: “Il ritorno di Napoleone” – il gesso di Antonio Canova ora visitabile al pubblico dopo un lungo restauro, “Brera e la guerra” – mostra fotografica che narra i più drammatici momenti vissuti dalla Pinacoteca di Brera durante i due conflitti mondiali e il “Grande Restauro” della celeberrima tavola di Raffaello “Lo Sposalizio della Vergine”.
Il percorso artistico: dal Veneto alla Marca
Carlo Crivelli fu magistrale artista della seconda metà del Quattrocento di origini e formazione venete (CAROLVS CRIVELLI VENETVS – iscrizione onnipresente nelle opere), attivo principalmente nelle Marche.
Di formazione squarcionesca e mantegnesca, svolse infatti alunnato presso la bottega di Francesco Squarcione, collezionista d’arte e maestro, già del Mantegna, nella città di Padova.
Padova fu centro umanistico fiorente e vivo nel Quattrocento, si sviluppò un “umanesimo epigrafico e archeologico” come lo definì lo storico dell’arte francese Andrè Chastel; fu meta prediletta dai fiorentini come Filippo Lippi, Michelozzo, Paolo Uccello e come lo scultore Donato di Niccolò di Betto Bardi, il Donatello, la cui attività provocò una svolta e una apertura nel panorama artistico veneto, momento chiave per il superamento del linguaggio tardo gotico del Nord Italia.
La scuola di pittura più rinomata della città è proprio l’officina dello Squarcione dove Crivelli frequenta e svolge il suo apprendistato. Qui acquisisce l’uso della decorazione del festone, elemento ornamentale centrale nella bottega padovana, divenuto un vero e proprio attributo distintivo come firma del pittore.
La predilezione per un esasperato linearismo, gli inserti naturalistici come i festoni, i frutti, le ghirlande e l’imitazione della natura in maniera fedele varranno l’interpretazione di quel“Rinascimento Umbratile” che Crivelli porterà con sè e diffonderà nella provincia marchigiana.
Nella Marca, tra Ascoli Piceno e Camerino, Crivelli si trova a confrontarsi con la cultura locale tardo gotica, un ambiente rinomato per le proprie arti decorative, raffinate oreficerie, smalti colorati e la ricchezza dei manufatti tessili. In quel periodo la regione raggiunse una situazione prospera, sia economicamente che culturamente, affacciata alle nuove forme rinascimentali e una nuova sensibilità raffinata seppur ancora ancorata a un feudalesimo di carattere arcaico.
Le Marche erano già importante centro artistico – nel 1966 J. Delumenau definì la città di Ancona “trait d’union entre l’Occident et l’Orient à l’èpoque de la Reinassance”, e Crivelli vi introdusse iconografie e composizioni spaziali innovative:
“…Nelle Marche la importa (l’arte veneta del Mantegna) Carlo Crivelli, un veneziano che riempie i suoi quadri di broccati, motivi cesellati e bulinati, immense ghirlande.”
(A.Chastel – Storia dell’arte Italiana I, CAP 5. Il Quattrocento)
Purtroppo all’inizio del Cinquecento scompare dalla storia della critica d’arte, Vasari nelle sue Vite lo ignora completamente; verrà riscoperto solo nel XIX secolo dagli inglesi e dal nascente gusto romanticista.
OPVUS CAROLI CRIVELLI VENETI: la maniera, la tecnica, lo stile
“Lo sviluppo completo si stenderà sino alle forme a merletto, alle invenzioni d’ornamento infinitesimale, dove gemme e fiori marmorei sono racchiusi in sagome di fasto orientale. Tali, in ispecie, sono i caratteri dell’opera di Carlo Crivelli.”
(A.Chastel – Storia dell’arte Italiana I, CAP 5. Il Quattrocento)
(A.Chastel – Storia dell’arte Italiana I, CAP 5. Il Quattrocento)
Crivelli è pittore modernissimo ma ancora arcaico di spirito, l’utilizzo smisurato dell’oro e delle pietre preziose, il copiare con minuzia straordinaria i particolari in una riproduzione della realtà quasi esasperata fa del linguaggio del pittore veneziano un operare sospeso tra passato e presente che rappresenta la tradizione bizantina, l’oro e lo sfarzo dei tessuti, immersa nella realtà contemporanea del tempo e nel mondo sacro di una vitalità pulsante rinascimentale.
“Ciò che più monta, si è che per il succo delle tinte e per un nerbo di disegno questo pittore può a buon diritto chiamarsi pregevolissimo fra gli antichi.”
(Luigi Antonio Lanzi – Storia pittorica dell’Italia)
(Luigi Antonio Lanzi – Storia pittorica dell’Italia)
Le sue pale sono un’esplosione di oro e materiali raffinati, in ogni capolavoro vi è un incredibile profusione di decorazioni e dettagli.
I colori splendono dalle opere, l’accezione intensissima e luminosa della materia cromatica e la brillantezza degli smalti policromi risalta sulla tela grazie anche all’utilizzo della tempera a uovo insieme all’olio di noce.
I colori splendono dalle opere, l’accezione intensissima e luminosa della materia cromatica e la brillantezza degli smalti policromi risalta sulla tela grazie anche all’utilizzo della tempera a uovo insieme all’olio di noce.
“Non sarà inutile accennare che i suoi quadri sono condotti a tempera e perciò a tratti, e sono impastati di gomme sì tenaci che reggono a qualunque corrosivo; motivo per cui si mantennero lucidissimi.”
(Luigi Antonio Lanzi – Storia pittorica dell’Italia)
(Luigi Antonio Lanzi – Storia pittorica dell’Italia)
Un gusto che affascina e sconcerta, una sensibilità squisitamente tardogotica associata al gusto per l’artificio illusionistico come l’ornamento della ghirlanda o il cospargere frutti sul pavimento, già introdotto dal Mantegna.
“Si compiacque d’introdurre in tutti i suoi quadri delle frutta e delle verdure, dando la preferenza alla pesca ed al citriolo; quantunque trattasse tutti gli accessorj con bravura tale che in finitezza ed amore non cedono al confronto de’ fiamminghi…”
(Luigi Antonio Lanzi – Storia pittorica dell’Italia)
(Luigi Antonio Lanzi – Storia pittorica dell’Italia)
Frutti disseminati ovunque come fossero lì per caso, dalla mela (allusiva al peccato originale come alla Redenzione del Cristo) al cetriolo (il quale rimanda alla Resurrezione di Gesù ma può assumere significato negativo di perdizione e peccato), poi pesche, pere, prugne confuse a teschi e bucrani, una foresta di simboli naturali di un qualcosa che va oltre la semplice apparenza del quadro, che trascende la bellezza del dipinto.
Questa ricerca, ancora, si manifesta negli sguardi persi e malinconici e nelle mani nodose e affusolate delle figure religiose, segnali inquietanti di una tristezza interiore, una condizione di disagio che contrasta coi preziosi gioielli, le stoffe e gli sfarzosi vestiti di gusto rinascimentale che si susseguono in tutte le tele, in un atmosfera tutt’altro che rasserenante.
Questa ricerca, ancora, si manifesta negli sguardi persi e malinconici e nelle mani nodose e affusolate delle figure religiose, segnali inquietanti di una tristezza interiore, una condizione di disagio che contrasta coi preziosi gioielli, le stoffe e gli sfarzosi vestiti di gusto rinascimentale che si susseguono in tutte le tele, in un atmosfera tutt’altro che rasserenante.
Maggiori opere in mostra
“Trittico di San Domenico”: per la prima volta esposto in tutte le sue parti costitutive, con al centro una seriosa e affranta quanto stupenda Madonna con Bambino seduta su un trono ideato come edicola. Molto suggestivi gli inserti tridimensionali del polittico, i gioielli, la pastorale e le chiavi di San Pietro. Affascinati dalla struttura compositiva della tela così si espressero Gino Severini e Carlo Emilio Gadda agli inizi del Novecento:
“…Mi portò l’esempio di un san Pietro esposto all’Accademia di Brera di Milano che ha in mano delle chiavi vere… senza contare le aureole fatte con vere pietre preziose e vere perle.”
(G. Severini – Tutta la vita di un pittore)
(G. Severini – Tutta la vita di un pittore)
“Me lo sognai e risognai la notte, dura fantàsia: vagante per i tetri ambulacri di Brera, in uno scrigno incrostato di gioielli, mentre stringeva due impressionanti chiavi enormi pass-partout dall’ingegno segreto che lui solo sa, che lui solo adopera.”
(C.E. Gadda – Il Cetriolo di Crivelli)
(C.E. Gadda – Il Cetriolo di Crivelli)
“La consegna delle chiavi a San Pietro” con l’insolita raffigurazione iconografica del Bambin Gesù, anzichè del Salvatore, che consegna le chiavi al santo, accompagnato e assistito dal gesto elegante della Vergine Maria; rara scelta compositiva fedele al sentimento francescano, infatti la tela fu commissionata da Osservatori Francescani per la chiesa di San Pietro in Muralto a Camerino.
L’“Annunciazione con Sant’Emidio” ambientata in una via cittadina dominata da una casa con un elaborata decorazione all’antica, un accurato e complesso fregio architettonico entro la quale la Vergine inginocchiata attende la Colomba dello Spirito Santo che scende su di lei dall’alto in un raggio aureo.
“Il Crocefisso tra la Vergine e San Giovanni Evangelista” in cui è messa in risalto la fortissima tensione espressiva del Cristo con il capo e le sue ciocche dorate stagliate contro il legno della croce dietro ad un metafisico fondo oro.
L’“Incoronazione della Vergine con la Trinità e i santi Venanzio, Giovanni Battista, Caterina, Bonaventura, Francesco e Sebastiano”, suddivisa in 2 parti, ultima opera nota del pittore, dal Cristo della lunetta superiore dai capelli di finissima fattura bronzea lontano da ogni valore di naturalezza.
Il “Polittico del Duomo di Camerino” composto da tre grandiosi pannelli congiunti da un identico basamento marmoreo. Il pannello centrale raffigura la celebre Madonna della Candeletta, dalla sottile candela appoggiata al gradino, già situata nella Pinacoteca, collocata in un baldacchino di fiori, frutti e foglie; Crivelli riesce nell’opera di metter in risalto la luce e la potenza del dipinto d’altare nella sua materia luminsoa e nei giochi prospettici: l’eleganza della decorazione e la virtuosa minuzia con cui son rese le stoffe, i gioielli, gli elementi naturali e le venature del marmo rendono il dipinto superbo, la Madonna incantevole. La candeletta spenta resa quasi sospesa nel vuoto viene interpretata come simbolo di instabilità, ma anche come segno di devozione: sollecita la sua riaccensione da parte del fedele osservatore.
“Ad ogni modo s’industriò a compenetrare l’antico nella modernità; e in questo sforzo creò i suoi capolavori.”
(Adolfo venturi – Storia dell’arte italiana)
(Adolfo venturi – Storia dell’arte italiana)
INFORMAZIONI UTILI
Titolo: “Crivelli e Brera”
Curatore: Emanuela Daffra
Date: dal 26 novembre 2009 al 28 marzo 2010
Sede: Pinacoteca di Brera, Milano – Sala XX, XXI, XXII
Orari: dalle 8.30 alle 19.15
Biglietto: Intero – 10 euro; Ridotto – 7,50 euro
Catalogo: Electa – Crivelli e Brera, a cura di Emanuela Daffra
Curatore: Emanuela Daffra
Date: dal 26 novembre 2009 al 28 marzo 2010
Sede: Pinacoteca di Brera, Milano – Sala XX, XXI, XXII
Orari: dalle 8.30 alle 19.15
Biglietto: Intero – 10 euro; Ridotto – 7,50 euro
Catalogo: Electa – Crivelli e Brera, a cura di Emanuela Daffra