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LA VERA STORIA DEL CORVO DI PROVINCIA

Abbiamo ricevuto questo testo da Argàno Brigante che pubblichiamo integralmente al posto dell’editoriale. E’ lo stesso pubblicato sul catalogo della mostra di cui parla, che inaugura proprio stasera 11 luglio 2010. Spero che sia l’inizio di una collaborazione aperta a critici e intellettuali. Il nostro editoriale è a disposizione di chiunque proponga un intervento giudicato in linea con il giornale. Linea volta a stimolare il dibattito e la circolazione delle idee sul mondo dell’arte, sia nazionale che internazionale. Buona lettura

il direttore 

dal catalogo della mostra RITRATTI ITALIANI, a cura di Vittorio Sgarbi, Christian Maretti Editore, 2010

Questa è una mostra sul ritratto, certo; ma è anche, a suo modo, essa stessa un “ritratto italiano”. È il ritratto di una o più Italie: dentro, infatti, c’è – a suo modo – l’intera Italia di oggi: contraddittoria e spesso ridicola, che urla e che striscia (a seconda delle occasioni), piagnona e melliflua, eternamente vanitosa ed eternamente afflitta da inestinguibili complessi d’inferiorità, gigiona e spaccamontagne, livorosa e giustizialista, un po’ santa e un po’ puttana, furbastra ma anche “stupida come un pittore”, per dirla con Duchamp. C’è l’Italia di oggi e di ieri – quella, per dirla con Flaiano, che ha ancora oggi “un grande avvenire dietro le spalle”: che si prenota per l’Expo e poi passa due anni a litigare su chi debba dirigerlo, che dice che cambierà tutto ma poi non cambia un bel niente, che ama far proclami e appelli perché tanto non costa niente, che adora sguazzare nel fango dei vizi altrui, delle bassezze altrui – vere o presunte che siano -, delle intercettazioni altrui, dei pettegolezzi altrui, delle storie di alcove e di lenzuola, naturalmente altrui, e poi si straccia le vesti se non può neppure mettere tutto in piazza, o in prima pagina, e con nomi e cognomi: vergogna!, vergogna!, è un attentato alla libertà di stampa! – salvo poi minacciare denunce e querele, se qualcuno insinua qualcosa non solo sugli altri , ma anche su di te … Tutta qua, l’Italia di oggi? Ma no, ma no, siamo onesti: c’è anche l’Italia dello star system, dei fashion victim, della moda, dei designer, delle modelle e delle donne più belle del mondo, dei fotografi più bravi del mondo, degli scrittori-eroi, degli scrittori-magistrati, delle vittime delle mafie e delle stragi e anche del traffico del sabato sera… e poi c’è l’Italia delle Associazioni, dei Diritti, dei Gay Pride, delle leggi anti-omofobia e delle leggi ad personam… Insomma: è l’Italia, bellezza!

Ecco, dobbiamo dirlo: questa è una mostra sull’Italia: è un ritratto collettivo dello spirito italiano, come lo si sarebbe chiamato in altri tempi. Del resto, come diceva Ugo Ojetti, “chi non sa disegnare costruire dipingere un corpo e un volto, non è un artista italiano. Potrà essere moderno, cioè alla moda, ma italiano non è, nemmeno se un gerarca lo proclama italiano e suggella l’equivoco con una nomina, con una compera, o con un premio”. E non sono allora italiani, anzi, arci-italiani, gli artisti riuniti per questa mostra dedicata appunto al Ritratto italiano, coi loro mille corpi e volti vuoi fotografati, vuoi modellati o scolpiti, vuoi dipinti in mille maniere differenti?

Ora, che le mostre debbano parlare solo d’arte, è un pregiudizio che va sfatato, e una volta per tutte. L’arte parla, deve parlare, invece, anche della vita, delle persone, della storia delle persone. E questa mostra non fa eccezione. Ecco perché non si può non partire con un racconto che sa di romanzo: per la precisione, un romanzo giallo. O un romanzetto, se preferite: un po’ Pittrigrilli e un po’ Guido Da Verona. Italiano, arci-italiano, anzi: italianissimo.

Anche questa, dopotutto, è l’arte, e anche questa è l’Italia: i piccoli intrighi, le storie piccanti, le manovre e manovrette, i giochini dietro le quinte… È un fatto, del resto, che noi italiani non abbiamo avuto Sherlock Holmes né Raymond Chandler – il primo incarnante l’intuizione investigativa fredda britannica, il secondo i modi spicci americani -, ma abbiamo avuto, in compenso, i migliori costruttori di intrighi e di ribalderie che la storia abbia potuto pensare. Abbiamo avuto D’Annunzio con le sue beffe, i suoi colpi di mano, i suoi pitali lanciati su Montecitorio a volo d’uccello; abbiamo avuto Pasolini, che il suo romanzo giallo se l’è costruito da sé, con le sue mani, con la sua vita tragica, scandita da un linciaggio e una persecuzione ininterrotti da parte dei mille sciacalli di destra e di sinistra, per finire, dopo morto, immolato, con spirito bi-partisan, come un martire e un profeta, sia a destra che a sinistra (eterna abitudine, e attitudine, italica, di santificare i santi solo dopo la morte, meglio se violenta). E abbiamo avuto Calvi e Sindona, l’uno morto suicida sotto un ponte che porta, già di suo, il nome di un romanzo giallo – il Ponte dei Frati Neri -, l’altro con una tazzina di caffè avvelenato portatagli in carcere, con un coup de théâtre che sa di sberleffo postumo verso i cretini e i complottisti d’ogni risma – oltre che di gustosa citazione dotta, essendo morto allo stesso modo, com’è noto, anche Gaspare Pisciotta, l’ex compare, nel frattempo trasformatosi in Giuda, di Salvatore Giuliano: altro grande eroe del complotto, giocato allo stesso tempo contro, e dentro, lo Stato. E poi, abbiamo avuto i mille corvi e corvetti, gli sciacalli in servizio attivo permanente, le “manine” dentro e fuori i servizi, sempre pronti a rimestare nel fango e a manovrare dossier e inchieste per tornaconto personale o furberìa politica… E non siamo poi, dopotutto, anche il paese dei Gelli, degli Andreotti, delle Gladio, delle teorie del “doppio stato”, dei rubli al Pci, dei depistaggi, del gioco dei complotti e dei “misteri d’Italia” sempre pronti a saltar fuori ad ogni cantone di strada?

Sì, noi italiani amiamo il complotto. Lo amiamo pazzamente. Fulvio Di Piazza ha dipinto, per questa mostra, un immenso golem con forma di nube tossica, o marea nera petrolifera: che sia un ritratto-omaggio a quell’incubo che è diventata la post-modernità, sempre sul punto di implodere sotto le sue stesse malattie e contraddizioni? Forse. Ma forse è anche un ritratto dello Spirito Italiano: Nube Tossica, Complotto, Segreto, Scandalo sessuale o politico – in ogni caso, di chi ama razzolare tra i rimasugli rimasti attaccati all’eterna poubelle della storia…

Ora, è un fatto che anche questa mostra, dedicata allo Spirito Italiano attraverso i ritratti di una quarantina di artisti, fotografi, disegnatori, pittori o scultori italiani, è iniziata con un piccolo giallo. Una piccola storia di provincia, sciocca ed esilarante, di miseri complotti, di manovre e di invidie personali, e di lettere anomime, di corvi e sciacalletti che amano sguazzare nei drammi e nelle tragedie altrui; e poi di politici che cavalcano lo sdegno popolare, di giornalisti compiacenti, di finti moralisti e di lupi travestiti da agnelli. Niente di più simbolico per una mostra che vuole raccontare, a modo suo, l’Italia di oggi.

Una storia che va raccontata perché, in qualche modo, è il simbolo stesso di ciò a cui s’è ridotta, in gran parte, la politica, l’informazione, e a quanto pare anche l’arte, oggi in Italia: niente più ideali o scontri idelogici, niente più opinioni, niente più battaglie su visioni del mondo contrapposte: ma solo un immenso, maleodorante calderone di accuse reciproche, di veleni, di sospetti, di finte battaglie condotte in nome della morale e della giustizia, per mascherare interessi di parte, affarucoli, vendette private: e poi storie senza fine di lenzuola, di sesso, di ricatti, di inchieste, di intercettazioni, di lettere anonime… non è questo, dopotutto, il fulcro e il cuore pulsante anche del cosiddetto “dibattito politico”, nell’Italia di oggi? Berlusconi e la D’Addario, Marrazzo, coi suoi trans e i carabinieri trasformatisi in corvi e ricattatori, e poi storie di pusher assassinati, di politici sorpresi con la presa di coca in mano e le puttane in albergo, altri sorpresi con le mazzette nascoste nello sciacquone del water… e poi storie di lenzuola, di desideri segreti, di ricatti, di affari, di dossier illegali, di droga, di sesso, sesso, sesso: non è ridotto soprattutto a questo, ciò che un tempo definiviamo con il nome altisonante di “lotta politica”, oggi in Italia?

Ecco allora a voi una storia che è una metafora perfetta dell’Italia di oggi. Sarò breve, come si diceva un tempo nelle conferenze, e ve la racconterò per sommi capi.

IL CORVO DI PROVINCIA, LA VOLPE E L’UVA DI CENTO

Tutto inizia con la mostra dei “disegni italiani” di Francis Bacon. La storia di questi disegni è, già di per sé, un piccolo giallo. Benché una sentenza abbia stabilito che gran parte di essi sono indiscutibilmente autentici, e benché i critici d’arte dicano che tutti, altrettanto indiscutibilmente, sono della stessa mano – il che li fa automaticamente autentici tutti, e senza ombra di dubbio -, tuttavia la storia è così complessa, divertente ed iperbolica che merita una trattazione a parte. Per la cronaca: la trattazione a parte l’ha fatta, di sua mano, Alessandro Riva, critico d’arte attualmente in disgrazia (è tutt’ora agli arresti, da oltre tre anni), per una storia di molestie ai danni di alcune bambine – molestie a cui lui si è sempre detto estraneo, per la cronaca, ma per le quali, al momento in cui scriviamo, è stato condannato in due gradi di giudizio, ed è ora in attesa del terzo. E qua comincia il nostro giallo. Giacché Riva, pur proclamandosi vittima di un errore giudiziario, sta scontando la sua pena: non è latitante, non è scappato. È agli arresti. Tuttavia – avendo anche una famiglia da mantenere, e non essendo affatto ricco – cosa fa? Continua a fare, per quanto riesce, il suo mestiere. Cioè scrive d’arte, e cura – se può, e quando può – delle mostre: quando qualcuno glielo lascia fare, appunto.

L’editore Christian Maretti ha seguito, dal punto di vista editoriale, l’affaire Bacon. Ha “sdoganato” lui, con le sue edizioni – assieme, e grazie, all’avvocato Umberto Guerini, che ha seguito la causa che s’è conclusa con la definitiva autenticità dei suddetti disegni – il “caso” dei “disegni italiani” di Francis Bacon: disegni, appunto, che Bacon donò molti anni fa a un suo amico italiano, Cristiano Lovatelli Ravarino. Quella di Lovatelli Ravarino è un’altra di quelle bellissime storie tipicamente italiane, di intrighi e di misteri: perché questo ex ragazzo, oggi oramai cresciuto d’età (oltre che di taglia), è sempre stato uno che nei misteri s’è divertito a sguazzare: il suo primo libro, dedicato a Bacon, si intitolava appunto: “Francis Bacon, L’urlo della memoria: i misteri, i disegni, le stragi nelle interviste di Cristiano Ravarino”. E la comprovata autenticità dei disegni che Bacon gli regalò, una trentina d’anni fa, risiede (anche) nel fatto che, amando Bacon i misteri, i complotti, i segreti, ed essendo il Lovatelli Ravarino un appassionato proprio di misteri, di complotti, e di segreti, capitò che Bacon s’infatuasse, a metà degli anni Ottanta, di questo ex giovane, ed ex aitante, razzolatore di segreti e di misteri, e ogni volta che se ne veniva in viaggio in Italia non perdeva occasione di farsi raggiungere, e poi accompagnare in giro, proprio da lui, anziché da qualche critico o personalità dell’arte (che, sia detto per inciso, Bacon detestava, e sfuggiva come la peste). Questa è storia, ormai comprovata da decine e decine di testimoni. E siccome Bacon non poteva mai starsene con le mani in mano, cioè senza dipingere o disegnare, durante questi viaggi – anche questa è storia – disegnava freneticamente sui fogli che il giovane amico Lovatelli Ravarino gli procurava, e che alla fine dei viaggio regolarmente o gli regalava, o dimenticava da qualche parte, o donava a persone qualsiasi, che casualmente incontrava sulla sua strada. Questa è, in sintesi, la storia dei “disegni italiani” di Bacon, più o meno come la raccontò prima Giorgio Soavi nel suo bellissimo “Viaggio in Italia di Francis Bacon – un romanzo giallo” (Allemandi Editore), e poi Riva nel suo più recente “Indagine su Bacon” (Maretti Editore).

Perchè siamo partiti da Bacon? Perché questa mostra nasce dalla concomitanza con la mostra sui disegni di Bacon e del Guercino alla Pinacoteca di Cento. È proprio per accompagnare questa mostra, infatti, che Christian Maretti, assieme al gallerista Giovanni Bonelli, ovviamente in accordo con l’Assessore alla Cultura del Comune di Cento, il sanguigno Daniele Biancardi, decide di organizzare una mostra sul ritratto contemporaneo in Italia. E, in maniera naturale – visto che si è occupato di Bacon, e che dovrebbe scrivere anche un testo un catalogo nella mostra di Bacon – i due chiedono a Riva (che come vi ricorderete è sempre agli arresti) di pensarci su, e provare a buttar giù un po’ di nomi: dopotutto, quello del curatore è pur sempre il suo mestiere, e di mostre su argomenti analoghi ne ha curate a decine, se non a centinaia. Intanto anche Sgarbi, che assieme a Duccio Trombadori dovrà curare la mostra su Guercino e Bacon, viene informato del fatto che si sta pensando di mettere in piedi una mostra sul ritratto. Così prende il via questa mostra: in maniera un po’ informale e caotica, come a volte nascono le imprese migliori.

Sta di fatto che, dopo poche settimane dall’inizio di questa storia, che per il momento di misteri ne ha pochi, prende il via il nostro giallo. Cominciano infatti ad arrivare agli indirizzi di posta elettronica dell’Amministrazione di Cento delle mail di tre misteriosi personaggi, per protestare del fatto che un “criminale” – cioè Riva – starebbe per curare una mostra nel loro comune. Come fanno questi personaggi a sapere una cosa che ancora non è stata neppure decisa? Primo mistero. Ma il mistero si infittisce ancora di più, quando si guarda il nome di questi tre personaggi. Infatti, i tre – che, guarda caso, scrivono tutti e tre dalla stessa casella di posta elettronica – si chiamano Vittorio Cervi, Manuela Bergamasco e Leonardo Ludovisi (detto anche “Leo75”, o semplicemente “Leonardo”, nomi coi quali costui riempie di commenti al vetriolo i forum di siti d’arte). Ora, facendo un giro in rete, si scopre appunto che questi tre misteriosi figuri, più che “guardiani della moralità” – come fingono d’essere nel caso specifico – altro non sono che provocatori di professione, non di rado sfociando, coi loro insulti e i loro attacchi, al limite della calunnia vera e propria. In rete (è facile trovarli) ci sono decine e decine di “post” e di commenti a loro firma, ora contro questo ora contro quel personaggio dell’arte contemporanea. Ce n’è per Sgarbi – uno di quelli maggiormente presi di mira dai tre moschettieri dell’insulto: a lui è stato dedicato persino un intero blog di insulti sistematici quanto triviali -, per Angelo Crespi, consulente del Ministro Bondi, per Alain Elkann e il sindaco di Mantova, definito “cialtrone” per aver osato nominare Elkann a Palazzo Tè, per Luca Beatrice e Beatrice Buscaroli, definiti “marchettari” e con altri epiteti del genere, e per decine e decine di altri artisti, critici, e curatori: come Luciano Ventrone, Luca Pignatelli, Aron Demetz, Maurizio Bottoni, Agostino Arrivabene, Paola Forni, Flavio Arensi… la lista è lunga e potrebbe continuare. Per tutti, contumelie e fango a palate. Lo stile di scrittura è sempre lo stesso, stesse, identiche parole sono ripetute mille volte: nei blog si ripetono centinaia di volte le parole “menagramo”, “pregiudicato”, “cialtrone”, “vergogna!”, e altre gentilezze e “carinerie” (come le definirebbe il nostro Presidente del Consiglio) del genere. Tanto che, a leggere un po’ approfonditamente blog e commenti, appare evidente come i tre – che guarda caso scrivono dalla stesso indirizzo mail, si alternano negli stessi blog, si danno man forte a vicenda – altro non siano che un’unica identità. Un’identità multipla, creata ad hoc per riversare fango e contumelie sui personaggi “non graditi” a qualcuno del mondo dell’arte.

Perché racconto questa storia di corvi e corvetti da sottobosco dell’arte? Perché il corvo in questione ha scandito le fasi della nascita di questa mostra come un orologio a cucù. Mentre la mostra, al momento senza un vero curatore (Sgarbi, come sempre molto indaffarato, dava intanto indicazioni agli organizzatori su quale artista chiamare e quale quadro o foto sarebbe stato interessante esporre, ma al momento non si era ancora preso carico ufficialmente della mostra, avendo altre tre o quattromila cose da fare), ecco che il nostro corvo, o corbeau, come potremmo chiamare la misteriosa “manina” celata sotto i falsi nomi della ditta di falsari Cervi-Bergamasco & Ludovisi, continuava il suo instancabile tam tam. Hanno altro da fare, i corvi, oltre a scrivere lettere sotto falso nome? Probabilmente sì, ma si vede che scrivere lettere anonime li eccita. Si potrebbe, su questo, stilare un intero trattato: giacché c’è, da una parte, la tradizione, alta e antica, dell’utilizzo di pseudonimi: la storia ne è piena, e va detto che soltanto Fernando Pessoa ne contava più di venti. E poi ci sono i corvi, che scrivono sotto falso nome: ma non per polemizzare, duellare a colpi di fioretto o ironizzare su colleghi o avversari: no, solo per infangare; per insultare; per colpire; per mettere paura, o intimidire. Letteralmente, per fare del male ad altri. È una professione antica, anche quella del corvo: meno nobile, certo, ma antica: che ha una lunga tradizione, che si dipana negli scantinati delle procure, in quelle dei giornali, o dei Ministeri. Quelli che amano sguazzare nel fango delle lettere anonime, del resto, sono dei veri e propri “tipi” antropologici, per descrivere i quali ci vorrebbe la penna di un Lombroso.

Beh, il nostro corvo, in questo caso, che cosa fa? Scrive a tutti i consiglieri di Cento, al Sindaco, all’Assessore, ai giornali locali, e anche alle decine e decine di blog che pullulano in rete, e che lottano contro gli abusi sui minori. Infiammando gli animi. Dicendo che Riva – che peraltro non era affatto stato nominato a curare la mostra, sebbene se ne stesse occupando a livello informale – non doveva curare la mostra a Cento! Era uno scandalo! Una vergogna! Ora, perché questo signore – il nostro corvo – ritenga che un critico, ancorché condannato per qualsivoglia reato, non possa fare onestamente e semplicemente il suo lavoro, senza peraltro prendere una lira dagli enti pubblici, è un vero mistero. Polansky, secondo costui, non dovrebbe più girare film, per il fatto di avere avuto una condanna assai pesante per reati sessuali? O Caravaggio non diveva dipingere – e dipingere per la Chiesa – in quanto assassino conclamato? E le foto di Von Gloeden e Von Pluschov, dovrebbero, secondo questo custode della moralità (ma solo della moralità altrui, beninteso) venire distrutte, per via dello stile di vita dei loro autori, notoriamente in odor di pedofilia omosessuale? (ma ai tempi non si chiamava ancora così: si parlava, tout court, di “invertiti” e di “urninghi”).

A questo punto, a più d’uno è venuto un sospetto più che legittimo. Che dietro il corvo vi fosse un personaggio molto, molto addentro al mondo dell’arte. Magari un critico. Magari un critico invidioso. Magari un critico locale, che si sentisse doppiamente “scavalcato”, perché si era osato venire proprio nella sua regione (l’Emilia), a fare una mostra di pittura. Forse, questo signore ritiene di essere l’unico a poter fare una mostra di pittura in Emilia. Le pazzie, dopotutto, sono sempre legittime: soprattutto nell’arte, dove com’è noto i matti allignano. Di artisti un po’ folli, del resto, ce n’è un’infinità. Anche i critici, poi, non scherzano. Qui in Emilia, per esempio, molti si ricordano il caso di un tale, con fama di ineccepibile studioso, seppure di provincia, che un bel giorno si svegliò e assalì a colpi di mattarello – di mattarello! – il vicino di casa. La cosa accadde a Reggio Emilia nel luglio del 2006, e il mattarellatore – critico d’arte e, a suo dire, anche musicale, amante della pittura figurativa e iperfigurativa, permaloso e alle volte un po’ “invidiosetta”, come si direbbe a Milano – venne condannato, nell’ottobre del 2008, a 8 mesi di reclusione. Il tale gira ancora libero, ovviamente, e a nessuno – a meno che non si tratti di un altro matto – verrebbe mai in mente, che so, di riempire di mail le amministrazioni locali in cui costui cura le sue mostre, per metterle in guardia dal fatto che facciano appunto curare le mostre a un noto pregiudicato e mattarellatore di vicini di casa. Se il tale si eccita a prendere a colpi di mattarello i propri vicini di casa, dopotutto, sono affari suoi, ma la sua qualità di studioso – seppure di provincia – rimarrà comunque intonsa.

E invece no. Il nostro corvo, a Cento, continua a imperversare. S’è messo in testa che uno come Riva, per il fatto di esser stato condannato (sebbene non in via definitiva), non debba, non possa lavorare. Ora, la situazione è sotto gli occhi di tutti: Riva è già agli arresti, il che come si sa non è bello; è separato dalla sua famiglia, che pure, se Dio vuole, continua a volergli bene; non ha uno straccio di lavoro retribuito, e vive perciò ai limiti dell’indigenza – eppure, tutto questo, al “corvo” non basta: così, non avendo risposte, ai primi tempi, dall’Amministrazione di Cento, dove probabilmente nessuno neanche sa chi sia questo Riva (perché non è mai stato invitato ufficialmente a fare alcunché), il nostro corvo comincia a scrivere ai blog “anti-abusi”. Ora, si sa che, in questi blog, tira un’aria che puzza un po’ di forca. Ci sono i pasdaràn della lotta agli abusi sui minori. Infiammare gli animi dei frequentatori di questi blog è come gettare un cerino in un pagliaio. Ma il corvo non si ferma di fronte a niente. Scrive. Arriva a minacciare fisicamente il suo personale “nemico” (chissà perché). Che sia mosso da motivazioni di giustizia? Che sia, anche lui, unpasdaràn della lotta agli abusi? Non proprio: a cercare in rete, il corvo, celato sotto i suoi tre nomi Vittorio Cervi-Manuela Bergamasco & Ludovisi, sembra più che altro un pasdaràn dei propri odî e delle proprie vendette personali. Che hanno, tutte, a che fare con il mondo dell’arte. Chi non gli sta simpatico, chi forse gli ha “mancato di rispetto”, o chi ha avuto il torto di farsi nominare a qualche carica nel piccolo sistema dell’arte senza chiedere il suo permesso, è subito bollato: “gallerista moribondo”, “artista jettatore”, “pittore che ha un debole per le mogli altrui”, e via sputtaneggiando e infamando a più non posso.

Gli organizzatori della mostra di Cento, davanti a tanta caparbietà corvesca, prendono una decisione: chiamano Sgarbi, e gli chiedono di prendere in mano la mostra sul ritratto ufficialmente, in modo da tagliare la testa al toro. Cosa che Sgarbi puntualmente fa: la mostra la cura lui.

Tutto finito? No. il corvo non è ancora contento. Comincia a scrivere ai giornali locali, dicendo che ci sarà comunque un testo di Riva nel catalogo della mostra si Bacon. È anche questo uno scandalo? Evidentemente, al nostro cacciatore di carogne, al nostro corvo in salsa emiliana, anche il fatto che un suo avversario – o forse “collega?” –, oggi in disgrazia, scriva un testo in un catalogo, è un affronto che va punito. E così, ecco altre lettere. Ai blog, ai giornali, ai partiti. Il sindaco, che come tutti i sindaci tiene alla sua poltrona, chiama gli organizzatori, e dice: non voglio vedere il nome di questo qui, come-si-chiama, questo Riva, nei cataloghi delle mostre che si tengono nel mio paese! Ormai, un clima da far west all’italiana, anzi, all’emiliana, s’è impadronito della cittadina che fu patria del Guercino; le voci si rincorrono, i telefoni trillano, il sindaco sbuffa e s’arrabbia, poiché fra poco ci sono le elezioni. L’assessore alla Cultura, invece, da buon emiliano, tira dritto per la sua strada e, all’ennesima mail del corvo, sempre ben celato sotto i suoi tre falsi nomi Cervi-Bergamasco & Ludovisi, sbotta: “Fatti i cazzi tuoi!”.

Apriti cielo! I giornali scrivono. I blog impazziscono. I consiglieri scaplitano. Il sindaco bolle e ribolle. E il corvo gongola: come tutti i corvi, infatti, il suo scopo è creare il caos, e la sua perversione è quella di vedere gli altri annaspare o soffrire per mano sua. Peccato che, questa storia – un po’ come quella del mattarello – sia più comica che tragica. Riva, infatti, dice: pazienza, non scriverò alcun testo su Bacon: dopotutto, ne ho già scritti abbastanza. Sgarbi, poi, informato della cosa, alza appena un sopracciglio; e, informato anche sul sospetto che dietro il “corvo” Vittorio Cervi-Manuela Bergamasco & Ludovisi vi sia null’altro che l’invidia di un critico locale (che in rete è indicato a chiare lettere, con nome e cognome), alza anche l’altro sopracciglio, e dice: “Che senso ha parlarne? Quel signore, non esiste. E come si fa a parlare di ciò che non esiste?”.

Intanto un giornale locale, “La Nuova Ferrara”, riporta direttamente il sospetto che dietro il corvo di Cento vi sia ” un invidioso, perché escluso dall’ambiente, e pare, da notizie di stampa, condannato a 8 mesi per lesioni” (il famoso mattarello? ).  Nello stesso giorno, sul “Corriere della Sera”, Piero Ostellino finisce un suo editoriale citando Trilussa: “Nasce e si diffonde, nel giornalismo”, scrive Ostellino, “l’idea di libertà di Trilussa: ‘Passa un porco e je dico ciao maiale/passa un asino e je dico ciao somaro/Forse ste bestie nun me capiranno/ma armeno c’ho la soddisfazione de dì le cose come stanno/senza paura d’annà a finì in prigione'”. Parla del nostro corvo e della mostra di Cento? Ma no suvvia, siamo seri: parla, semplicemente, del giornalismo e della politica nazionali, dei mille blog sparsi ovunque nella rete, delle quotidiane diffamazioni, storiacce di letto, di lenzuola, di peccati e peccatucci altrui, usati come clava per colpire gli avversari, chiunque essi siano. Parla del nostro Paese, oggi. E’ l’Italia, bellezza! E come faremo, dopotutto, a vivere senza la nostra dose quotidiana di pattumiera, di idiozia, di malafede, di vendette a buon mercato, di eterno spionaggio nelle lenzuola altrui? Forse ha ragione Biancardi, l’assessore di Cento. Forse ai mille corvi sparsi per l’Italia dovremmo provare tutti, almeno una volta, a dire: “Fatti i cazzi tuoi!”

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4 Commenti

  • Per quanto riguarda i presunti disegni di Francis Bacon, questi sono stati dichiarati FALSI da una sentenza DEFINITIVA No. 2CB00067 del tribunale di Cambridge il 23.01.2013.
    Tutto è documentato qui: https://www.facebook.com/groups/469593363065445/?fref=ts

    Il processo italiano intentato da Martani contro il Ravarino non arrivò ad alcuna sentenza (tantomeno a favore di quei disegni) perché, trascorsi troppi anni, il presunto reato fu prescritto.

    Grazie

  • Questa è la risposta che nel settembre 2010, prima che Riva venisse condannato in via definitiva per pedofilia a 6 anni e mezzo di reclusione. Il presunto “corvo” è ancora incensurato (come se poi esistesse un qualunque reato paragonabile alla mostruosità della pedofilia…).

    De-Riva

    Sono da sempre, per educazione, cultura e formazione mentale, un garantista convinto. Per me è e rimane sacrosanto l’assunto secondo il quale ogni imputato è innocente fino a prova contraria, o sia fino all’espressione di una sentenza definitiva da parte della Cassazione, terzo ed ultimo grado di giudizio previsto dalla legislazione italiana.
    C’è però un “però”. Se la presunzione d’innocenza è totale e limpida in assenza di qualunque sentenza, essa si “opacizza”, incrina e progressivamente si sospende davanti a sentenze di condanna, sopra tutto se esse sono emesse in secondo grado, l’ultimo che entra nel merito del fin lì presunto “reato”, del “fatto” delittuoso sempre meno supposto. La cassazione, infatti, interviene solo in merito a questioni procedurali: eventuali errori, cavilli o scorrettezze intervenute nel corso del processo, ma non entra MAI nel merito del reato, che rimane conclamato. E’ un po’ come uno che viene assolto per prescrizione del reato: il reato (forse) rimane, ma l’imputato viene assolto per motivi altri dal giudizio della Corte.

    Sinceramente non ho mai particolarmente stimato Alessandro Riva, trovando i suoi scritti superficiali e troppo “redazionali”, troppo pubblicitari, cioè troppo asserviti al commercio ed alla promozione commerciale più smaccata di gallerie e artisti. Non a caso Riva è stato tra i più importanti redattori della famigerata e patinatissima rivista “Arte Mondadori”, strumento usato, appunto, più per fini mercantili e di reclame che per sollevare altre e più alte questioni. Riva, poi ancora, è il teorico, sempre in un’onda di mercimoniosità assoluta, di quell’Italian Factory, gestita dalla bella e simpatica Simona Di Bello con il non altrettanto rassicurante Giuseppe Lezzi, che sotto l’immagine di un’importante valorizzazione dell’arte italiana in realtà nascondeva (e nasconde) una ferocissima macchina da guerra commerciale. Tutto lecito, tutto assolutamente legale, tutto comprensibile, s’intende, ma non per questo condivisibile. Sopra tutto dal sottoscritto, che ha un’idea “ideale” dell’arte, che non si è mai messo al servizio di nulla e nessuno che non condividesse un’idealità nell’arte, tanto meno del commercio più spietato. La prova più evidente sono le scelte della mia ventennale carriera critica, nelle quali non ho esitato un solo istante a rompere con gallerie e artisti passati improvvisamente dalla parte del dio danaro.
    Non ostante la scarsa stima professionale, però, ho sempre mantenuto personalmente con Alessandro Riva un rapporto umanamente corretto e rispettoso, civilissimo com’è mio costume, fino ad arrivare a scrivergli un sentito e sincero biglietto di solidarietà e augurio l’indomani della sua incarcerazione per presunti abusi su bambine. E di totale solidarietà e difesa è stato il mio atteggiamento fino all’emissione della prima, pesantissima sentenza, che condannava Riva a nove anni e mezzo di reclusione. Ho cercato di capire, ancora incredulo e autenticamente dispiaciuto, quali fossero le motivazioni di tale condanna ed ho altresì cercato di capire gli argomenti opposti ad un’accusa così mostruosa, scoprendo che questi ultimi poggiavano su teoremi assai fragili (il malinteso, il gioco, il fraintendimento, ecc.) a fronte di deposizioni e testimonianze inoppugnabili da parte dei genitori e delle piccole vittime stesse (registrate e videoregistrate), intercettazioni (ambientali e telefoniche) ed altri elementi, per quello che ho letto, assolutamente schiaccianti (e agghiaccianti). A fronte di ciò ho sospeso ulteriormente il giudizio: se prima Alessandro Riva era per me innocente fino a prova contraria, ora lo appariva un po’ meno, ma sempre ben lungi dall’assumere quella terribile sentenza come assoluta e definitiva.

    Il secondo grado di giudizio, ossia l’ultimo che analizza il reato attraverso prove e testimonianze, ha confermato la condanna emessa in primo grado, alleggerendo la pena a sei anni e mezzo, comunque una condanna pesantissima.
    E la sua presunzione d’innocenza in me si è ulteriormente assottigliata…

    Non ho fede nella giustizia terrena. A me stesso è capitato, in circostanze nemmeno lontanamente paragonabili a quelle che hanno coinvolto Riva, di trovarmi coinvolto in questioni legali alle quali ero assolutamente estraneo e di rimettervi non poco denaro (se non altro per gli avvocati difensori). Addirittura sono stato condannato (in primo grado all’interno di un processo che sarebbe piaciuto molto a Franz Kafka) per aver brutalmente malmenato un povero vecchietto (a caccia di un cospicuo risarcimento economico, infatti subito reclamato!) con un matterello da cucina, circostanza talmente assurda da aver fatto sbellicare dalle risate non solo i giornalisti astanti, ma anche i miei migliori detrattori. E degna di un film di Totò e Peppino. Tuttavia sono perfettamente conscio che la mia presunzione d’innocenza davanti ad un presunto reato, ancorché ridicolo, si sia incrinata e comprendo tutti coloro che mi considerano un po’ meno innocente ed un po’ più pregiudicato! Io, anche se non con l’intento maliziosamente strumentale di qualche nemico, assumerei lo stesso atteggiamento.
    Vedremo cosa stabiliranno i giudici dell’appello…

    Tornando ad Alessandro Riva, dunque, la sua doppia condanna, che sottolineo essere stata emessa riguardo al reato e a null’altro, mi ha indotto ad una ulteriore sospensione del giudizio e ad una totale presa di distanza dal personaggio: se prima vi era solidarietà ora anche quella veniva sospesa in attesa del pronunciamento della Cassazione.
    La presa di distanza mi ha portato ad evitare in questo momento d’essere in qualunque modo associato a quel nome; posizione questa che ho pubblicamente espresso in più occasioni, sempre auspicando per Riva un’assoluzione piena e limpida.

    Quando, dopo la mostra veneziana dei presunti disegni di Francis Bacon, mi fu chiesto di presentarli insieme ad Alessandro Riva alla Fondazione Durini di Milano, il mio diniego fu netto ma cortese, motivandolo in quel modo. La prima volta avvenne ad ArteFiera alla presenza di Christian Maretti (legato ad Alessandro Riva da evidenti interessi, lecitissimi vivaddio, ma pur sempre tali) e consorte, di un suo collaboratore e di Cristiano Lovatelli Ravarino. Fu in quell’occasione che mi fu tutto chiaro, quando, per motivare l’improvviso coinvolgimento di Riva nell’affaire Bacon, Christian Maretti mi rivelò che il critico milanese, nipote di quel Valerio Riva al quale è intitolata una (si dice) potente fondazione a Venezia, gli serviva per poter mettere nuovamente le mani su Cà Zenobio degli Armeni, il palazzo lagunare nel quale il Maretti stesso organizza e dirige svariati, esotici (Arabia, Siria, ecc ecc) “padiglioni nazionali”; padiglioni esotici anche in termini di “stranezze”, in quanto vi vengono ospitate mostre, come quella dei presunti disegni di Francis Bacon o un’altra dedicata a Concetto Pozzati con TeleMarket, oppure altre ancora di artisti che non hanno nulla a che fare coi paesi ufficialmente titolari di quegli spazi istituzionali.
    Una cosa mi fu subitissimamente chiara nella poco limpidezza della vicenda globale: oltre che con Alessandro Riva, in attesa di pronunciamento di assoluzione definitivo, non avrei mai più voluto vedere il mio nome accostato o accostabile a quello di Christian Maretti e della sua poco chiara squadra.

    Alla vigilia della bella mostra dei presunti disegni di Bacon all’altrettanto bella Fondazione Durini di Milano, evento organizzato da tal Sputnik Art facente capo a Silvia Fabbri, moglie di Alessandro Riva, il quotidiano “Il Giornale”, quindi non proprio La Voce di Molfetta, pubblica un durissimo articolo contro Alessandro Riva, colpevole, a detta del Giornale, di atteggiamenti provocatori e comunque non consoni a quelli di un condannato in secondo grado a sei anni e mezzo di reclusione per pedofilia. E nello stesso si stigmatizzava il sindaco Moratti, politicamente coincidente col Giornale stesso, per aver coinvolto il critico e concesso il patrocinio ad un’iniziativa che vedeva lo protagonista. Inutile ricordare il putiferio successivo a quell’articolone; articolo che ho trovato giusto e corretto, condivisibile sia nella forma che nei contenuti.

    In Italia si è perduto il senso del “buon senso”, dell’opportunità. Tutto si pesa e misura solo col metro della legge, ma esistono azioni, atteggiamenti e comportamenti che, ancorchè non perseguibili legalmente, appaiono inopportuni, poco corretti, comunque biasimevoli. Fra questi vi è quello tenuto da Alessandro Riva, che incurante della pesantissima condanna che porta (ancora) sulle spalle si comporta come un uomo “libero”, per di più permettendosi di sfidare e provocare il sacrosanto “comune senso del pudore”. Anzichè attendere, serenamente si spera, la fine, positiva gli si augura nuovamente, della sua grave ed infamante vicenda in silenzio e ritiratamente, egli se ne continua a scorrazzare come se nulla fosse.
    D’accordo il rispetto per i condannati, ma quello per le presunte vittime, in questo caso bambine con le loro famiglie, dove lo mettiamo? E dove mettiamo il rispetto per le sentenze, che, piacciano o no, sono pur sempre l’espressione della Legge terrena di uno Stato democratico?

    Poche settimane dopo vengo a conoscenza, sempre dal solito Lovatelli Ravarino, che la solita mostra dei soliti presunti disegni di Bacon sarà ospitata a luglio (!!!) a Cento di Ferrara, presentata, oltre ad Edward Lucie Smith, Vittorio Sgarbi e Duccio Trombadori, sempre da Alessandro Riva e organizzata dal solito Christian Maretti (stavolta probabilmente per coinvolgere Vittorio Sgarbi, prossimo curatore del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia e, guarda caso, probabilissimo sovrintendente in Laguna, nonchè Duccio Trombadori, membro, tra l’altro, del Consiglio di amministrazione della Quadriennale di Roma. Tutto per puro caso tendo a sottolineare). Per ragioni di puro e semplice buon senso (anche della giustizia), avendo ormai deciso e comunicato almeno sei mesi prima la mia irrevocabile INDISPONIBILITA’ a partecipare ad iniziative che m’accostassero al Maretti ed al Riva, avviso di ciò tramite semplice e breve email il presidente federale della Lega Nord, nonchè segretario regionale dell’Emilia Romagna, l’amico Angelo Alessandri, informandolo, memore di ciò che era avvenuto a Milano col Giornale contro Letizia Moratti, sui rischi mediatici a cui andava incontro una giunta comunale retta anche dalla “sua” Lega Nord. Da Alessandri non ho avuto altro che un semplice e gentile messaggio di ringraziamento, non una parola o una richiesta di spiegazioni in più. Non so, dunque, nè se nè come abbia ritenuto opportuno agire presso i suoi delegati locali. E francamente m’interessa assai poco. Il mio dovere verso l’amico Alessandri l’ho fatto.

    Ho poi saputo dello tzunami provocato in consiglio comunale dai leghisti e del clamoroso retromarcia dell’assennato sindaco di Cento, che ha rimosso Alessandro Riva da ogni iniziativa. In contemporanea vengo a conoscenza che un tal Biancardi, mi si dice assessore alla Cultura del Comune di Cento, và diffondendo la notizia (insinuando, per giunta, che avrei accusato di pedofilia il mio amico – da oltre vent’anni – Vittorio Sgarbi: non oso immaginare le grasse risate che si sarà fatto!) che alla base dello scandalo che lo ha travolto primariamente, essendo il naturale promotore dell’assunzione di Riva nel comune di cui è amministratore, vi sarebbero una serie di email anonime inviate “da un critico invidioso” (di che o cosa non appare ben chiaro, ma a questa illazione risponderò in seguito) “già condannato per lesioni ad un anziano” (con chiaro riferimento a me, come se, nel caso tale condanna di primo grado si rivelasse fondata, fosse assimilabile ad abusi sessuali su 5 bambine… Quando si dice che il bue dà del cornuto all’asino…). Felice di tanta attenzione e pubblicità non ho nemmeno vagamente pensato di querelate quel tal Biancardi (vi sarebbero stati tutti i presupposti per farlo): certe cose più le si mescolano e più emanano cattivo odore, diceva la mia vecchia e saggia nonna.

    La realtà è molto più semplice: ho mandato una sola email firmata e sottoscritta, tempo impiegato non più di 3 minuti, ad una sola persona. Punto. Il resto sono solo invenzioni, calunnie, fantasie malevole di chi, evidentemenete, ha la coda di paglia! E che coda di paglia a giudicare dal fuoco e dal fumo!

    Vero è che un’importante associazione antipedofilia ha lanciato una campagna, ormai da mesi e mesi, contro i comportamenti provocatori di Alessandro Riva ed altrettanto vero è che tale associazione ha mobilitato i suoi sostenitori contro l’iniziativa di Riva e Biancardi a Cento, invitando tutti a protestare con sindaco, giunta e organi di stampa locale. Ovvio e naturale, dunque, risulta che in molti abbiano protestato col signor sindaco di Cento e con il consiglio Comunale. Il Resto del Carlino di Ferrara, consultabile on-line, parlava, a proposito del putiferio scatenatosi in città e in Consiglio comunale, se non ricordo male, di centinaia di email di protesta pervenute al sindaco e di una vera e propria insurrezione popolare. Sacrosanta, aggiungo.
    Credo verosimilmente che non poche di queste proteste via email potessero risultare anonime o pseudofirmate: io stesso avrei fatto lo stesso. Ma non per codardia o per altro, figurarsi!, ma semplicemente per cautela, conoscendo molto bene, per un’esperienza vissuta da una coppia di cari amici, a cosa si può andare incontro quando si denunciano determinate situazioni. A seguito del loro esposto in Procura, con il quale si denunciava un importante personaggio poi condannato ad una pesantissima reclusione, i miei due amici hanno vissuto anni nel terrore, perseguitati da minacce di morte fatte pervenire loro in ogni modo ed esercitando su di loro una pressione psicologica letteralmente terrificante. Bene hanno fatto, dunque, gli anonimi denunciatori che hanno scritto ai centesi di buon senso. Quando uno scopo è positivo il fine giustifica sempre i mezzi coi quali lo si raggiunge.

    Tornando all’invidia di cui m’accusa, senza far nomi a proposito di codardia, il signor Biancardi da Cento: non è che egli, malevolmente, trasforma in un sentimento orrendo e che non m’appartiene il mio semplice buon senso e il mio amore per la giustizia?
    Invidioso? E di cosa?
    Mi sono spontaneamente chiamato fuori da qualunque iniziativa legata ai sedicenti disegni di Bacon e dai signori Riva, Maretti & Co. da mesi e mesi. E poi non sarei mai mai stato interessato a collaborare una mostra, qualunque essa fosse, organizzata con criteri autenticamente sadomasochistici e scellerati: in un luogo ameno ma sperduto come Cento di Ferrara ed in un periodo per di più, i primi di luglio, nel quale si toccano temperature da deserto del Sahara con un tasso d’umidità da foresta amazzonica. Biancardi, poi, evidentemente non era informato del fatto che proprio in quegli stessi giorni stavo completando l’allestimento e inaugurando, sotto la responsabilità totale, una grande mostra, programmata da un anno, nell’altrimenti ben più affollata Rimini (1.000 visitatori all’inaugurazione e quasi 15.000 complessivamente nel mese d’apertura. Lo scorso anno si erano raggiunti, nello stesso luogo ma con una mostra ben più “facile”, i 28.000 visitatori in 30 giorni)…
    Grazie a Dio, poi, ho una carriera invidiabile, senza macchie o ombre, costruita senza l’aiuto di nessuno e solo con tanto lavoro, tanto studio, tanta onestà, anche e non solo intellettuale e coraggio. E ,sopra tutto, posso vantarmi d’essere un uomo libero e perciò in grado di poter esprimere il suo pensiero, condivisibile o meno poco m’importa, senza condizionamenti, al di fuori di quei giochini di potere, interessi economici e altro che, di contro, legano lingua e cervello di tanti, troppi…
    Invidia di che, dunque? Senso di giustizia, forse. Ma è un’altra cosa…

    Ovviamente tale mia netta, chiara, lucida e determinata posizione mi ha creato non pochi nemici, a cominciare dallo sconosciuto signor Bianconi fino a qualche artista che ha vissuto come un attacco personale il mio pensiero. Comprendo l’amicale lealtà ed il debito di qualcuno verso il collega e ne rispetto massimamente la reazione, ma anche in questo caso mi dissocio. Poco male: anche perché si arriva ad un punto, spesso nella vita, nel quale è vitale tagliare rami secchi e, mi sia concesso, a quel punto certa gente è decisamente meglio perderla che trovarla.
    Io alla mia Legge Morale ed al mio (presunto e personale) buon senso non rinuncio, per nulla e per nessuno.

    Auguro di tutto cuore ad Alessandro Riva di uscire innocente e senza ombre dalla sua penosa vicenda. E se ciò avverrà sarò il primo ad urlare ai quattro venti la sua innocenza e a denunciare la sua persecuzione. E ad aiutarlo come potrò, come aiuterei qualunque essere umano ingiustamente perseguitato, a prescindere dalla stima o da altre considerazioni del tutto personali.

  • Corvo o non corvo Alessandro Riva è stato condannato per pedofilia a 6 anni e mezzo di reclusione con SENTENZA DEFINITIVA. Con tutto il rispetto non mi pare che sia il caso che un pedofilo condannato da tre tribunali e tre gradi di giudizio (e non dal pettegolezzo popolare) possa impunemente presentarsi, presentare mostre e continuare a vivere come se nulla fosse. Trovo scandalosa la difesa di un simile personaggio ed il tentativo di ridurre tutto a chiacchiere e invidie di paese. Un pedofilo è un pedofilo, un criminale verso bambini innocenti prima ancora che un intellettuale. W i corvi se servono a smascherare queste putride ipocrisie.

    • Mi spiace sig Anonimo ma non sono d’accordo con le sue tesi e i suoi toni. Innanzitutto noi nel luglio del 2010 abbiamo ricevuto quel testo con la richiesta di pubblicazione. Cosa che abbiamo fatto, dopo aver verificato che contenesse delle tesi (concordabili o meno) e nessun reato (come ad esempio la diffamazione). L’oggetto della discussione era esplicito e chiunque poteva e può leggere, farsi un’idea e assumere una posizione. Come scrissi allora nel presentare quel testo il nostro giornale è a disposizione di chiunque abbia qualcosa da dire intorno al mondo dell’arte (rispettando tesi e persone che non la pensano allo stesso modo). Quanto al sig. Riva e alla sua condanna, essa è chiarissima e proviene da tre gradi di giudizio della magistratura italiana. Nessuno di noi si è mai sognato di metterla in discussione. La piena fiducia nella magistratura è una delle parole d’ordine di chi si occupa di cultura come noi, in un Paese nel quale il “degrado” spirituale lambisce molte, troppe persone. Persino le più impensabili. Che un giudizio della magistratura debba però inficiare una tesi di natura culturale questo -per noi- è altrettanto inaccettabile. Ciò avviene nei regimi dittatoriali, è avvenuto nell’epoca medievale ed è foriero sempre e comunque di partigianeria, improvvisazione e sottocultura. E’ come se lei, caro sig. Anonimo, mi chiedesse di giudicare la pittura di Caravaggio sulla base dei reati di violenza che egli ha indubitabilmente compiuto. La pittura del Merisi è straordinaria, anche in presenza dei reati che ha commesso. Noi abbiamo la sola capacità di giudicare un’opera d’arte o uno scritto. I reati vengono repressi e giudicati dall’autorità competente. Nella moderna democrazia la suddivisione dei poteri serve a questo. Ciascuno è libero e autonomo e si relaziona “liberamente” agli altri che fanno altrettanto. Il Medioevo è finito e pure la caccia alle streghe. A proposito, nell’epoca contemporanea la web-democracy impone a tutti di firmarsi con nome e cognome. Non è un cavillo burocratico, ma un semplicissimo specchio della propria intelligenza. L’IP da cui si scrive contiene, se non lo sapesse, molto di più di una semplice firma. Grazie comunque per l’intervento. Buona giornata

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