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Padiglione Italia-Biennale

 

 

Più di duecento artisti in mostra all’Arsenale, scelti da un gruppo di altrettanti intellettuali presieduto da Emmanuele Francesco Maria Emanuele. Oltre seicento iniziative collaterali autorizzate nella stessa Venezia, senza contare le mostre nelle sedi di ciascuna Regione d’Italia, quelle negli Istituti di Cultura Italiana all’estero e il rapporto con le Accademie di Belle Arti. Un Padiglione Italia ricchissimo, quindi, che nella mostra all’Arsenale trova la sua più importante espressione: l’architetto Benedetta Tagliabue ha voluto allestire lo spazio rendendolo simile all’atelier di un artista o la casa di un critico, quindi sostanzialmente disordinato, in cui diversi stili e linguaggi si accostano e mischiano fra loro. Il padre e l’artefice primo di questa idea multiforme del Padiglione è il critico e curatore Vittorio Sgarbi che, per spiegare il proprio lavoro, esordisce alla conferenza stampa di presentazione del Padiglione Italia con un puntiglioso invito ai critici ad osservare attentamente, prima di lanciarsi in giudizi inappropriati: “Parlare senza ancora aver capito è un gesto di impazienza” dice Sgarbi, che subito vuole precisare perché non ha scelto personalmente tutti gli artisti uno ad uno, e ha preferito affidare ad ogni “intellettuale” la possibilità di presentare un nome a propria scelta: “Se io avessi dovuto selezionare il numero degli artisti da portare in Biennale, sulle mie spalle sarebbero pesati tutti i pittori e artisti che conosco. L’arte italiana è così vasta e produttiva, che personalmente ritengo questa una scelta molto difficile. Quindi ho deciso di ristabilire il rapporto tra uomini di cultura, ovvero tra pittori e intellettuali. Ho creato una rete: ogni intellettuale ha scelto un artista. Ho stabilito e creato delle connessioni. Per parte mia ho voluto il Museo della Mafia qui, e ho spinto per qualche artista”. Uno Sgarbi quasi sereno nelle sue convinzioni, che porta avanti con determinazione i principi che hanno guidato le sue decisioni, e che riceve diversi applausi e acclamazioni di consenso da tutta la platea presente alla conferenza. La creazione della rete sarebbe anche garanzia di una maggiore autenticità e motivazione nelle scelte, questo in particolare convince il pubblico. Un duro attacco, infatti, che Sgarbi ha mosso nei confronti di certe gallerie d’arte che decidono in base a mode o a gusti contestabili. Un attacco che i presenti paiono condividere, appoggiando il critico nelle sue idee. Come se tutti vivessero o avessero vissuto sulla propria pelle la “saccenza” spesso usata da parte delle gallerie d’arte: “Per la Sozzani se non hai un’h o una k nel nome, non conti. Prada ha messo a Venezia “i grandi maestri”, ma che non sono “grandi maestri” per forza: sono quelli di cui tutti parlano. L’arte contemporanea, insomma, è in mano a Prada, Trussardi e Sozzani, case di moda. La mia Biennale, invece, include tutto ciò che c’è ora: il contemporaneo è questo, ciò che ora si può vedere. Per ciò ho voluto mettere anche Piero della Francesca. E, per quelli che cercano i grandi nomi dell’arte contemporanea, stiano tranquilli che ci sono: c’è anche Cattelan, ho esposto una sua dichiarazione in cui dice che si ritira “. Insomma, la presenza di artisti già importanti è assicurata ma, se anche non tutti i nomi suggeriti dagli “intellettuali” sono conosciuti, Sgarbi rimarca la sincera attenzione e dedizione con cui ciascuno è stato scelto: “questa è la Biennale degli artisti, e nessuno che li ignora può chiamarli pittori della domenica solo perché non ne conosce il nome”. E torniamo all’invito che ha rivolto al suo esordio in conferenza: “parlare senza ancora aver capito è un gesto d’impazienza”. Prima si guarda, poi si giudica.
 

 

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