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Arte accessibile? AAF Milano

ARTE ACCESSIBILE. LA PROVA DEI FATTI

Previsioni azzeccate. Dico subito che sono cautamente entusiasta di questa edizione 2012 di AAF in Via Tortona. E’ assai superiore a quella dell’anno passato, anche a detta degli stessi espositori.

In primo luogo, benché rimangano ancora alcuni lacerti d’inevitabile ingenuità e qualche caduta di stile, il livello e la scelta delle opere sono molto migliorati. Il taglio prettamente economico dato all’occasione (arte da acquistare entro un tetto di spesa di 5000 euro) non costituisce un deterrente per poter offrire buone proposte e non è affatto detto che a costo più alto corrisponda opera qualitativamente più strutturata. Anzi, spesso (come in ogni fiera, da che mondo è mondo) ci si avvede del contrario.

In secondo luogo, l’organizzazione è eccellente: fresca, spigliata, accostumata ai mezzi informatici (la fiera è tutto il giorno live in streaming), allegra. Nella serata del 2 arriveranno disc-jokeys, libagioni (per tutti) e bella gente (davvero bella, sia in età avanzata – gli occhi limpidi e allegri delle coppie di ottantenni in cerca di bellezza sono irraggiungibili da chiunque altro – sia fra i giovani che per una volta non mi paiono del branco sciarpati-faccia-brasata né di quello altrettanto insipido “artisti-nero-drammatico-autorelato” che si aggirano famelici nelle fiere maggiori); la serata si animerà di gente che vuole davvero arrivare e vedere. Bel clima, nel complesso. Un poco pionieristico. Spero che quest’aria frizzante non si perda con le prossime edizioni.

Tertium : comunicazione superlativa. Non è un caso che il rodaggio nei luoghi dell’architettura e design milanesi abbia fatto breccia. Una marea di inviti e mail di approfondimento sono stati spediti nelle scorse settimane. La città è disseminata di annunci ben fatti e accattivanti. Infiniti altri mezzi fra web e media tradizionali hanno coperto la presentazione della fiera. E i risultati si vedono. Non così si muove (assolutamente non così) il MiArt che continua pervicace a non svecchiare i propri riti.

Last but not least: tutti prezzi delle opere sono esposti. Non è certo cosa da poco.

Le gallerie presenti in fiera sono 78 di cui ben 23 straniere (anche estremo-orientali o australiane): a Artefiera fra le 164 presenze solo 27 erano internazionali. Il circuito AAF evidentemente garantisce una partecipazione globale che non è così scontata altrove e che fa molto bene per il futuro della manifestazione.

Pecche (tutte potenzialmente sanabili). Il biglietto è troppo caro (13 euro, quando dovrebbe essere entrata libera) ma è vero che dopo la prima visita tutti gli espositori saranno felici di regalare ingressi omaggio agli interessati mentre molti biglietti a prezzo ridotto (€ 10) sono inviati a chi si iscrive al sito del circuito. Il caldo è terribile (soffocante è il termine appropriato), per cui ci si ritrova grondanti di sudore nelle strette corsie con le braccia impacciate da cumuli di stoffe e pelli diverse malamente arrovesciate e strascicanti; è necessario riporre subito i cappottoni invernali nel quasi invisibile guardaroba, nascosto dietro l’info point. Le luci sono pessime: c’è un dispendio di energia quale ho visto forse solo per i campi di football degli Emirati Arabi (laddove mai si spengono i mille riflettori perché risulterebbe gesto inutile data la garanzia dell’inesauribile fonte energetica). Farettoni mastodontici sono mal appollaiati sul colmo delle quinte e dei pannelli (dall’organizzazione, non dagli standisti i quali tutti si lamentano) e ottundono il nervo ottico dei visitatori: la maggior parte delle opere ne soffre. O ti trovi accecato, impallata la visione da fasci abbacinanti, o ti trovi a considerare colori improbabili con improbabili virate stridenti per via dell’eccessivo lucore. Sospetto che il caldo senza scampo sia dato anche da quest’inconsulta rificolona di luminarie fuor di stagione.

Stand migliore : Galleria MioMao di Perugia. Nota per la sua ricerca accurata dei grandi nomi del segno grafico (si definisce galleria di “arte contemporanea del disegno e del fumetto”), offre al pubblico i frutti sudati di un lavoro capillare e premiante per i nomi nazionali e stranieri che addomestica ai propri fini. I quali fini sono lavorare oltre che con magnifici disegnatori anche con eccellenti critici nostrani come Davide W. Pairone e Alberto Zanchetta, che presenta in fiera una parete costruita sul fil rouge della sua ultima fatica letteraria (da me acquistata direttamente in loco) “Frenologia della Vanitas” per Johan e Levi Editore. La parete di memento mori annovera opere che colpiranno i cultori del genere (numerosi) per la loro ricercata bellezza e per l’anomala virata di alcuni pennelli in campi ad essi non del tutto consoni. Donald Baechler, Alessandro Bazan, Andrea Chiesi (con un singolare Pericolo di morte, pastello su carta, che assomma i temi principali dell’ottimo musicista-grafico in una chiave dark di antica e grata memoria, soprattutto per noi che lo seguiamo da tempo), un bellissimo Marco Fantini (Sono2, pastelli cerosi su carta), Massimo Pulini che acquistò decine di negativi vitrei da un anziano fotografo bolognese e ora li trasforma – lavorando in lastra – in nature morte inquietanti e torbide, una grande china su carta di Mike Giant che riporta il pubblico al tocco incisivo e raffinato allo stesso tempo del tatuatore. Nei secoli nulla è cambiato: il segno nei confronti delle vanitates è al medesimo livello estetico e poietico di sempre, un tòpos sempiterno che, con impercettibili modifiche stilemiche, colpisce per la sua irrinunciabile icasticità. Non ci si limiti, però, a questi nomi e a questa parete e si approfondisca la conoscenza dell’ottimo incisore francese (non ancora quarantenne, ma già con carriera straordinaria) Frédéric Coché che qui presenta la serie prodotta per illustrare l’Odissea omerica. L’universo simbolico di Coché deriva dall’iconologia del Nord-Europa e dall’ispirazione ensoriana, ma sarebbe riduttivo definirlo un seguace, quanto piuttosto un precursore. Fatevi introdurre alla magnifica serie Hortus Sanitatis commissionata dalla mairie di Bruxelles: la città è presentata attraverso una serie di strips che illustrano la sua storia con l’ausilio delle opere d’arte simbolo del patrimonio cittadino. La qualità dell’incisione è sublime. La partitura del campo ottico spiazzante, sapiente e originale. Un maestro. Con poco più di 200 euro un piccolo capolavoro potrebbe essere in casa vostra.

Da SpazioFarini6 di Milano si ammirano le prove di alcuni giovani fotografi italiani. Ottime le enormi inquadrature sfavillanti, montate su alluminio, dei Redentori veneziani di Alessandro Belgioioso (da 3 a 5000 euro) o le nature silenti e parcellizzate otticamente di Elena Parisi a poco più di 1200 euro; notevole il lavoro fuori dagli schemi squisitamente fotografici di Luigi Billi che porta in fiera una serie di collages surreali combinati con materiali diversi e immagini rubate dai media (da vedere anche la serie, in catalogo, delle foreste riprese con inquadratura dal basso verso i tetti di fronde e il cielo: le immagini vengono sviluppate e trattate in modo da risultare poi installazioni tridimensionali; oppure la serie, molto buona, delle Hombrescalembour fra i termini Uomo e Ombra – che piacerà ai cultori dell’illusione e dell’ammiccamento raffinato in salsa figurativa).

Da Mansudae Art Studio (Pyongyang, DPRK), rappresentata in Europa da un agente fiorentino, fermatevi assolutamente a bearvi dei manifesti “pubblicitari” nord-coreani, eseguiti tutti con la tecnica delle tempere su carta (pesante). Non solo sono un’assoluta rarità per gli occhi occidentali, ma stupiscono per la qualità grafica (benché ligia ai dettami dell’accademia di Stato), per la freschezza dell’impostazione scenografica e per la resa coloristica.

Da L’Art Industriel di Corno di Rosazzo (UD) atmosfera del tutto differente con la qualità della mano di Sandra Fedele, buona pittrice di volti e amosfere d’antan con tecniche complesse e laboriose. Le opere su carta o su tavola hanno i prezzi più vari e soddisferanno i cultori della bella figurazione.

Da Lattuada Studio di Milano, segnalo un’artista storica della galleria che merita sempre onore. Lucia Pescador affastella come di consueto un’intera parete dei suoi interventi minimi e crepuscolari, piccole opere in materiali e tecniche diversissimi fra loro, fra objets trouvées e “poverismo” molto ben costruito e ancor meglio interpretato fra tanti avventizi. Per me, anche se immeritatamente poco nota, una delle firme più sorprendenti e autonome del panorama italiano degli anni ’80 e ’90 (validissima ancora oggi, naturalmente).

Nella milanese Spaziotemporaneo, fa bella mostra di sé un lavorino delicato nella struttura ma potente nella resa di Alessandro Traina che piacerà al collezionista concettuale e all’amante degli studi relativi a spazio e colore: con solo 1000 euro, Inspiegabile, da una serie proposta durante una personale in galleria dal medesimo titolo, può far parte con onore di una collezione di minimalisti italiani degli anni ’70; del resto l’artista, che inaugura la sua parabola negli anni ‘90 con tecniche vicine al frottage (peraltro calibrato da elementi estranei in tela) giunge ora ad asciugare il gesto e a decostruire la forma con una sapienza di alto livello: una sorta di ritorno alla radice del segno, nel solco della migliore Grazia Varisco, se posso dire.

Alla Colorfield Gallery di Parigi, che ha come espressa mission l’offerta di arte di qualità a buon prezzo e per questo si definisce moving gallery (allestisce mostre presso spazi privati o dal cliente che ne faccia richiesta), si declina tutto il côté neo-pop di cucina francese. La spassosa coppia di teckel Gay a mano di Kokopelli (che è il nome di una dea della fertilità dei nativi americani) è in realtà piuttosto costosa (€ 3.500), ma rappresenta qualcosa in più del semplice gioco letterario.

Studio Ambre (NO) ospita una delle mascottes della fiera (e non si creda sia una capitis deminutio). L’artista Sebastiano Balbo ha prodotto un “manifesto provvisorio dell’arte etica” (Eco-Art) che si basa su questi pochi assunti: “C’è troppa arte”, pertanto: 1. Produciamo meno arte; 2. Produciamo solo quando e se indispensabile; 3. Utilizziamo sempre ciò che già esiste in natura o già prodotto dall’uomo (quindi anche opere d’arte altrui); 4. Da un’idea, poche opere; 5. Cerca l’arte là dove c’è già, prima di produrne di nuova; e altri punti notevoli che confluiscono nel concetto finale: “aderisci a poche idee, mai ad un manifesto”. Da queste premesse, il Nostro aggrega quindi pezzi di cornici diverse a formare una sorta di omaggio a tutti gli artisti (intorno agli 800 euro), “vere” nature morte con scarti di cibo o materiali diversi lasciati a imputridire naturalmente all’aria aperta o nel proprio laboratorio e poi concreti con resine (alcuni mantengono qualche lieve profumazione come il delicato sentore di limone di una tela scura incorniciata spessamente, o come il profumo antico di sfalcio di prato ammollato nell’umidore del compost) o recupera un multiplo autentico di Arman (neppure male) e lo ricicla come opera unica originale apponendovi una targa a propria firma (ma la certificazione è per entrambi gli stadi dell’opera…). Geniale e meritevole.

Molto buona (e più canonica) la mano della trentenne Ana Alberga (“inciditrice” astratta a tecnica di puntasecca) che si ammira nello stand madrileno di Standarte. Non oltre i due/trecento euro, a seconda delle dimensioni, per acquistare raffinati graffiti degni di un’astrazione più storica e aulica. Davvero eccellente.

E sempre da Madrid, ma con spirito opposto alla trattenuta raffinatezza del segno, con la Galleria Gaudì, arriva lo spirito dissacratore di Laureana Gisca con la sua serie di minisculture surrealiste (bassottini con pelle di maiale e testa di Hitler) dal titolo allusivo Alfa, ciascuna a 250 euro.

Alla galleria Acquestarte di Ascona (CH) individuo subito un paio di scatti metamorfici del duo svizzero AlexandFeliz dalla serie fortunata (e piaciona) Thirteen Queens. Ci tiene molto, la cortese signorina di stand, a sottolineare che la foto non è post-prodotta con photoshop, che il set è preparato espressamente e minuziosamente per lo scatto (così come vuole il ricco filone della staged photography che ha come primo ministro la somma Sandy Skoglund), che insomma non c’è trucco né inganno. E, difatti, ancor meglio (più mature) sono le immagini della serie successiva di sei inquadrature Under Construction dal costo ciascuna di € 3.950.

Ancora buoni stranieri da anOther Art Gallery ltd. di Farindola (PE) i cui responsabili sono tutto tranne che pescaresi. Dall’Inghilterra, poi finito a dimorare a Sidney, l’ottimo artista Michael Downs ha un talento notevole nell’accorpare frammenti di materia pitta o raccolta in collages dal taglio e profondità eleganti e composte. L’armonia interiore dell’opera proviene forse dall’ambito di formazione. La serie migliore è stata concepita e eseguita in Cina (fra tutte spicca – forse – Song Zhuang, una carta di cm. 67×92 proposta a 2.500 euro, una delle segnalazioni da comprare). In realtà queste trame delicate sono solo qui in questo formato da “salotto”: l’artista (nato nel 1953, ha esposto fra l’altro al Centre Pompidou, al Centro di Cultura Contemporanea di Barcellona, al Barbican Centre di Londra, per la Triennale di Pittura di Osaka), ha costruito immensi murales per edifici pubblici e privati e grandi monumenti completati da apparati sonori e sensoriali che non dubito siano di effetto stupefacente, se il calibro che intravedo in queste piccole prove, è mantenuto. Mi piace molto.

Un altro australiano che merita un plauso per l’autarchia scanzonata e la simpatica autopromozione di cui fa sfoggio senza alcuna riottosità è il giovanissimo Brett Ashby (artista e gallerista da Melbourne/Sydney/London/NYC), che con coraggio indomito e capacità relazionali senza pari, ci mostra alcuni suoi lavori a tecnica mista: sono una sorta di souvenirs di viaggio rivisitati con ingenuità e una divertita iconoclastia. Alcuni fotogrammi di “tipicità” italiana o australiana sono montati su tavola e ingabbiati in una scatola in legno dipinto con a risparmio la “finestra” che ospita le immagini (a forma di fetta di pizza o di cono gelato), scatola che poi è immersa in una resina per bloccare e illuminare il prodotto sicut santino devozionale. Non male anche il piccolo coffe-table a tre piedi ricoperto di frammenti cartoline di una delle spiagge più suggestive vicino a Melbourne. C’è un buon tocco molto fresco in quest’arte che si avvicina al design di spirito e al (quasi) ready made senza malizie.

Eccellente e ancora provvida di mosse felici, la mano forte e generosa del pittore (espressionista? informale?) Alessandro Passaro (Mesagne-LE, 1974) dalla vita travagliata e dal carattere irreggimentabile, con una pennellata sorprendente che lascerà colpiti anche i non amanti del genere. Lo si trova a prezzi notevolmente contenuti (ci vogliono solo 1.700 euro per portare a casa il conturbante Ultima spiaggia di cm. 90×90) alla galleria ArtsandArs di Galatina (LE) dove un ammirato, ma quasi arreso, responsabile narra le vicende complesse di un artista che non si lascia (benché già adocchiato da alcuni “nomi” della critica italiana) facilmente imbrigliare. A sentire i “nomi”, peraltro, non mi pare del genere consueto di cotali ammiratori. Ma questo va a onore degli ammiratori medesimi, per una volta. Plaudo alla autodistruttiva libertà di azione dell’artista e di pensiero del critico, ma mi aspetto ancora di più da questa mano felicissima, già consapevole e dall’intatto talento coloristico e gestuale.

Ultime segnalazioni, lascio i due trouvailles che mi picco esistano in ogni fiera (e anche più di due e in qualsiasi fiera). Anche se, devo ammettere, quello che vidi già mi soddisfece.

AAF indice un concorso (anche qui…) per Young Talents non rappresentati da una galleria e tra i selezionati dai critici Alberto Zanchetta, Stefano Sbarbaro, Denis Curti e Flaminio Giualdoni, emerge (scelto da A, il settimanale diretto da Maria Latella) il ventiseienne, mestrino trapiantato a Milano e già con molte vite, Andrea Pugiotto, fotoreporter convertito su pressione di alcuni buoni consiglieri alla ricerca fotografica di livello. Gli scatti presenti in fiera (in vendita per cifre che non raggiungono il migliaio di euro) sono tratti da alcune serie costruite durante i viaggi di lavoro per il settimanale del Corriere della Sera, Io Donna, con cui Pugiotto collabora da tempo. Di fatto egli usa il banco ottico sia per i ritratti di moda sia per i rapporti di viaggio, sino a quando decide di affinare l’occhio e andare oltre la serialità delle immagini. E quindi cambia tecnica e riparte con quella che si può a ben diritto chiamare fotografia d’autore. Notevole la serie dei cabanes sulle spiagge di di Gruissan nel Sud della Francia, avviluppati dalle maree che ne mettono in pericolo le fragili strutture: le acque lattee scivolano silenziose e si confondono con il cielo; sorprendenti quanto terrifici gli scatti ancora francesi dei rari villaggi sviluppatisi intorno alle centrali nucleari: le notevoli agevolazioni statali invogliano al soggiorno autolesionista famiglie che dimorano (insieme ad armenti felici) nei foschi pressi delle grandi torri fumanti, in amene casette con piscina e giardinetti ben tenuti; ancora più bella la serie dai viaggi cinesi degli attraversatori dello Yang-tze: ultimo residuo di una tradizione millenaria e sciamanica che unisce l’uomo del Celeste Impero alla natura, l’attraversatore del fiume quotidianamente prepara il rito di congiunzione fra sé e i flutti portatori di vita; ma l’acqua oggi è potentemente inquinata e il fiume solcato da enormi battelli che rischiano di travolgere l’indomito nuotatore: poetico e efficace. L’acqua e la fluidità delle linee intercettate dall’obiettivo sono costante stilistica di questo giovane fotografo dal grande futuro.

Dulcis in fundo , desidero portare all’attenzione del lettore e del collezionista la singolarissima figura dello schivo Mario Surbone (Treville AL,1932), presentato dalla Vico Gallery di Verbania e dai preparati direttori che lo “scoprirono” alla Fondazione Antonio Calderara di Vacciago, sulla sponda orientale del Lago d’Orta. Allievo di Casorati, con il maestro novarese si immerge all’inizio degli anni ’60 nella Parigi della prima astrazione europea. Giunge alla fine del decennio a produrre, nel solco di Azimuth e sulle orme dei coetanei Castellani e Bonalumi dei quali condivide la lezione della ripetizione differente (ricomposta, tuttavia, a un ancora maggior rigore), la magnifica serie degli Incisi, solchi e tagli ritmati e calibratissimi per aperture su cartone teso e estroflesso. Sembra che l’intelletto guidi senza scampo la ricerca e riesca a convertirla in pulizia e rigore formale assoluti come non sempre accade nei colleghi milanesi. Ma interviene anche la lezione di Munari, perché la tridimensione viene quasi rigettata forse a favore della piattità Mondrianiana che riaffiora spesso fra gli artisti del periodo, e Surbone affida al colore e alla sua analisi il compito di definire i ritmi e le armonie dell’opera.

E’ senza alcun dubbio un grande artista, che rifiutò i bagni di folla e la mischia dell’agone intellettuale e artistico, ritirandosi a vivere (ottimamente) nel suo tranquillo e affascinante paese del Basso Monferrato. Ma il genio “buca” ogni tentativo di nascondersi, grazie al cielo.

Sono felice di aver incontrato un vero Maestro di uno dei periodi più fecondi (e per me ancora da approfondire) della nostra storia dell’arte recente. La Galleria lo presenta a prezzi contenutissimi. Invito senz’altro all’acquisto, o – se non altro – a una visita deferente.

ARTE ACCESSIBILE. DAVIDE CONTRO GOLIA
O SPECCHIO PER ALLODOLE?

di Cristiana Curti

Il circuito delle AAF nasce nel 1999 a Londra (Battersela Park) per opera di Will Ramsay, gallerista che, sull’onda dell’entusiasmo trainante della nuova arte inglese, qualche anno prima aveva aperto un punto vendita di proposte di arte contemporanea dal costo non superiore alle 2.500 sterline.

Poiché l’arte contemporanea era divenuta un aspetto sistemico, un’esigenza primaria, sia per i comportamenti sociali sia per le richieste del mercato, della quotidianità occidentale, ma manteneva quell’aura d’intangibilità (la “distanza” di cui parla Dorfles nel suo Le oscillazioni del gusto – Skira Milano 2004 – prodotta da una fondamentale ineducazione all’arte e da un’adesione al costume di stratificare il gusto attraverso l’immissione di Kitsch e non arte) dovuta alla complessità dei linguaggi presentati e ai costi spesso già sostenuti anche per le nuove firme, sembrava più che opportuno, al fine precipuo di conquistare un pubblico più vasto e il collezionismo alle prime armi (non necessariamente “giovane”), concentrare l’attenzione esclusivamente sull’aspetto del valore economico dell’opera.
L’arte si qualifica attraverso la quantificazione del suo valore commerciale e diventa, quindi, “democratica” (così come mantiene purtuttavia un aspetto elitario con performance più eclatanti nelle aste milionarie) in virtù di esso.

Come dice lo stesso ideatore nel sito di AAF: “Buying art can provide a lifetime of enjoyment and inspiration and no one should miss this opportunity!”

Incassato il successo londinese, Ramsay impiega assai poco a sviluppare l’idea originaria in un sistema internazionale di promozione di arte contemporanea basato sulle caratteristiche fondanti delle AAF: snellezza di organizzazione deputata a forze promotrici locali estremamente dinamiche e pronte a cambiare prospettiva di azione in poco tempo, attenzione alle proposte curatoriali in appoggio alle vendite ma con intelligente vincolata interdipendenza con le gallerie, scelta di siti espositivi non necessariamente istituzionali, totale apertura anche alle gallerie escluse, a causa dei costi elevati di partecipazione, dalle fiere maggiori, mancanza di un Comitato fisso di esperti o consulenti che congeli e indirizzi le politiche operative del sistema.

Nel breve arco di una decina d’anni, AAF tocca (anche più volte in un anno nella stessa sede) dieci grandi Città da Singapore a Melbourne, mentre nel corso del 2012 inaugureranno le piazze di Los Angeles, Delhi, Amburgo, Seattle, Roma (il prossimo ottobre) e Città del Messico.

L’assunto di base (arte alla portata di tutti) è del tutto ipocrita. L’arte non è affatto alla portata di tutti, perché il collezionismo non è solo una questione di portafoglio ma di cultura e capacità progettuale, nonché (sempre) di fiuto e passione. Acquistare una brutta opera a soli (!) 4.000 euro non è faccenda giustificabile perché il danno dovrebbe essere potenzialmente contenuto. Ma è altresì vero che le cosiddette aberrazioni dei records d’asta milionari, che tanto inorridiscono i benpensanti (a volte con qualche ragione), non aiutano il “buon nome” dell’arte contemporanea che deve nascere “povera”, possibilmente figlia di angustie socio-culturali e accessibile per antonomasia.

Così, sull’onda di questo impianto teorico astutamente populista, si incardina il successo della trovata che nel tempo acquista sostanza e vigore.

In Italia le tante fiere d’arte sembrano aver saturato la richiesta e, a sentire alcuni addetti ai lavori, stancato il pubblico. Una (o due o, dal prossimo ottobre, addirittura tre) in più sembrano quasi un controsenso in tempi di registrate contrazioni della fascia intermedio-bassa, ovvero quella che è sempre stata la spina dorsale del mercato “borghese” dell’arte sin dalla sua costituzione.

Le prime prove italiane dell’AAF datano allo scorso anno. La scelta cade su Milano (allo SuperstudioPiù in zona Tortona), capitale del design e della moda. Il pubblico cui è riservata la nuova fiera è – non per caso – percepito, con serrato advertising, come il più ricettivo e adatto alla presunta novità. Eppure, considerando non solo i parchi risultati di vendita e il parterre dei compratori (forse più interessati a presenziare che a esserci davvero), non si può definire la prima tappa di “arte accessibile” milanese come perfettamente riuscita. Aldilà dei buoni propositi, la qualità un poco insufficiente delle proposte, data dalla mancanza di una scelta almeno “di primo filtro”, sembra sia stata determinante nel raffreddare gli entusiasmi di potenziali nuovi acquirenti.

Ci si chiede se – sempre con Gillo Dorfles – la presenza di opere che a volte tangono e a volte s’insinuano nel limbo poco definibile del Kitsch, per non dire della naïveté di alcuni giovanissimi artisti o di altri che potrebbero al più essere definiti “etnico-creativi”, non abbia soddisfatto almeno i palati forse meno esigenti di cultori dell’oggetto fine a se stesso (del complemento d’arredo, per essere chiari). Ma anche una siffatta considerazione sembra inutilmente snobistica. L’arte non è mai stata democratica e impegna sempre un contributo gnoseologico personale al suo apprezzamento.

Il motivo del successo che presume l’iterazione della formula dell’arte accessibile deve risiedere altrove.

A sorpresa, ad aprile dello scorso anno, inaugura un appuntamento gemello di AAF sempre a Milano nello spazio suggestivo della sede del Sole 24Ore. La formula è consueta (gallerie agili e poco strutturate, proposte d’acquisto entro i 5.000 euro, disanima del livello culturale a cura di critici chiamati a supportare il mercato e non solo se stessi e i propri chierici) e sembra apparentemente non scrivere un nuovo capitolo della saga dell’arte-per-tutti se non – forse – per una più attenta selezione delle opere e delle gallerie e un mirato richiamo all’acquirente “istituzionale”. Anche perché AAM (Arte Accessibile Milano) inaugura in contemporanea con l’ormai boccheggiante MiArt (la ex prima fiera d’arte italiana) sito negli spazi canonici del quartiere fieristico meneghino a pochi passi di distanza. Quest’edizione ha un riscontro più incoraggiante della “cugina” del febbraio precedente.

Gli organizzatori hanno inteso che il pubblico dell’arte è, poco più poco meno, il medesimo nel tempo, che l’attenzione del poco intraprendente collezionista italiano va invece potenziandosi nei confronti dell’arte contemporanea ma che il circuito commerciale non può essere frammentato anche nella propria intrinseca ritualità appannaggio della haute economico-finanziaria senza conseguenze significative. Aver inaugurato nei giorni del MiArt è risolutivo, ma – a questo punto – è d’obbligo un’osservazione più approfondita del fenomeno per capire i motivi della sua persistenza malgrado l’evenienza dei tempi di crisi.

Un anno di rodaggio di “arte accessibile” in Italia pare bastante per poter affermare che, più che alle vendite effettive o alla persuasione diretta a un pubblico ampliato, il nuovo circuito (probabilmente anche nelle altre sedi deputate) si rivolge in realtà al sistema fieristico istituzionale, ingessato da tempo in formule desuete e ripetitive.
Artefiera 35 appena conclusasi a Bologna, e già quindi storia, dimostra che anche l’appuntamento con gli scambi dell’arte più atteso dello Stivale accusa stanchezze che si devono non tanto alla temporanea mancanza di liquidità per investimenti d’alto bordo quanto a una formula che i più, fors’anche ingiustamente, ritengono appassita o quantomeno superata.

L’arte è pur sempre questione di emozioni. Per spingere all’acquisto di un’opera non bastano nuovi parties, il moltiplicarsi di premi e riconoscimenti pubblici, nuove manifestazioni collaterali e nuovi simposi sul collezionismo e sulle consulenze agli investimenti. Questo apparato di ciàcole e cotillons aiuta ad assicurarsi l’attenzione delle Istituzioni pubbliche, ontologicamente poco propense a farsi contigue al mercato dell’arte, ma storicamente assai più presenzialiste e partecipi in occasione di mostre e convegni.

Abbandonate quindi velleità intellettualistiche (che ad esempio ancora fanno ritenere Artissima più un pittoresco happening di ultime leve convocate con i propri promotori da ogni dove sotto il tetto beneaugurante e aristocratico della Pinacoteca Agnelli al Lingotto), si delinea un nuovo corso astutamente incentrato intorno a ciò che nessuno osava raccontarsi. L’arte si compra (per la miseria!) ed è acquistabile (quasi) da tutti. Anzi, è un “diritto” possedere un’opera d’arte: “nessuno dovrebbe perdere quest’occasione!”
Per questo motivo vedo in nuce il possibile “sorpasso” dei pionieri dell’arte a prezzi contenuti rispetto al tradizionale circuito dell’“arte senza prezzo” (o a valori dai contorni insondabili). E questo anche se – a un giro più ampio di boa – il protagonismo della quantificazione economica limitata dovesse un giorno perdere il primato.

Per AAF e AAM è giunto il momento di elaborare la propria formula agile e poco costosa, duttile e appetibile per gli sponsor locali e internazionali in egual misura. Il sito della manifestazione deve mantenere una dinamicità intrinseca che ne sfrutti le potenzialità anche in assenza di manifestazioni fieristiche, inoltre deve essere emblematico per la palese vicinanza con il mondo del lavoro più produttivo e positivo (design e architettura, finanza e mercati), uscendo dall’alveo urbanistico del territorio convenzionale della fiera. Le manifestazioni collaterali, se ci sono, sono interne al momento degli scambi e non tendono a soddisfare gli ego dei curatori, quanto ad assoldare questi ultimi per scopi (nobilissimi) di vendita e di servizio all’artista e alla galleria.

AAF e AAM non hanno come priorità l’intento di cambiare, ampliandolo, il pubblico dell’arte quanto piuttosto di modificare profondamente il circuito ormai datato del sistema fieristico, un circuito autosostenutosi con rituali in via di dismissione in attesa del passaggio di una crisi che avrebbe dovuto ritemprare l’attività delle gallerie private.
Ma così come è in rapida evoluzione il mercato degli incanti pubblici, anche la galleria d’arte – oggi in profondo ripensamento dei suoi tratti costitutivi – è destinata a scomparire se si ferma alle consuetudini del XX secolo e evita di farsi carico del cambiamento.

La “ricetta” di AAF e AAM promuove una sorta di consociativismo operativo fra le gallerie che potrebbe risultare di gran lunga più rigenerante e positivo di qualsiasi altro ulteriore investimento promozionale. La relazione con una struttura che non si standardizza (finché durerà) in posizioni commerciali e culturali acquisite e da difendere a ogni costo ma che ha come prospettiva un salutare svecchiamento del management e degli obiettivi può solo costituire il miglior viatico per il rinnovamento del sistema galleristico privato italiano.

 

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comunicato stampa

AFFORDABLE ART FAIR MILANO
2-5 Febbraio 2012, Superstudio Più | via Tortona 27

La principale fiera internazionale per l’arte contemporanea al di sotto dei 5.000€

NOVITA’, CONCORSI, COLLABORAZIONI, INCONTRI ANIMERANNO LA SECONDA EDIZIONE DI AAF MILANO 2012, CON LA PRESENZA DI 77 GALLERIE INTERNAZIONALI E NEL FRATTEMPO I NUMERI DI AAF AUMENTANO: 1 MILIONE DI VISITATORI!

Prestigioso obiettivo raggiunto da AAF nel mercato globale dell’arte: oltre 1 milione di visitatori dal debutto del 1999 e €175 milioni di opere d’arte vendute! La richiesta di arte contemporanea originale e a prezzi accessibili è un trend in continua crescita: solo nel 2011, 155 mila amanti dell’arte hanno visitato una AAF nel mondo e visto opere d’arte esposte dalle oltre 1000 gallerie – più di qualunque altra fiera nel mondo.Ormai un brand globale, la Fiera è attualmente presente a Amsterdam, Bristol, Bruxelles, Londra, Milano, New York, Singapore e Melbourne. Grazie agli obiettivi raggiunti, AAF nel nuovo anno si espanderà ancora nel mondo: Los Angeles, New Delhi, Amburgo, Stoccolma, Città del Messico e… ROMA!Doppio appuntamento dunque per AAF in Italia. I suggestivi spazi della Pelanda del Macro Testaccio ospiteranno ad ottobre le gallerie romane e non solo, alla ricerca del nuovo collezionismo nella capitale. Nel frattempo l’edizione di Milano è alle porte. Stand sold out nei 4000 metri quadrati di Superstudio Più che accoglieranno 77 gallerie e i loro artisti, offrendo un’esperienza divertente e rilassata ai visitatori, grazie anche ai tanti servizi offerti dalla fiera. Delle 77 gallerie presenti (in forte crescita rispetto alle 60 dell’edizione precedente), 24 saranno straniere provenienti da diverse parti del mondo (Stati Uniti, Inghilterra, Australia,
Hong Kong, Corea, ecc.) e sono previsti più di 12.000 visitatori che potranno ammirare una grande varietà di opere tra pitture, sculture, fotografie e stampe, di artisti viventi.
La campagna pubblicitaria, che presentiamo in anteprima, invaderà le strade, i tram e la città di Milano, coinvolgendo tutti i cittadini e i curiosi! Prendendo spunto dalla campagna, i visitatori e gli amici di AAF MILANO saranno chiamati ad esprimere il loro rapporto con l’arte in pensieri e frasi che sarranno poi usate in videopriezioni in fiera e iniziative sul web.
Tra le novità, un’area Video Point con interviste realizzate da Artmap in giro per Milano, a persone comuni ed esperti del settore; ci sarà anche una postazione d’interazione con i visitatori (3 schermi, collegati a social networks per commenti, lavagna digitale per scrivere, disegnare, etc.) La prima delle tante iniziative di AAF MILANO è AAF CERCA YOUNG TALENTS, letture portfolii di giovani artisti, che ha registrato un grande successo nel primo appuntamento di novembre. Sarà solo dopo il secondo appuntamento che si terrà il 12 gennaio, sempre presso l’appartamento LAGO in Brera, che il comitato, con la partecipazione speciale del settimanale A, si riunirà per la selezione dei 4 artisti finalisti che avranno l’opportunità di essere presentati alla fiera.
Il settimanale A è mediapartner per Young Talents e la serata di opening: coinvolgimento del pubblico chiamato ad esprimere opinioni sul talento e speciale accoglienza per le lettrici della rivista. Lanciata da pochissimi giorni BE THE FACE OF THE FAIR: i social network fanno arte! Grazie alla collaborazione con Mikamai, sulla pagina Facebook di AAF Milano è presente una galleria di immagini con una selezione di opere. I partecipanti sono chiamati a taggare se stessi sull’immagine dell’opera preferita, fino al 20 gennaio. Come un mosaico le cui tessere sono i visi dei fan di AAF, le varie foto andranno a comporre l’opera che verrà realizzata e riprodotta in fiera (stampata da Epson). Inoltre, spiccano importanti partnership con aziende che daranno ad AAF ulteriore visibilità e professionalità.
Riconfermano il loro coinvolgimento: Visa, preferred card per chi acquista opere d’arte, Svizzera Turismo e IoBroker, leader nel settore delle assicurazioni d’opere d’arte. Anche Bisol, leader nel settore vitivinicolo, ha promosso “Talento cerca Talento”, un concorso che vede la ricerca di un visual per l’etichetta di uno dei vini della Selezione Millesimati Metodo Classico, il Riserva Brut.
LAGO, oltre ad ospitare le letture portfolii, porterà una cucina ad isola in fiera che diventerà area di eventi: Art&Flames e ArtMeetins@CucinaLAGO. Art&Flames sarà un evento di giovedì 2 febbraio sera che culminerà in un cooking show, durante il quale un importante nome delle cucina italiana collaborerà con alcuni artisti in un dialogo tra arte e cucina. Durante gli ArtMeetings@CucinaLAGO, performance culinarie, ma anche incontri sul collezionismo e sulla fotografia troveranno spazio in un contesto inusuale.
Epson presenterà la tecnica Digigraphie in uno stand in fiera. La Digigraphie consente agli artisti della fotografia, ai pittori e agli operatori dei musei di tutto il mondo di creare edizioni limitate e certificate di capolavori originali, grazie alla più avanzata tecnologia di stampa Epson.
Come sempre, i servizi di AAF aiuteranno i nuovi collezionisti ad approcciare il mondo dell’arte: consigli di esperti, grazie alla presenza di ArtNetWorth, prezzi obbligatoriamente esposti, kindergarten, laboratori d’arte creati ad hoc dalla cooperativa Opera d’Arte per i più piccoli e dimostrazioni pratiche delle tecniche artistiche, aperti a tutti e gratuiti. Winsor&Newton, azienda produttrice dei migliori materiali d’artista, gestirà lo spazio workshop mettendo a disposizione i loro prodotti di qualità per i laboratori. Una wrapping station, gestita da APICE – PANZIRONI ART TRANSPORT SRL permetterà un servizio di imballaggio per portare direttamente a casa le opere comprate.
Importanti media partnership, oltre ad A: Corriere dellaSera/Vivimilano, City, Artribune, Artedossier, D’Ars, Arteshop. Infine, ma non certo ultimo per importanza, AAF sostiene Dynamo Camp, associazione che promuove, tra le altre iniziative, anche il progetto Art Factory. Dynamo Camp fa parte dell’Association of Hole in The Wall Camps, un’associazione non- profit che in tutto il mondo promuove e gestisce campi estivi appositamente strutturati per bambini e ragazzi affetti da patologie gravi o croniche.
Gli incassi della vendita dei biglietti per l’Art&Flames Night, della blind auction, e una percentuale della vendita delle opere della sezione YOUNG TALENTS saranno devolute all’associazione.AAF The Affordable Art Fair Milano
2-5 Febbraio 2012 a Superstudio Più
Via Tortona, 27
www.affordableartfair.it
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inaugurazione | anteprima mercoledì 1 febbraio 2012
18.00-22.00 su invito

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