GIOCARE PULITO SENZA ARBITRO
di Dave Hickey
Dave Hickey, docente all’Università del Nevada a Las Vegas, è uno dei critici d’arte più famosi negli Stati Uniti. Questo testo è quello di una sua conferenza tenuta nel corso dell’edizione 2007 della fiera londinese “Frieze”.
Il titolo di questo discorso deriva da una leggenda che riguarda il grande giocatore di basket Julius Irving, per tutti Dr. J: voleva così tanto essere un giocatore professionista che ha sempre giocato correttamente, anche nei campetti della scuola. Era solito chiamare i suoi stessi falli. Chiunque di voi sia stato attorno al mondo dell’arte durante gli ultimi anni si renderà conto che questo paragone calza a pennello perché qualsiasi fossero le regole fino a qualche tempo fa, ora non sono più valide. Ci sono persone là fuori che sono più interessate all’arte che al denaro. L’unica cosa sbagliata è che ci sono molti artisti a cui interessa più il denaro che l’arte. Questo è un problema, ma consideriamo i benefici. Non c’è mai stata un’occasione migliore per attrarre l’attenzione su se stessi comportandosi onestamente, correttamente e meticolosamente. Se volete essere un’icona di virtù, questo è il momento giusto perché sicuramente vi farete notare. Se vi comportate bene, se vi comportate correttamente, se create dell’arte che sarà importante anche tra 200 anni, tutto ciò che avrete da perdere è del denaro.
C’è mai stato qualcuno che è entrato a far parte del mondo dell’arte per denaro? Io ci sono entrato per il sesso e per la droga, ma non per i soldi. Perché si preoccupano tutti del denaro? Cosa farete quando avrete fatto molti soldi? Vi comprerete una barca? Acquisterete un appartamento a Parigi? Gesù finitela! A meno che non abbiate una grave dipendenza dalle droghe non vedo nessuna ragione per aver bisogno di tanti soldi. Non mi importa veramente nulla del denaro, e mia moglie ve lo può confermare. Mi preoccupo di essere nel giusto. La mia regola è quella di Leo Castelli e molto di ciò che vi sto dicendo oggi arriva da Leo. Leo disse: “Non puoi essere giusto in tutti i momenti, ma non devi mai sbagliarti”. Se seguite questa regola, sarete ok. L’idea di Leo dell’essere in torto riguardava la vendita di opere per troppo denaro. L’esempio che diede era una pittrice di nome Jennifer Bartlett che era rappresentata dalla Paula Cooper Gallery. Jennifer ebbe un periodo di gloria, cominciò a vendere le sue opere con cifre a cinque zeri quando in realtà meritavano di essere vendute con cifre a soli due. Quindi chiesi a Leo che cosa ci fosse di sbagliato e lui rispose: “Danneggia i prezzi di Carl Andre”: Il che equivale a dire che i prezzi delle opere di tutti gli artisti sono danneggiati dalla vendita a prezzi troppo alti di opere di altri artisti. Per un mercante d’arte, questo è praticamente impossibile da evitare di questi tempi. Il mio amico Bob Shapazian, che era il direttore della Gagosian Gallery a Los Angeles, ha smesso di esserlo. E perché ha smesso? Ha detto: “Non sono più un mercante d’arte. Mi siedo, arriva una cassa imballata, vedo da chi arriva, vado alla lista d’attesa, compongo questo cazzo di numero scandaloso e la spedisco fuori. Questo non è essere un mercante d’arte. Sto creando valore, ma non è vero valore”. Negli anni Ottanta e Novanta c’è stato il più grande momento di ipocrisia nella storia dell’arte. Si poteva entrare nella sala principale di una galleria e trovare l’opera di un tale chiamato Hernando, o qualcosa di simile, la quale era completamente composta di confetti e sterco di cane. Ci si potevano anche scrivere seri saggi critici sui confetti e lo sterco di cane (la loro intercambiabilità, la loro importanza sociale, il modo in cui si relazionavano col tardo capitalismo). Poi, se foste riusciti ad entrare nella sala posteriore con le scarpe pulite, avreste comprato il Donald Judd esposto là dietro. Siamo passati attraverso due decadi di quello che possiamo chiamare un mercato secondario, in cui le prime sale erano semplicemente dei luoghi per piazzare installazioni fatte di macchine da popcorn, che nessuno avrebbe mai considerato vendibili, per attrarre la gente che poi avrebbe comprato il Donald Judd e il Claes Oldenburg esposti nel retro. Con il crollo di questo momento sono successe cose diverse. I finanziamenti pubblici sono scomparsi. Con questo il potere dei musei è diminuito. Nello stesso tempo abbiamo assistito allo sviluppo di un mondo economico che beneficia di una condizione marginale di super-liquidità. Stavo parlando con il presidente del Venezian resort Hotel and Casino di Las Vegas. Mi disse: “Non ci crederai. Stiamo facendo soldi a secchiate, ci arrivano secchi e secchi di denaro. Stiamo finendo i secchi”. Quando finisci i secchi, quando finisci i posti dove mettere il denaro, quella è super-liquidità. E non ho bisogno di dirvi che tutto ciò fa del bene al mondo dell’arte, perché se veramente volete scialacquare un po’ di denaro, questo mondo fa al caso vostro. C’è così tanto denaro là fuori oggigiorno che vi verrebbe voglia di piangere. Ed è sempre più difficile impadronirsene a meno che non vendiate arte. Così nascono le frodi. Le frodi artistiche sono grandiose. Le frodi artistiche risucchiano i soldi che finiscono nel mondo dell’arte. Chi ci rimette con queste frodi artistiche? Artisti avidi? Stupidi collezionisti? Chi altro? Nessuno che abbia la consapevolezza di avere a che fare con loro potrà trovarsi danneggiato da una frode artistica. Anche le istituzioni hanno oggi il potere di risucchiare tutto il denaro disponibile nella comunità e farlo finire in un museo.
Ciò che è cambiato è l’intero formato del mondo dell’arte come esisteva prima degli anni Settanta: c’erano artisti che lavoravano nei propri studi; portavano i loro lavori alle gallerie; le gallerie vendevano questi lavori ai membri della comunità. Quando una comunità aveva comprato una quantità di opere d’arte tale da far sì che la cosa avesse un aspetto di pubblica utilità si rendeva necessaria un’esposizione in un museo. Quindi ciò con cui abbiamo avuto a che fare nella maggior parte del XX secolo è stata la trasformazione di oggetti di piacere privato in icone di pubblica importanza. C’è stato un periodo, e mi duole ammetterlo, in cui ogni moderna sala da pranzo intorno alla metà del secolo aveva un Maurice Lewis appeso a una parete. Così, abbastanza naturalmente, il museo fece una mostra su Maurice Lewis perché presumeva che si potesse guardare Maurice Lewis e immaginarsi qualcosa di Fort Worth (che si poteva ma non si voleva sapere). La stessa cosa successe con Frank Stella. Quando i lavori di Stella invasero il mondo dell’arte a New York ad un livello sufficiente, ci fu una sua mostra al MoMA. Una delle cose interessanti riguardo a questo processo è che le mostre del museo non dipendevano dalla professionalità dello staff interno, bensì dal gusto e dai desideri collettivi della comunità. Così, guardando una mostra di Frank Stella, potevi pensare: “Che cos’è che infervora tanto i venditori di titoli azionari?”. Era un mercato del tutto lineare. La trasformazione dal gusto privato al pubblico beneficio avveniva attraverso il controllo di onesti intermediari. Un intermediario onesto è un critico come me che non ha intenzione di dire bugie, ma che è veramente interessato a capire cosa c’è di importante in Frank Stella. Dovrebbe esserlo un redattore di una rivista che non dice bugie quando pubblica la recensione di una mostra. Dovrebbe esserlo un curatore o un gallerista che ha messo in gioco la propria reputazione sull’essere nel giusto. L’ultimo esempio che ricordo risale al 1971 quando le opere di Bruce Nauman vennero esposte da Leo Castelli. Marcia Tucker del Whitney allestì una grande mostra di Nauman e Phil Leider, editore di “ArtForum” e assegnò la recensione a Peter Plagens. Ciò significa che Leo Castelli, che non scende a compromessi, Marcia Tucker, che non scende a compromessi, Phil Leider, che non scende a compromessi e Peter Plagens, che non scende a compromessi, approvarono questo lavoro di Bruce Nauman. Questo è particolarmente importante perchè queste persone hanno gusti molto diversi.
Quindi ciò rappresenta un consenso unanime da parte di persone il cui lavoro è essere nel giusto e mai nell’errore. Un altro caso avvenne quando Leo Steinberg scommise la propria reputazione di storico dell’arte su Bob Rauschenberg e Jasper Johns, che ai tempi erano due semi-sconosciuti che vivevano in Ludlow Street. Quello fu un grosso rischio. Ma, se Leo Steinberg corre un tale rischio e ha successo, quello è un Price Point. Chiedete a voi stessi: “Chi può definire dei Price Point oggi? Chi non sbaglia mai? Chi esercita la propria professione con l’impegno di non essere mai nel torto? Nessuno. Chi è il mercante che prova a non sbagliarsi mai? Chi è il mercante che cerca di non vendere mai opere d’arte a un prezzo troppo alto? Questo mondo non esiste più. Il mercato dell’arte nel XX secolo è prima di tutto un mercato limitato; perciò ci sono sempre più opere d’arte, che persone che le comprano. Cosa significa? Significa, come dice Leo, che qualcuno ne deve comprare più di una. Qualcuno deve comprarne quattro o cinque. Se l’arte non cambierà, nessuno sarà intenzionato a comprarne più di una. Per rimanere un fenomeno di moda, l’arte contemporanea necessita di reinvestimenti continui: un artista deve avere una mostra dopo l’altra, un articolo dopo l’altro. Tutte queste sono occasioni per una crescita di stile. Se mi è capitato di scrivere qualcosa sui tuoi dipinti di rane, l’anno scorso, e se organizzi un’altra esposizione di quadri di rane, non ci vengo più. Ma, se Barbara (Gladstone) mi chiama e mi dice: “Non ha visto i dipinti con le salamandre, Dave”, allora mi precipiterò a vederli. Ciò che avviene in presenza di un mercato istituzionalizzato è che nulla cambia. Non sono cambiate le installazioni, sebbene ci siano stati momenti di innovazione (…). Tutto ciò ha creato un tipo di mercato molto stabile in cui nulla ha contribuito a un’evoluzione di stile. La logica di un mercato istituzionalizzato è: “Non ci interessa. Stiamo solo cercando di riempire questi buchi nel programma”. E il presupposto è: noi non abbiamo un’evoluzione stilistica perchè la storia ha raggiunto un punto di arresto. Io colloco la data della fine della storia al giorno dell’assassinio di Bob Kennedy nel 1968. Quando spararono a JFK ognuno disse: “Oh mio Dio, è così terribile, è la fine del mondo”. Quando spararono a Bobby tutti pensarono: “Oh no, non ancora”. E la fine della storia è abbastanza segnata dall’”Oh no, non ancora”. Il problema è che anche se la storia si ferma, il tempo continua a trascorrere. Il non avere storia non significa disabilitare la noia.
Il mondo dell’arte gioca molto sulla noia, che è l’unica cosa che lo fa vivere. Io sono annoiato da gigantesche fotografie di tre tedeschi. Ciò non significa che siano brutte, significa solo che mi sono rotto il cazzo di vederne. Questa è la crisi che è avvenuta, con la morte delle installazioni artistiche, con l’enorme ascesa di capitale disponibile, con il crollo delle autorità istituzionali; tutto ciò ha creato il mondo in cui viviamo oggi e le fiere d’arte contemporanea sono l’espressione di tutto questo. Un’altra analogia appropriata: un paio di anni fa ero a una di quelle fiere allestite in un hotel, dove cammini per un corridoio e ogni porta è aperta e lascia intravedere all’interno delle stanze delle piccole sculture appoggiate ai copriletto e disegni sulle pareti. Stavo camminando lungo uno di questi corridoi pensando che era parecchio strano, era come essere ad Amsterdam senza le prostitute. Quindi sono tornato a casa quella sera e ho acceso la televisione. Ciò avveniva due giorni dopo che gli americani erano entrati a Baghdad per spodestare Saddam Hussein. C’era questo tizio con la telecamera che camminava lungo un corridoio all’Hotel Hilton di Baghdad e tutte le porte erano aperte. Qui potete comprare delle macchine Xeros, qui potete trovare antichi reperti sumeri, qui potete comprare qualsiasi referto medico di qualsiasi persona irachena. Ogni stanza era piena di merda rubata. E l’analogia tra quel breve momento all’hotel e quel breve momento a Baghdad ha fatto scattare una molla riguardo al fenomeno delle fiere d’arte, l’idea di un assoluto, rozzo e rapace capitalismo. Non ho nessun problema a riguardo, io sono lieto quando la gente compra oggetti d’arte. Quando cammino tra gli stand di Frieze guardando ogni oggetto mi dico: “Tutto ciò corrisponde ai miei standard?”. I miei standard per quanto riguarda le raccolte d’arte sono: il 99% di tutto ciò fa schifo? Sì. Ma l’1% è interessante? Sì. Questo è quanto avviene per tutto quanto nel mondo. Alla fine qualche mercante dirà: “Ho questa grande idea. Ho intenzione di esporre solo l’arte che mi piace”. Chiunque altro dirà: “Oh no, non può farlo. Ti ha dato di volta il cervello? Tutti devono esporre qualcosa di ogni cosa”. Quando entri nei loro stand alle fiere ti dicono: “Ti piacerebbe vedere qualcosa di un artista iraniano minimalista? Se no, il nostro pornografico berlinese è piuttosto interessante. Ne abbiamo uno per ogni gusto”. Questo significa praticamente che il mercante non ha potere. Un giorno un mercante potrebbe dire a se stesso: “Ho intenzione di ottenere il potere che ha ottenuto Leo, ho intenzione di esporre solo ciò in cui credo fermamente”. Questo potrebbe veramente cambiare le cose. E il mondo dell’arte che oggi conosciamo scomparirà. immaginandomi come questo momento sia esaltante ora, non mi immagino come sarà esaltante, un giorno. Il collasso. E’ veramente qualcosa da non vedere l’ora che avvenga. Boom! Migliaia di Icaro che si schiantano al suolo. Naturalmente le stanze dove vendete la vostra anima saranno ben chiuse.