Fausto Melotti al Mart
C’è una lievità, nelle opere di Melotti esposte al Mart (fino al 30 settembre), che sa di leggerezza impalpabile, ma anche di elaborazioni mentali capaci di viaggiare tra le nuvole… Sottili congetture, pensieri mobili e incorporei o, per dirla come il curatore Denis Viva (e rifacendosi ad un’autodefinizione dello stesso artista), “angelico geometrico”. Due termini affatto antitetici tra loro per le cento opere in mostra, accostati in un’unica soluzione finale, che integra dimensioni così apparentemente distanti, immaginazione e raziocinio, concretezza tattile e forma eterea. “L’arte è stato d’animo angelico, geometrico. Si rivolge all’intelletto, non ai sensi”, dichiarò Melotti in occasione della sua prima personale alla Galleria del Milione di Milano. Era il 1935 e, nel capoluogo lombardo, si era trasferito proprio dalla città natale che ospita ora l’esposizione, Rovereto. Le ampie sale del Mart sono oggi un ottimo contenitore di quella libertà di vagare con la mente che ispirò le sue opere: osservandole, se ne coglie il pensiero sotteso, l’idea rielaborata con estrema eleganza e sintetica essenzialità, senza cadere in un che di scarno o arido. Tutt’altro. Il Melotti esposto ispira la fantasia e anche il sorriso. Davanti a Fantasia o Giardino pensile (1972), Pioggia d’estate (1976) si coglie quasi il divertito sorriso del bambino o lo stupore dell’adulto che guarda l’opera e strizza l’occhio all’originalità della soluzione, ricomponendo i tasselli mentali che hanno portato ad esiti così unici. Non c’è niente di ridondante, ma non manca neppure nulla. L’equilibrio compositivo è estremo, come si trattasse di un gioco di armonie: i tasti delle melodie di Melotti si dipanano, stupendo con divagazioni improvvise, addirittura buffe, ma poi si ricompongono e, ammaliati, se ne comprende la squisita musicalità. Soavità e rigore convivono nel percorso espositivo roveretano, proprio perché si concentra in particolare sulla fase di rinascita dell’artista, iniziata verso gli anni Sessanta. Se la mostra diventa occasione per presentare il restauro di Scultura H (La grande clavicola) del 1971, un’opera monumentale collocata nel Parco delle Sculture del Mart, è anche vero che, rispetto alle opere più squisitamente astratte dgli anni Trenta, l’attenzione del curatore è posta soprattutto sulle radici metafisiche dell’arte di Melotti. In questo senso, in opere come Città (1963) o Ellissi (1964), prevale quel senso di divagazione immateriale che sfugge all’astrazione rigorosa e assoluta, per assumere il gusto del sospeso, del metafisico e onirico insieme. Alla rigidità geometrica si sostituisce la trasognata immaterialità di liberi pensieri, di idee che svolazzano, fino a diventare installazioni che rimpiono l’ambiente ed interagiscono con esso, come nelle opere degli anni Settanta. In questo senso, le tele di De Chirico, Carrà e Savinio, Manzoni, Fontana e Castellani, ma anche Licini o Mirò, servono a contornare storicamente l’excurus cronologico dell’antologica su Melotti, dove – assolutamente riconoscibile – è anche Mobile (Calder, 1939), dalla pulita sintesi astratta del primo trentennio. E, allora, rispetto a questo pezzo, Le contrade, Non umano, Beduini e Testimoni velati, tutte opere degli anni Settanta, assumono un respiro maggiore, più narrativo e scenografico, dopo gli anni Sessanta in cui, all’essenzialità, Melotti, sognatore intellettuale di architetture in scultura, arrivava soffermandosi alla ricerca dei modi silenziosi dell’arte di de Chirico, non accontententandosi della pura geometria. D’altra parte, Quartetto (1972), un’ultima opera in mostra, rende bene ciò che ebbe a dichiarare nel1979 in un’intervista sul Corriere della Sera: “ I legami con Calder, da me non molto ammirato, aspetto che me li spieghino. La fisica è lontana dalla musica”.
INFO
Fausto Melotti. Angelico Geometrico
Mart, Rovereto
23 giugno 2012 – 30 settembre 2012