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Sulla crisi del mercato italiano dell’arte

Camillo Langone, foto di Elena Fontana, studio di Marco Cingolani (Milano 2011)

Camillo Langone, giornalista del Foglio e di Libero, intervista il nostro direttore

Ho la sensazione che la crisi profonda del mercato italiano dell’arte non sia cominciata con la crisi economica del 2008 ma con la presa del potere di Mario Monti. Condividi o hai un diverso calendario?
La crisi del mercato italiano dell’arte ha radici profonde. Risale innanzitutto a una legislazione obsoleta che confonde la tutela del patrimonio con la persecuzione dei collezionisti privati e dei mercanti, tra i più grandi protagonisti della conservazione effettiva delle opere nel nostro Paese. La legge della Notifica fu istituita dal ministro mussoliniano Giuseppe Bottai nel 1939. Bottai fu anche tra i firmatari del “Manifesto della razza” che incitava alla promulgazione delle leggi razziali. E, come ministro dell’Educazione Nazionale, sancì nell’autunno del 1938, un decreto applicativo nella scuola italiana delle leggi razziali. La Notifica di fatto ha escluso l’Italia in questi settantatre anni dal mercato dell’arte. Dando un enorme (e spesso male usato) potere alle Soprintendenze per tracciare e limitare la circolazione internazionale delle opere d’arte presenti sul nostro territorio.

Secondo te, in questo momento, cosa frena i collezionisti italiani? 1) La mancanza di soldi; 2) la sfiducia nel domani; 3) la tranquillità di poter comprare senza eccitare Finanza ed Agenzia Entrate.
Un ulteriore freno al mercato italiano dell’arte deriva da una platea di collezionisti che fotocopia le abitudini diffuse nell’italiano medio degli ultimi trent’anni. Acquistare beni e oggetti -spendendo cifre ben al di sopra dei redditi dichiarati all’Ufficio delle imposte- è diventato, giustamente, pericoloso. Da quando -con gli ultimi governi Berlusconi, Prodi, Berlusconi e Monti- l’attività di verifica dell’Agenzia delle Entrate ha incrementato il proprio intervento, coloro che spendevano da 100 a 300 mila euro l’anno dichiarandone magari solo 30 mila, stanno ben attenti a non farsi “beccare”. Si è infatti notata una crescita degli acquisti d’arte da parte di italiani sul mercato estero. Il che dovrebbe presupporre come una buona parte dei capitali custoditi, illegalmente, all’estero non sia per nulla rientrata in Italia. A mio parere, una futura ed equa politica fiscale dovrebbe defiscalizzare gli investimenti in opere d’arte, evitare controlli e burocrazie su piccoli collezionisti (come spesso accade ora) e colpire invece i gradi evasori e l’attività di riciclo – in opere d’arte- di denaro frutto di corruzione e attività criminali.

Quali sono le categorie professionali che un tempo collezionavano e oggi non collezionano quasi più? E quelle, invece, che continuano a comprare?
I grandi evasori si sono volatilizzati. Oppure continuano a evadere, acquistando all’estero. Mentre i piccoli e medi collezionisti stanno continuando ad acquistare. Infatti il mercato italiano è sempre più composto da un’offerta che riguarda segmenti minori o di artisti da riscoprire. In questo modo l’Italia sul mercato dell’arte si sta sempre più provincializzando e allontanando da un’ottica internazionale.

Milena Gabanelli ha detto: “Solo tre categorie umane non possono fare a meno del contante: lo spacciatore, il delinquente, l’evasore”. Secondo me anche la categoria artista. Senza contante, e quindi senza nero, Burri, Fontana e Schifano non sarebbero stati Burri, Fontana e Schifano. Tu come la pensi?
Penso che la Gabanelli un po’ esageri. Non bisogna terrorizzare ma educare. Burri faceva il medico. Fontana era uno straordinario gentiluomo e spesso regalava i suoi tagli a persone in difficoltà piuttosto che cederli a galleristi. Schifano a un certo punto -purtroppo- è diventato tossicomane e lì certo aveva bisogno di contanti. Anche se alcuni (fottuti) mercanti sembra gli portassero direttamente la droga in cambio di tele. Io penso che i giovani artisti e i talenti emergenti dovrebbero non solo avere una legislazione di esenzione fiscale, ma addirittura esser sostenuti economicamente dallo Stato. Mentre i grandi artisti affermati, con redditi d’alto livello, dovrebbero pagare regolarmente le tasse. Secondo il principio: chi più guadagna più partecipa. Ma sembra che il concetto di “persone per bene” sia completamente evaporato nella cultura italiana degli ultimi vent’anni. Più sei furbo meglio stai. Alla faccia degli altri. Purtroppo, o meno male, l’estetica ha sempre a che fare con l’etica. Forse è anche per questa semplice ragione che di Fontana o Burri di questi tempi nel nostro Paese non se ne vedono più.

Secondo te perché il mercato dell’arte si riprenda chi dovrebbe vincere alle prossime elezioni?
Chiunque abbia a cuore la “rinascita” dell’Italia e non solo i propri interessi. La cultura, come l’etica, non hanno un colore politico.

Oppure pensi che la politica sia ininfluente? Quali sono gli altri fattori che potrebbero darci un 2013 artisticamente più ricco del 2012?
La politica è ininfluente sull’arte ma molto influente sullo sviluppo della cultura e del mercato dell’arte. Francamente negli ultimi decenni in Italia non ho visto nessun politico interessato a questi temi. Una maggiore attenzione permetterebbe di “sognare” un 2013 migliore, sotto il profilo della rinascita italiana a livello internazionale.

A un giovane artista di talento che cosa consiglieresti? Smettere? Emigrare? Dove?
Se smette di creare arte significa che non ha mai iniziato. Per un artista “fare” arte è come per una persona respirare o per un vecchio politico italiano rubare. Emigrare sì. Se continua così gli consiglierei di emigrare non più solo a New York ma anche Parigi, Londra e persino Messico, India, Cina e altri Paesi emergenti.

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  • Una intervista bellissima, smarcando anche le domande che la buttavano impropriamente “in campagna elettorale”, ma proponendo un quadro chiaro dei problemi cronici dell’arte viva in Italia, paese dove si finge che per far arte non occorre mangiare e che l’arte non produca benessere materiale. Due grandi ignoranze, o solo finte ignoranze, sintomo di inciviltà. Grazie Direttore. Antoh

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