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Elogio della solitudine

La Vanitas Gallery ha inaugurato la sua prima mostra Tracce del XX secolo. Scatti di Demarchelier, Diaz, Sieff, Thomas, Wolman…
Per l’occasione abbiamo intervistato uno dei grandi protagonisti della mostra e del mondo della fotografia: Christopher Thomas. Nato a Monaco nel 1961, la sua formazione è avvenuta negli Stati Uniti per poi laurearsi presso il Bavarian State Teaching Institute for Photography. È stato fotografo ufficiale di Stern, Geo, Merian, e fotografato di pubblicità di case prestigiose come Mercedes, Bmw, Opel. In mostra a Milano per la prima volta presso la Vanitas Gallery, Thomas è ancora poco conosciuto in Italia ma i suoi lavori hanno una carica emozionale non da poco. Tra i lavori esposti in galleria si trovano quelli tratti dalla serie Passion e Venice in Solitude, documentati dalla pubblicazione di due libri. Nel 2010 il fotografo è rimasto affascinato dalla rappresentazione della Passione di Cristo di Oberammergau -un piccolo paese della Baviera- che l’artista ha immortalato con il solo uso della macchina fotografica sorretta da un cavalletto, tra volti, ombre e corpi. La celebrazione di questa rappresentazione si tiene ogni dieci anni in prossimità della Settimana Santa dal 1633, anno in cui scoppiò un’epidemia violenta di peste e da allora il rito si ripete poiché il paese per fermare la pestilenza fece voto di celebrare la sofferenza, morte e risurrezione di Gesù.

E’ la prima volta che esponi in Italia?
Sì è la mia prima volta in Italia. E’ la mia unica galleria in questo Pese, ma lavoro anche con spazi a Parigi, New York, Londra.

In Italia non ti conoscono ancora molto e quando ho visto le tue foto mi sono detta che è un vero peccato. Le foto scattate a Venezia, per esempio, sono bellissime, come hai fatto a ritrarla completamente deserta, perché noi siamo abituati a vederla sempre piena di gente, di turisti…
Una premessa, ho fatto un libro intitolato New York Sleeps prima di Venice in Solitude. Si tratta più o meno della stessa situazione. Noi abbiamo l’idea che New York sia la città che non dorme mai. Anche a Monaco, la mia città natale, ho fatto un lavoro simile, ho prolungato i tempi di esposizione fino a due ore; c’era un sacco di gente in giro a fare commissioni ma nell’immagine non si vedevano più. Per esempio nella serie che ho fatto a Venezia, in alcuni scatti c’erano un sacco di persone, ma in uno scatto in particolare in Piazza San Marco, a un certo punto è arrivato un acquazzone e le persone sono tutte corse sotto i portici e la piazza è rimasta vuota, le sfocature che si intravedono nell’immagine sono in realtà delle persone…

Che cosa ti è piaciuto in particolare di questa città? Una Venezia avvolta dalla solitudine. Una condizione che ti affascina?
Siamo sempre immersi e circondati dalla tecnologia che ci impedisce di rimanere soli con noi stessi. Senti? Un telefono sta squillando proprio adesso durante l’intervista, facciamo diverse cose allo stesso tempo. Viviamo in un tempo sempre affollato. Si guida e si mangia insieme. Vedo i miei figli con in mano un Iphone mentre si ascolta della musica, mentre la televisione è accesa.

Non siamo mai soli…
Esatto, io vengo dal mondo della fotografia commerciale, ho lavorato per delle case automobilistiche dove il tempo per uno scatto è minimo e c’era sempre parecchia confusione intorno. Le foto che posso permettermi di fare oggi sono per me un momento di meditazione. Tornando a Monaco, quando ho realizzato il mio primo libro, mi sono reso conto che in quella città non c’era questo senso diffuso di spiritualità, tutto andava veloce. La macchina fotografica con cui lavoro oggi è pesante, ingombrante, posta su un cavalletto, dall’obiettivo vedi tutto capovolto, ci metto molto a prepararmi.. Ci vuole molto più tempo prima di trovare lo scatto giusto e per me questo tempo è molto importante.

E cosa mi dici riguardo la stampa di queste foto che sono molto particolari?
Quello che vedi nella stampa sono i bordi del negativo, è una polaroid e si chiama Polaroid type 55, non esiste più questo tipo di pellicola ma per circa 40.000 dollari mi sono procurato quelle ancora disponibili. La cornice è il bordo del negativo e la carta che uso è da acquarello francese che non è adatta alla stampa ma a me piace molto e ho chiesto al mio tecnico di sviluppare un sistema per poterla stampare perché amo la carta fatta a mano. Questo è il segreto.

In queste foto sembra che tu stia cercando qualcosa di spirituale, un po’ come nelle altre foto esposte qui, quelle relative alla Passione di Cristo scattate a Oberammergau…
Sono molto diverse. Avevo fatto un ritratto al Direttore della manifestazione di Oberammergau per un giornale, il quale entusiasta del mio lavoro, mi ha chiesto se avessi voluto fare un libro proprio sulla rappresentazione della Passione.

Avevi mai sentito parlare di questa manifestazione prima di allora?
Sì, perché non si svolge lontano da dove vengo io, anche se non sono molto vicino a tutto ciò che riguarda la Chiesa Cattolica. Ho deciso di andare a dare un’occhiata e ne sono rimasto affascinato perché è una manifestazione che risale al 1633 e si tiene solo una volta ogni dieci anni, è davvero particolare e solo gli abitanti del villaggio e di quelli limitrofi possono partecipare all’evento. Vengono da tutto il mondo per vederlo. Anche la prossima rappresentazione è già sold out da tempo, è straordinario. Il piccolo villaggio sembra un teatro gigante. Quando mi hanno chiesto di fare questo libro volevo far emergere in particolare come un tedesco del ventunesimo secolo riuscisse a trasformarsi in un personaggio biblico. Sono stato là per quattro mesi continuando a fare ritratti durante le prove e questo che vedi è il risultato. Le mie foto non raccontano la storia della rappresentazione ma a me piaceva farlo così. Queste foto hanno avuto molto successo e ora la prima fermata della mostra è proprio qui a Milano.

Tu hai lavorato anche per riviste come Geo, riviste di moda ecc…
Sì, ho lavorato per molte riviste di architettura, di viaggi, di moda, ma il mondo della moda è un mondo che non mi affascina per niente. Ogni fotografo quando inizia vuole diventare un fotografo di moda per avere a che fare con le modelle, ma a me è un mondo che non mi ha mai dato nulla, che non mi interessa.

Che tipo di emozioni cerchi prima di scattare una foto, quando è il momento giusto?
Bella domanda. Se parliamo di Venezia, per esempio, io non giro con la macchina fotografica in mano e poi a un certo punto scatto. Io lavoro con il cavalletto. Per quanto riguarda il lavoro fatto a Monaco, ci ho messo circa cinque anni, a New York le foto sono addirittura state scattate tra il 2001 e il 2009, con una pausa durata circa due-tre anni, dove in mezzo ho iniziato a fare quelle di Venezia per le quali ci ho messo un anno. La prima cosa che si deve fare è trovare una location, guardarsi intorno per prendere appunti riguardo la luce, usare un computer. Per le fotografie pubblicitarie per esempio si diceva anche: “No, la luce di adesso non va bene, bisogna aspettare Marzo per scattare”. In una foto che ho scattato a Venezia ho aspettato l’alba perché solo in quell’esatto momento si vedeva il sole spuntare tra i portici. E ho dovuto fare le cose di fretta perché c’era la neve e a Venezia e siccome c’è marmo ovunque, la tolgono immediatamente perché la gente cade in continuazione!

Quando hai capito di voler diventare un fotografo e come è nata questa tua passione?
La mia prima macchina fotografa l’ho rubata.

Rubata?
Oh, sì! (Ride) Quando ero ragazzo ne ho rubata una al Luna Park una volta chiuso. Con dei miei amici ci siamo infilati sotto uno dei quei tendoni dove facevano la tombola e l’abbiamo presa! Da lì ho iniziato a fare foto ai miei amici. La fotografia ai miei tempi non era molto accessibile perché era costoso. Ho continuato a fare foto e quando ero studente mi sono fatto una camera oscura. All’Università del Massachusetts ho continuato gli studi in America e mi sono iscritto alle lezioni di fotografia ma non avevo intenzione di diventare un fotografo. I miei genitori si sono trasferiti in Brasile e poi ho finito gli studi a Monaco. Lì ho iniziato a lavorare per un amico fotografo perché avevo bisogno di soldi. Non avrei mai pensato di diventare un professionista. Fu lui a suggerirmi di fare un corso e di aprirmi uno studio. Ci pensai su così ho iniziato a fare questo lavoro.

Hai qualche fotografo che ami in particolare e che ti ha influenzato?
Ognuno ne ha. Per esempio Sally Mann, Salgado. Dipende dal campo in cui lavori. Ci sono anche straordinari fotografi di pubblicità. Io cerco qualcosa che sia toccante e per questo di solito la fotografia di moda non mi interessa particolarmente. Preferisco i reportage o la foto di paesaggio, qualcosa che sia autentico.

C’è una foto a cui sei particolarmente legato, qualche lavoro a cui sei molto affezionato o che ricordi con piacere?
C’è un reportage in particolare che mi ha lasciato qualcosa di forte che feci per una rivista in Nepal e in India, Etiopia, dove ebbi modo di fotografare dei lebbrosi. Fu molto toccante per me, qualcosa che ti cambia la vita. Ho interrotto questa attività perché avevo dei bambini piccoli ma ora che sono un po’ cresciuti ho ripreso questo tipo di lavoro insieme a un’organizzazione che si chiama “Women for Women”, un gruppo di chirurghi plastici che si occupano di ridare una vita e un volto alle donne vittime di ustioni e anche a quelle a cui hanno gettato dell’acido addosso. Con loro sono andato in India e ho scattato foto a donne a cui era stato dato fuoco con della benzina. Ogni giorno in India a una donna viene dato fuoco. Questo è ciò che mi ha toccato maggiormente ed è ciò che voglio continuare a fare. Infatti quest’estate andrò in Kenya e a Dicembre in Bangladesh per un altro progetto a lungo termine. Se lavori nel mondo della pubblicità la cosa più importante è solo il prodotto che loro vogliono vendere. Il tipo di lavoro che faccio io mi mette in relazione più profonda con quello che è la vita e il suo vero significato. Questa cosa ho iniziato a comprenderla quando da ragazzo ho scelto in Germania il servizio civile invece di quello militare lavorando con un gruppo di suore cristiane, dove ho capito quali sono i veri valori della vita. E’ stato meraviglioso instaurare un rapporto con delle persone che potevano essere salvate, aiutate, guarite, che quasi erano in punto di morte. Bisogna imparare a essere più grati e riconoscenti e godere di quello che abbiamo.

E questa cosa ti fa stare bene?
Se ci pensi bene, onestamente, tutti quelli che fanno qualcosa per aiutare gli altri lo fanno per stare meglio loro stessi, è la verità, non c’è nulla di sbagliato.

E riguardo il mondo delle aste e il mercato della fotografia?
Credo che la fotografia abbia iniziato ad avere un mercato soltanto 20, 50 anni fa. Prima non era considerata un’arte ma soltanto un modo per fare reportage giornalistici, fotografie di moda ecc. Oggi è considerata un’arte molto contemporanea e affascina sempre più persone, soprattutto a New York, negli USA. I punti di vista sono semplicemente due: uno è quello del collezionista, l’altro dell’investitore. Il collezionista compra una foto perché colleziona un determinato fotografo, perché gli piace, per passione e perché magari una foto in particolare gli ha trasmesso qualcosa, lo ha toccato nel profondo. Per esempio, nel mio caso, coloro che hanno comprato le foto di Venezia o New York sono persone che abitano in quei posti o che li amano per determinati motivi. Poi c’è il punto di vista dell’investitore che investe su un fotografo o un artista soltanto per farci dei soldi e per rivendere l’opera acquistata immediatamente dopo solo per guadagnarci di più.

 

Coordinate mostra
Titolo: TRACCE DEL XX SECOLO. Scatti di Demarchelier, Diaz, Sieff, Thomas, Wolman…
A cura di: Paride Retenari
Sede: Vanitas Gallery – via G. Revere, 6 (zona V. Monti) – Milano
Date:6 -28 marzo 2013
Orario: martedì – sabato dalle 11 alle 19
Ingresso:libero
Info pubblico:02 87073099 – milano@vanitasvanitatum.it – www.vanitasgallery.com

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