La Fondazione Corrente organizza martedì 28 maggio 2013 alle ore 18 la tavola rotonda Banfi e l’arte contemporanea.
A partire dalla recente pubblicazione degli atti del convegno “Banfi e l’arte contemporanea” organizzato dall’Università degli Studi di Siena (a cura di Sileno Salvagnini, Liguori editore, Napoli, 2012) storici dell’arte e filosofi si confrontano sul pensiero di Antonio Banfi e la cultura artistica contemporanea.
Intervengono Simona Chiodo, Enrico Crispolti, Paolo Rusconi, Sileno Salvagnini, Gabriele Scaramuzza.
Antonio Banfi è stato uno dei numi tutelari della rivista di “Corrente di vita giovanile” (Milano, 1938-1940) e della generazione di intellettuali che intorno a quella rivista si formò e portò nella società italiana dominata dal fascismo contributi innovativi e significativi allo sviluppo dell’arte, della letteratura, della politica, fino a schierarsi apertamente contro le scelte del regime.
Fra gli articoli più incisivi pubblicati sul quindicinale fondato da Ernesto Treccani, comparve sul numero 4, anno II (28 febbraio 1939) l’intervento Per la vita dell’arte, nel quale Antonio Banfi affermava:
L’arte è oggi in crisi, come è in crisi la cultura tutta, ma crisi è vitalità più intensa che percorre – come a primavera – le radici stesse dell’essere. L’arte vuol vivere e la vita è una cosa sola con la libertà: libertà intima di sviluppo, possibilità di dare a se stessa le proprie norme, i propri problemi, i propri contenuti e le proprie forme. Da questa libertà assoluta dell’arte dipende la possibilità di scoprire e consacrare in lei la poeticità della nostra vita, che è insieme certezza gioconda e fede creatrice.
La Fondazione Corrente coglie l’occasione della recente pubblicazione Banfi e l’arte contemporanea, a cura di Sileno Salvagnini, (Napoli, Liguori editore, 2012) che presenta gli atti del convegno organizzato dall’Università degli Studi di Siena alla Certosa di Pontignano nel 2006, per riunire storici dell’arte e filosofi in una tavola rotonda sul pensiero di Antonio Banfi e la cultura artistica contemporanea.
Dall’introduzione di Sileno Salvagnini al volume:
L’importanza di Banfi è stata però principalmente altra. Egli interpretò l’anima migliore degli intellettuali – artisti, poeti, scrittori, letterati, critici d’arte, storici – che gravitarono intorno a “Corrente”, rivista in cui egli scrisse, a proposito della “crisi” che scuoteva allora le coscienze, uno dei testi più penetranti degli anni Trenta, dove fra l’altro affermava: «L’arte oggi è in crisi, come è in crisi la cultura tutta, ma crisi è vitalità più intensa che percorre – come a primavera – le radici stesse dell’essere». Già alcuni anni prima tuttavia Banfi aveva avuto un ruolo rilevante nel formare le coscienze. […]
I suoi corsi […] non erano frequentati solo dagli allievi e dunque da addetti ai lavori, ma anche, come mi raccontò l’indimenticabile Dino Formaggio, da una moltitudine di folla appartenente alle più diverse categorie sociali: studenti di altre facoltà, pittori, poeti, operai, architetti, semplici casalinghe. Folla che sentiva dalla sua viva voce come la crisi non riguardasse solo istituzioni, costumi e saperi, ma la vita stessa, che in quelli anni si avvertiva correre vorticosamente verso una cupa tragicità. Come affermerà infatti Carlo Ludovico Ragghianti, Banfi auspicava il recupero della funzione etico – sociale dell’arte immaginandone l’utopica proiezione in una società senza classi e senza conflitti, ma ciò «non escludeva la coscienza e la prassi anche nella fase della crisi».
Dai “giovani” di “Corrente” Banfi fu accolto più come maestro di vita che per le sue profonde teorie. La passione per il pensiero di Fiedler, secondo cui l’arte visiva è spiegabile come forma o attività di conoscenza e dunque quale esperienza basilare dell’uomo, fu tale in Banfi che egli ne fece tradurre gli Aforismi ad un’allieva. Questo tuttavia negli artisti di “Corrente” non ebbe per effetto l’immediato riconoscimento della parte più vitale del formalismo delle Avanguardie artistiche, certo non riducibili ai limiti individuati dallo stesso Banfi. Negli anni della rivista infatti i Badodi, Cassinari, Sassu, Treccani ma soprattutto i Birolli e Guttuso non guardarono idealmente al grande astrattismo europeo o al cubismo, bensì all’espressionismo di Van Gogh e Gauguin, giungendo al massimo, con grande difficoltà ed in ritardo, a Guernica di Picasso, interpretato come una sorta di ancora di salvezza, di prodigioso salvagente per uscire dalle sofferenze quotidiane.
In molti casi quella generazione doveva ancora compiere il proprio “lungo viaggio”, e Banfi ne avrebbe costituito uno dei fari di riferimento: colui che dalla propria cattedra universitaria indicava lucidamente quanto fossero inscindibili speculazione teoretica e prassi. Un modello il cui messaggio appare oggi tutt’altro che anacronistico.