Due buone ragioni per andare a Bergamo a farsi un piccolo giro. La prima in via San Tommaso, poco dopo l’Accademia Carrara nell’Oratorio di San Lupo dove il grande fotografo Vincenzo Castella si confronta con uno degli spazi più suggestivi dedicati all’arte contemporanea. Una costruzione settecentesca che gestisce il museo Diocesano. Sembra un piccolo teatro. Ho fatto anch’io un mio esperimento qualche anno fa, in cui la gente non poteva entrare all’interno dell’oratorio ma guardare da alcune finestrelle e dalla balconata un cielo sul soffitto e dei quadri lunari sdraiati sul pavimento.
Vincenzo Castella utilizza in questo caso la fotografia in movimento lento per incantarci. In effetti è un trucco facile. Ci insegna così che la semplicità delle idee è quasi sempre vincente. Le immagini dialogano con l’ambiente e scatta quel famoso corto circuito che noi vorremmo scattasse sempre e che rende l’opera magica. Salendo le scale troviamo anche lì una foto in movimento, quella del famoso crocifisso di Giotto preso di spalle nella chiesa di Santa Maria Novella. Alle pareti delle immagini della città e della Palestina con una profondità e una nitidezza lucida che ci hanno fatto pensare a un Canaletto di oggi. Uscendo abbiamo pensato cosa sarai mai questa attrazione per la veduta che attanaglia tanti artisti e sempre ci affascina.
Tornando invece verso Bergamo bassa si incontra la sede del Credito Bergamasco che, come consuetudine, ospita delle esposizioni in uno stand che costruiscono per l’occasione all’interno del salone centrale. Questa era la volta dei boxeur di Giovanni Testori. All’interno delle celebrazioni per il ventennale della morte, la città di Bergamo -legata a Testori per una consuetudine di studi e di affetti – non ha voluto perdere quest’ occasione.
Affidando a Davide Dall’ombra la cura scientifica di una ricostruzione della mostra del 1971 alla Galleria Galatea di Torino. Rivisti oggi tutti insieme quei quadri contengono una potenza strana e restano uno delle tappe più importanti della vicenda artistica di Testori. Il box diventa un vero e proprio ring in cui non ci si può girare con calma perchè da ogni parte c’è la possibilità di ricevere un pugno vero. Tutti i dipinti sono alti più di due metri sono messi quasi a incastro uno con l’altro. Gli atleti emergono da un fondo spesso bianco e si muovono come degli dei greci, sono dei quadri ma sembrano dei bassorilievi. Qua e là delle tacche rosse secche a definire la forma. Una pieces di teatro fatta coi quadri. Soffermatevi sui particolari. Le teste di questi boxeur sembrano i ragazzi del Ponte della Ghisolfa. Il ricordo va inevitabile a quell’ambiente tra il Dio di Roserio e Rocco e i suoi fratelli ripensato passando per Matisse. La grandezza dello scrittore di Novate è sempre stata quelle di rimischiare le carte come non te lo aspetti. Ti prende alle spalle come i boxeur di questo strano ring. Attenti, la mostra chiude la fine del mese. Affrettatevi.