Riflettendo sul Palazzo Enciclopedico di Massimiliano Gioni, mi domando se qualcuno abbia già fatto notare al giovane curatore che è andato fuori tema. Gli era stato chiesto di realizzare una Biennale artistica, non un’enciclopedia dell’arte, per quanto il progetto, ispirato al sogno di “una conoscenza universale” sia stato giustificato dal Presidente Paolo Baratta, etichettandolo come mostra-ricerca. Purtroppo, questo obiettivo è di per sé impossibile e quindi perso in partenza. Lo ammette Gioni stesso dichiarando che la sua costruzione è “complessa ma fragile” e “tanto fantastica quanto delirante”. “Dopo tutto, il modello delle esposizioni biennali nasce dal desiderio impossibile di concentrare in un unico luogo gli infiniti mondi dell’arte contemporanea: un compito che oggi appare assurdo e inebriante quanto il sogno di Auriti.”
Accantoniamo i miraggi e procediamo con ordine, invece.
La Biennale di Venezia dovrebbe accogliere le eccellenze artistiche dei paesi invitati. In questo caso, i criteri di scelta non hanno privilegiato il merito. Certo, compaiono alcuni grandi nomi, come Cindy Sherman, che è anche curatrice di un sorta di museo personalizzato con oggetti e opere di altri autori e Steve McQueen, presente con un video su un futuro immaginario, ma ci sono anche moltissimi sconosciuti e non sono state volutamente rispettate le distinzioni tra artista e amatore, “outsider e insider”. Si tratta dell’ennesimo tentativo di arrivare a un’arte democratica, ma ancora non si è riusciti a spostare la soglia del canone oltre il punto di non ritorno. Secondo gli addetti ai lavori, ci sono immagini “belle”, ma anche tante che non lo sono. Resta il fatto inequivocabile che la soluzione enciclopedica privilegia il tutto sulla parte, pertanto la scrematura e la selezione, anzi, le operazioni col bisturi, come talvolta bisognerebbe fare, non sono ammesse. Non tutto può davvero essere considerato arte, l’arte resta per sua natura elitaria, mentre la sua fruizione è universale. L’espressione appartiene a tutti gli uomini, ma il talento è soltanto di alcuni. Il curatore forse sta abdicando al suo ruolo per divenire una sorta di pensatore e filosofo? Non per nulla dichiara che l’approccio dello studio è antropologico, dimenticando le riflessioni sull’arte, che invece dovrebbero sempre essere il fulcro dell’esposizione.
La Biennale presenta in genere le nuove tendenze dell’arte contemporanea internazionale. C’è del nuovo nella Biennale di Gioni? Molto poco. Troviamo certamente il mai visto, il poco noto e il sorprendente, secondo la poetica delle wunderkammer cinquecentesche, per esempio i disegni degli sciamani delle isole Salomone con demoni e divinità in lotta contro gli squali, ma non ci si interroga profondamente sui nuovi linguaggi artistici, anzi si attinge al recente passato con opere e oggetti storici. Sola e ottima novità è che per la prima volta parteciperà anche il Vaticano, con un’esposizione allestita nelle Sale d’Armi, che la manifestazione sta restaurando per trasformarle in padiglioni.
La Biennale aiuta a orientare il gusto del pubblico? Ritengo che gli spettatori saranno invece disorientati e si sentiranno persi nella labirintica costruzione, realizzata con l’intervento dell’architetto Annabelle Seldorf.
In conclusione, un’immensa Biennale “metafisica”, senza capo né coda e alquanto inutile.