“L’arte si nutre del sangue dell’artista”
“L’arte è il sangue del cuore umano”
Edvard Munch
Mission Impossible Munch. Niente film, solo la complicatissima “operazione” per organizzare una rassegna sull’inquieto Edvard. La politica museale norvegese è nota: niente prestiti dei Munch di casa. Bisogna arrangiarsi con i collezionisti privati, cioè tentare l’impresa di convincere quella “setta” di “gelosi, folli e maniaci” detentori di alcune opere-feticci del “Santo” di Løten. Sarà. Sta di fatto che Munch a Genova è arrivato. E si sente. Non per il fracasso cromatico dell’Urlo a pastello che si aspettava ma per le 80 angosce incise trasudanti “timore e tremore” per le silenti sale di Palazzo Ducale. Ridimensionato certo ma pur sempre sublime, senza Skrik ma con tutte le inquietudini esistenziali impresse nelle varie superfici solcando la materia come a incidere l’anima.
Ci sono più incisioni che oli infatti, ma non è un male. Basti ricordare che per Munch la pittura era propedeutica alla grafica: la pittura era la bozza, l’incisione era l’opera. “Questo è il vero Munch e questo abbiamo voluto rappresentare” spiega Restellini, “non quello mediatizzato dell’Urlo, opera di indiscusso valore che però ha impedito di coglierne la dimensione autentica e il vero messaggio“. Una mostra “anti-Urlo” quindi sulla scia di quella realizzata dalla Pinacoteca di Parigi del 2010 sempre curata da Restellini per far emergere un Munch “più intimo e inedito” attraverso temi e tecniche a lui più cari: Morte, Dolore, Angoscia, Passione attraverso litografie, puntasecca, inchiostri e disegni, senza dimenticare le pitture colanti colore come gli sciolti “Tronchi robusti nella neve“, i due “Bagnanti” o i vari ritratti, tra cui il perturbante “Inger Barth“. E poi la Natura (“l’opposto dell’arte, mezzo e non fine”), indagata nei paesaggi, spazio in cui si proiettano sentimenti ed emozioni degli uomini, e soprattutto Lui: l’essere umano (in carne e soprattutto ossa), consumato e deformato dal tormento interiore, rinchiuso in spazi claustrofobici dove sperimenta la tragedia dell’incomunicabilità del dolore. Il dramma dell’uomo gettato nel mondo e già condannato, quell’Esistenzialismo artistico con cui Munch traduce in linguaggio pittorico il pensiero di Kierkegaard, il dramma di Ibsen, la poetica di Strindberg (“Non è facile essere un essere umano!“). La coscienza soggettiva dinnanzi all’ineluttabilità della realtà.
Un flebile spiraglio di luce traspare nella sezione dedicata alla “parentesi luminosa” del soggiorno dalla famiglia Linde. Ma dura una manciata di quadri. Presto si ripiomba nel baratro dell’esistenza persi nelle sofferenze color sangue dei capelli della sorella morente e sopraffatti dalla “Gelosia” o dal “Peccato” da cui è impossibile redimersi. L’universo femminile munchiano, il fulcro dell’esposizione, dove Eros e Thanatos, Sacro e Profano si fondono nella violenza dei tratti con cui Munch aggredisce la materia creando “Vampiri” e “Madonne” di un solo istante, tragiche ed estatiche passioni femminili avvolte da cupe pennellate nere, ombre di una morte onnipresente, o sorprendentemente incorniciate in una passerella arancio popolata da spermatozoi che trovano compimento nell’embrione rannicchiato nell’angolo, che leva gli occhi impauriti e già dolenti sulla ma-donna, la madre-donna. Come a volerci dire che sarebbe stato meglio non nascere.
“Abbiamo sofferto la morte durante la nascita. Siamo lasciati con la più strana delle esperienze: la vera nascita, che è chiamata morte. Per cosa siamo nati?” (E. Munch)
“La mia arte ha le sue radici nelle riflessioni sul perché non sono uguale agli altri, sul perché ci fu una maledizione sulla mia culla, sul perché sono stato gettato nel mondo senza potere scegliere (…). Ho dovuto seguire un sentiero lungo un precipizio, una voragine senza fondo. Ho dovuto saltare da una pietra all’altra. Qualche volta ho lasciato il sentiero per buttarmi nel vortice della vita. Ma sempre ho dovuto ritornare su questo sentiero sul ciglio del precipizio” (E. Munch)
“Nella casa della mia infanzia abitavano malattia e morte. Non ho mai superato l’infelicità di allora(…). Così vissi coi morti” (E. Munch)
“Molti ritengono che un dipinto sia finito quando il maggior numero possibile di dettagli è stato completato. Una singola linea può essere un’opera d’arte. Un quadro deve essere realizzato con un senso di scopo e di emozione. E’ l’aspetto umano, la vista che bisogna cercare di comunicare. Non la natura morta” (E. Munch)
“All’impressionismo mancava quell’espressività di cui avevo bisogno nel mio lavoro. Dovevo tirar fuori le impressioni che agitavano la mia interiorità” (E. Munch)
“In uno stato fortemente emozionale, un paesaggio susciterà un particolare effetto. Raffigurando un paesaggio, si produrrà un dipinto influenzato dal proprio umore. Questo umore è la cosa principale. La natura è soltanto il mezzo” (E. Munch)
“La Natura è l’opposto dell’arte. Un’opera d’arte proviene direttamente dall’interiorità dell’uomo. (…) La Natura è il mezzo, non il fine. Se è necessario raggiungere qualcosa cambiando la Natura, bisogna farlo. (E. Munch)
“La seconda condizione per un ritratto è che esso non somigli al modello: la prima condizione è che l’arte è arte” (E. Munch)
“Per diversi anni fui quasi pazzo. Poi trovai me stesso fissando diritto nella spaventosa faccia della follia” (E. Munch)
“Mio zio si è sposato a 80 anni. Avrebbe fatto meglio a prendersi un caffè”
(E. Munch)
Foto e testo: Luca Zuccala © ArtsLife
INFORMAZIONI UTILI
Edvard Munch
Palazzo Ducale
Piazza Matteotti 9 – Genova
Dal 6 novembre 2013 al 27 aprile 2014
Mostra a cura di Marc Restellini
Catalogo 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE
Orario apertura
Da Martedì a Domenica dalle 9.00 alle 19.00
Lunedì dalle 14.00 alle 19.00
La biglietteria chiude un’ora prima
Biglietti
Il servizio di audioguida è compreso nel costo del biglietto.
Intero € 13.00
Ridotto € 11.00
Gratuito
La mostra è bella, il contorno no. Intanto la pretesa che sia la prima mostra italiana di Munch: dimenticano le grandi mostre dell’85 a Milano (curata fra l’altro anche da Gianfranco Bruno, e quella di Verona del 2002! Il catalogo è scandaloso: ci saranno metà delle opere esposte e molte mal riprodotte.