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Il meglio di Minini alla Triennale di Milano

Fabre Solakov

19 Novembre 2013 – 2 Febbraio 2014, Triennale di Milano

La fondazione milanese festeggia il quarantesimo compleanno della Galleria Minini. La collezione porta il nome di un personaggio che si è fatto fulcro dell’arte contemporanea da 1973 ad oggi: Massimo Minini, “intellettuale colto, acuto visionario, una visuale a 360 gradi sull’arte” come spiega la critica d’arte Gabi Scardi.

C’è chi dice che Minini non venda arte ma relazioni. Il collezionista è grande promotore dell’arte contemporanea in Italia e spazia tra arte povera, concettuale, minimal e negli ultimi anni si è dedicato alla scrittura. Racconta nei suoi scritti aneddoti e storie legati alla sua grande frequentazione con artisti di tutto il mondo, col quale ha intessuto tante con-sonanze, come egli stesso scrive in riferimento all’amicizia con Giulio Paolini. Le didascalie delle opere sono infatti alcuni suoi passaggi letterari.

Buren

La mostra è un continuo contrasto, un rimbalzare tra contrari. Si apre con l’enorme seta di Jan Fabre, artista e autore teatrale che porta sempre con sé il fosco dell’arte belga e l’ossessione del passaggio all’ombra, al blu della notte e della morte, paranoicamente inciso con tratti di BIC. Una statua di peluche bianco in mezzo alla sala fa chinare tutti “col sedere per aria” per guardarne la luna al suo interno: è l’opera del bulgaro Nedko Solakov che chissà che non abbia lasciato altre tracce del suo passaggio sui muri della Triennale, come suo solito.

Alle pareti un arazzo di Donzelli, una tela della Accardi, un pallet del giovane Mercier, poi Lavier, Maljkovic. Tre grandi tele della Beecroft riportano ai suoi primi disegni, alle donne rosse, algide, anonime e infeconde. Davanti a esse un ambiente di Dan Graham, grande amico e compagno di viaggio di Minini, col quale porta le sue riflessioni sulla vetrina, i muri trasparenti di ostentazione, dialogo e rispecchiamento. Il filo rosso di Letizia Cariello ricama rigide tele geometriche e ci parla delle donne, dei loro legami e dei loro vincoli.

Garutti

Passando poi tra i cumuli su piedistallo postminimalisti  di Vermeiren e le architetture felicemente disordinate di Friedman, si staglia una vetrata irradiata dalla luce naturale, realizzata site specific dalle mani di Daniel Buren. Anch’egli amico di Minini, può vantarsi di avergli insegnato che “la galleria non è nei quattro muri che ci circondano ma è nella nostra testa.” Buren regala alla scala di Muzio nuovi colori disposti in campiture e strisce, sua cifra dagli anni ’60. Accanto ancora il gonfiabile trasparente di Rockenschaub, l’incomprensibile urgenza della figura sulla tela di Mendoza e il solito Ontani che, ignudo come un re, ci guarda dall’alto.

La saletta centrale è attraversata da un’opera realizzata dal podista dell’arte Richard Long, un artista che, durante le sue lunghe camminate per la natura e per il mondo, crea oggetti d’arte con ciò che incontra. La preziosa striscia di sassolini bianchi stava in casa di Minini “tagliando in due una stanza. Ci giocava il gatto, poi è morto…”. In sala poi le dolci geometrie colorate di Peter Halley e Sol Lewitt, un gigantesco “Piede” in bronzo e seta della serie di Luciano Fabro, Kapoor in uno dei suoi misteriosi dialoghi tra buio e luce, tra concavo e convesso e i preziosi e delicati pizzi di carta, opera del minuzioso lavoro di Sabrina Mezzaqui, portatori di una litania senza tempo.

Long-Kapoor-Fabro

Si apre a questo punto la grande sezione dedicata alla fotografica italiana e non, che comprende nomi come quelli di Francesca Woodman, Luigi Ghirri, Ugo Mulas, Paolo Mussat, Aurelio Amendola, Claudio Abate e Gabriele Basilico, al quale Minini ha dedicato la mostra.

L’ordine ritrovato in questo corridoio fotografico si perde di nuovo nella grande sala finale in cui il flash-back continua. La collezione si riconferma davvero eterogenea e originale, il doppelgänger inorganico del proprietario: “durante le cene aperte che tiene nella sua villa bresciana si ha proprio l‘impressione che egli non collezioni, bensì conviva con l’arte e con espressioni culturali che vanno dai bastoni africani ai dagherrotipi”. Eccovi un’insolita colonna a bassorilievo di Pistoletto, il Circo Massimo di Giulio Paolini realizzato in onore della galleria, un gesso ultrapoverista di Paolo Icaro in netto contrasto con i tappeti natura post-pop di Piero Gilardi, a loro volta incorniciati dal fragile e sacrale fregio di spighe di Stefano Arienti. E ancora opere soprattutto fotografiche di Maranzano, Feldmann, Alighiero Boetti, Jan De Cock. Infine, le commoventi pile di post-it colorati di Garutti che si mettono in contatto coi fruitori che li leggono, li sfogliano, se ne portano via una parte, modificando l’opera permettendole di vivere.

Per tutta la mostra sono raccolte ed esposte cartoline, lettere, dediche, tracce delle sue amicizie ostentate con gioia, gratificazione e gratitudine. Questo straordinario spaccato della storia dell’arte, assieme a molti altri grandi nomi, rimarrà in Triennale fino al 2 febbraio 2014.

Gilardi
Cariello

INFORMAZIONI UTILI

Quarantanni d’arte contemporanea. Massimo Minini 1973-2013
Triennale di Milano
19 Novembre 2013 – 2 Febbraio 2014

Orari
Martedi – Domenica
10.30 – 20.30
Giovedi
10.30 – 23.00

Ingresso
8,00/6,50/5,50 Euro

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