«Tratto peculiare di Venezia: scomparire in un attimo, non correre dietro al treno, non agitare a destra e a sinistra il capo in cenno di saluto come fanno le altre città quando le lasci –svanire in un solo istante, come se non esistesse, come se non fosse mai esistita»: così Nina Berberova descriva Venezia nel bellissimo Il Giunco Mormorante. Non è un caso, quindi, vista la sua identità eterea che Venezia diventi il luogo ideale per una riflessione sul concetto del paradisiaco al centro di The Garden of Earthly Delights, film del 2004 del regista polacco Lech Majewski, girato a Venezia e vincitore del Gran Premio della Giuria al Roma International Film Festival, ma mai uscito nelle sale italiane e presentato ora allo Spazio Oberdan di Milano.
Claudine e Chris si conoscono e innamorano a Londra, lei è una storica dell’Arte e lui un ingegnere navale. Lui filma tutto con la sua nuova videocamera digitale. Ed è attraverso tutto il girato del loro tempo passato assieme che la vicenda viene messa su schermo, in una sorta di riflessione sul meta-cinema 2.0 e sulla permanenza dell’immagine rispetto corpi. Lei, prossima alla morte a causa di una malattia, trascina il compagno e noi spettatori in uno studio sull’opera d’Arte che sente a lei più vicino: Il Giardino delle Delizie di Hieronymus Bosch (1480-1490), considerato il massimo capolavoro del maestro fiammingo, vertiginosamente complesso e misterioso; scrive nel 1953 Erwin Panofsky: «Nonostante le molte ingegnose, dotte e in parte estremamente utili ricerche dedite al compito di “decifrare Jerome Bosch”, non posso fare a meno di credere che il vero segreto dei suoi magnifici incubi e fantasticherie debba ancora essere svelato. Abbiamo scavato alcune brecce attraverso la porta di una stanza chiusa; ma in qualche modo non ci sembra d’aver trovato ancora la chiave».
Claudine nei suoi ultimi giorni di vita a Venezia fa questo cerca di trovare l’Eden -il Giardino delle Delizie, per l’appunto- a Venezia, sbircia dalla serratura di questa porta per intravedere, indagare e intuire cosa possa esserci al di là. Si tratta di un film complesso che rivela la molteplicità degli interessi artistici di Majewski.
Sono i grandi temi classici ad essere scomodati, l’amore e la morta, la vita e la predestinazione: lei come un’eroina ottocentesca cerca di muoversi nella ricerca di una bellezza per combattere lo spettro della fine che tutto annulla.
Una ricerca che diventa gioco, un’esplorazione ludica volta alla ricostruzione artigianale e naive di alcuni degli innumerevoli e surreali episodi rappresentati da Bosch nel suo trittico: facendosi riprendere con un rospo sul petto, chiudendosi in una valigia come gli amanti chiusi nell’intimità di un’enorme ostrica, dipingendo e intonando un pentagramma sulle natiche di Chris… E poi ancora ricostruendo una bolla di nylon dove amarsi o cercando tenere un uovo in equilibro sul dorso. Immagini naif, a volte tenere e a volte grottesche, quasi scabrose e disturbanti, ma il viaggio di Claudine è alla volta di un Giardino delle Delizie tutto è concesso e nulla è proibito.
Non è la prima volta che questo particolare connubio -la coppia e Il Giardino delle Delizie– viene portato sul grande schermo, nel 1967 il regista Silvano Agosti debutta infatti sul grande schermo con un’opera che ha come soggetto proprio l’indagine dall’interno di una coppia in viaggio di nozze: lei incinta di tre mesi, lui furioso per il matrimonio imposto medita sul trittico di Hieronymus Bosch in una spirale di ricordi e rimorsi, una ricognizione dai risvolti psicanalitici, una cruda vivisezione del rapporto di coppia e un’accusa all’istituzione del matrimonio; titolo: Il Giardino delle Delizie.
Nato a Katowice, in Polonia, Majewski ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Varsavia, in seguito, negli anni Settanta, si è diplomato presso Scuola Nazionale di Cinema a Łódź. Trasferitosi prima negli Stati Uniti a causa del regime comunista Majewski ha sempre lavorato su più fronti rispetto alla produzione cinematografica e teatrale, raccogliendo sempre il plauso della critica.
Nel 2006, il Museum of Modern Art a New York propose una retrospettiva completa dei suoi lavori e per quell’occasione realizzò il film Glass Lips.
Nel 2012 è uscito in Italia il suo capolavoro: I colori della passione (The Mill and the Cross, 2011), interpretato da Rutger Hauer, Charlotte Rampling e Michael York; un film sorprendente che racconta di come Pieter Bruegel il Vecchio abbia concepito e realizzato Salita al Calvario -tela sulla passione di Cristo- ambientandola nelle Fiandre del suo tempo (1564). Anche in questo caso un’indagine su un impianto corale ricco e stratificato di macro episodi e significati, che rende il film un’incredibile esperienza estetica e filosofica.
Il regista sarà presto in sala con un nuovo ambizioso film ispirato a Dante Alighieri.
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