ROMA & CORTINA
NELLE COLLEZIONI DI GENNARO BERGER E CLAUDIO ZANETTIN
4 marzo 2014 ore 15.00 – 21.00
5 marzo 2014 ore 10.30 – 15.30
Il fasto della Roma barocca e meta degli eruditi del Grand Tour è il colto background dell’antiquario Gennaro Berger che in trent’anni di attività nelle due sedi romane di via Margutta e via dei Coronari, ha raccolto oggetti eclettici e affascinanti che spaziavano dalla pittura alla scultura, dall’archeologia all’oggetto da wunderkammer. Prima bulimico poi selettivo, il percorso del mancato matematico si è contraddistinto per gusto e sobrietà, come ad esempio nell’austera Bona Dea romana in marmo (stima 15.000 – 20.000 euro), o nel frammento di sarcofago (stima 18.000 – 22.000 euro).
Delicato il ritratto in miniatura ottocentesco di un giovane con occhiali di Jean Paulin Lassoquere (stima 150 – 300 euro), la coppia di torcere in legno intagliato e dorato del XVIII secolo (stima 2.000 – 3.000 euro), così come l’incantevole figura neoclassica d’Andromeda in avorio (stima 800 – 1.200 euro).
Cortina da sempre è la ‘Perla delle Dolomiti’, sede delle Olimpiadi invernali del 1956 e scenario ideale di film indimenticabili come la “Pantera rosa” con David Niven e Peter Seller, e “Solo per i tuoi occhi” dove Roger Moore impersona il seducente agente 007 James Bond. Luogo d’incontro dell’imprenditoria italiana e internazionale, Cortina ha sempre coltivato una vocazione artistica, con gallerie e antiquari che negli anni l’hanno resa sempre più bella ed esclusiva.
Uno dei fautori di questa continua ascesa è stato Claudio Zanettin, grande antiquario e raffinato interior design, che negli ultimi trent’anni ha dettato il gusto di una località elitaria per definizione. L’effervescenza degli anni ’80, il carattere degli anni ’90, così come il ritorno alla tradizione del primo decennio del nuovo secolo, sono sedimentati nell’estro eclettico con cui Claudio Zanettin ha arredato il proprio chalet. Una bella consolle in legno intagliato e dorato del XVIII secolo fascia traforata a motivi rocaille, gambe mosse percorse da tralci fogliacei, piano in marmo bianco con inserti policromi (stima 2.000 – 3.000 euro), una ricca collezione di calamai in argento, tre figure di un presepe napoletano del Settecento raffiguranti i Re Magi (stima 1.000 – 1.500 euro) come una coppia di tempere neoclassiche del XVIII secolo (stima 2.000 – 3.000 euro).
Oggetti accostati con eleganza e piacere d’arredare, che nella contaminazione dei generi esalta la peculiarità di ogni singolo manufatto. Nella sua galleria nel centro di Cortina – La Ruota – per decenni sono passati personaggi come Elton John e Luca di Montezemolo, Pietro Barilla e Silvio Belusconi, ma anche e soprattutto un pubblico di appassionati conoscitori che come Claudio Zanettin amava e cercava il bello.
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DIPINTI ANTICHI
6 marzo 2014 ore 15.30
Per il mondo storico-artistico e antiquario Federico Zeri è stato un esempio di come una memoria visiva prodigiosa e un’enciclopedica erudizione potessero fondersi in una personalità assolutamente straordinaria. La sua bibliografia è stata un esempio per generazioni di studiosi, e i suoi “Diari di lavoro” una dimostrazione superba e per certi versi irripetibile, di un metodo attributivo tanto strabiliante quanto infallibile.
Un esempio paradigmatico ci verrà offerto nella prossima asta di dipinti antichi del 6 marzo dove saranno esitate due tavole bolognesi del XVI secolo provenienti dalla collezione di Federico Mason Perkins, raffiguranti un soggetto antisemita (stima per entrambi di 15.000 – 25.000 euro).
Con stile impeccabile e vivamente descrittivo è lo stesso Zeri che sintetizza la prima scena: “(…) serrato ai due lati da colonne corinzie, tagliate per lo smembramento dell’insieme (…) è ambientato in un interno dal pavimento marmoreo e provvisto di colonne; parrebbe, più che un edificio privato, una chiesa, che sulla parete di fondo di una cappella o coretto mostra una Crocefisso, non dipinto, ma scolpito e policromato. Ai piedi della parete sono disposti quattro uomini, di cui uno (il solo a capo scoperto) trafigge il costato del Crocefisso con una lancia provocando una fuoriuscita di sangue che viene raccolto in un bacino metallico.
Si tratta, all’evidenza, di un episodio di profanazione, anzi di un gravissimo oltraggio alla sacra immagine, che si svolge nell’indifferenza dei presenti (…)”. E sempre con appassionato trasporto poche righe più avanti descrive la seconda scena: “L’episodio narrato è in ambiente aperto, e mostra cinque uomini armati di bastoni che colpiscono selvaggiamente un quinto personaggio, caduto a terra e in atto di difendersi”.
Da un confronto stilistico Federico Zeri riconosce da una parte elementi emiliani che puntano verso l’area romagnola, dall’altra affinità all’ambiente bolognese-ferrarese con accentuazione umbre vicine al Perugino. Nota altresì che nelle figure di sinistra del “Crocifisso oltraggiato” si avverte l’eco della “Pala Griffoni” di Ercole de Roberti già a San Petronio a Bologna ma rivisti sull’esempio di Lorenzo Costa.
Due opere rare forse da associare al rito del sangue sgorgato del Crocefisso di Berito (Beyrouth) celebrato e commemorato il 9 novembre nella Basilica di San Lorenzo fuori le Mura e San Pietro in Vincoli a Roma: sicuramente due intriganti quesiti, o come diceva Zeri problemi che rendono così affascinate la pittura antica.
Per le arti visive, e in particolare per la pittura, la prima metà del Settecento è una fase di passaggio dalla magniloquente narrazione tardo barocca, a un linguaggio più aggraziato e sensuale dove la composizione e la scelta cromatica divengono veicolo di una lettura della storia più intima e per così dire profana dell’opera d’arte. Essa decora non solo le pareti dei gentiluomini che le custodivano, ma anche il loro gusto che si affina verso obiettivi assoluti fino allo sbocciare dell’arte neoclassica, movimento che si pone come esempio di perfetta sintesi tra antico e moderno.
Nella prossima asta di Dipinti Antichi del 6 marzo abbiamo tre esempi paradigmatici di questa vitale e affascinante evoluzione del linguaggio pittorico in Italia tra XVII e XVIII secolo. Il primo è una tela raffigurante la Nascita della Vergine di Francesco Solimena (Canale di Serino 1657 – Barra 1747), artista tra i più rappresentativi della cultura tardo-barocca, che in seguito alla formazione avvenuta con il padre Angelo, assimilò lo stile di Luca Giordano, con la sua ricchezza cromatica, di linguaggio concitato e grandioso. Nel nostro caso però, l’artista appare affrancato dalle proprie origini pittoriche, esprimendo in piena autonomia una cifra stilistica settecentesca, che permette di incasellare l’esecuzione dell’opera al primo decennio del XVIII Secolo, in analogia con il Didone accoglie Cupido della National Gallery di Londra e le tele bibliche commissionate dalla famiglia genovese dei Durazzo.
Rigorosamente giordaneschi e superati sono quegli eccessivi effetti drammatici del tenebrismo pretiano, mentre le forme assumono un’elegante concretezza, d’indubbio l’equilibrio compositivo che si risolve in una progettualità ineccepibile. Osservando il ritmo narrativo appare evidente l’influenza della cultura teatrale, non solo per la regia dei lumi, ma altresì per la sintassi coloristica e la trionfale coreografia. La visuale da sotto in su, crea un effetto prospettico monumentale, che si chiude con la sequenza delle colonne marmoree e l’apertura verso l’infinito in cui la vista si perde tra grumi di nuvole e angeli (stima 15.000 – 20.000 euro).
Il secondo è un’intensa Madonna col bambino e Santi di Carlo Innocenzo Carloni (Scaria d’Intelvi 1687 – 1775), un bozzetto è verosimilmente preparatorio per una pala d’altare e presenta una sintesi d’estrema leggerezza pittorica in cui l’autore da prova dell’eccezionale talento nel concepire complesse iconografie. L’artista fu allievo in Veneto presso l’atelier di Giulio Quaglio e poi di Angelo Trevisani a Roma, ma in seguito svolse la propria attività prevalentemente in Lombardia e nei paesi di lingua tedesca.
Il suo successo si può dire straordinario grazie alla maestria di decoratore, capace di progettare strutture sceniche di eccelso sapore rococò intercalando l’uso dello stucco con punti di fuga in cui le raffigurazioni rappresentate si librano con leggerezza. La stessa intensità creativa la cogliamo osservando le opere su tela e in modo particolare nei modelletti e negli studi a bozzetto. Quest’opera già attribuita all’artista da Egidio Martini e Ugo Ruggeri e avvicinata a una serie di pale accuratamente elencate da Simonetta Coppa, con la sua datazione attorno agli anni 1760 – 1766 offre un utile riscontro cronologico, delineando lo stile maturo del pittore (stima 2.500 – 3.500 euro).
La terza è una incantevole Scena mitologica da riferirsi alla Bologna settecentesca dei Gandolfi. Il riferimento infatti, trova grazie al confronto con le opere, precise corrispondenze e il riconoscimento pone le sole difficoltà nel distinguere con certezza la mano di uno dei tre protagonisti a noi noti: Gaetano (San Matteo della Decima 1734 – Bologna 1802), Ubaldo (San Matteo della Decima 1728 – Ravenna 1781) e Mauro (Bologna, 1764 – 1834). Tuttavia, analizzando il dipinto emergono marcate peculiarità neoclassiche, sostanzialmente assenti vagliando la vocazione neobarocca di Gaetano e del più anziano Ubaldo, anche prendendo atto dell’evoluzione classicista che avvertiamo nella tarda produzione del primo. Ma a questo proposito si deve riconoscere l’influenza che Gaetano trasmise al figlio Mauro, e di come la distinzione tra le due mani sia filologicamente complessa e non sempre risolvibile applicando giudizi netti e definitivi (stima 6.000 – 8.000 euro).